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Nel mondo siamo costretti a una vera e propria rivoluzione tecnologica, pari come impatto probabilmente a quella industriale di fine ‘700. Ma non sarà semplice e facile.

La transizione ecologica non sarà un pranzo di gala

Nel mondo siamo costretti a una vera e propria rivoluzione tecnologica, pari come impatto probabilmente a quella industriale di fine ‘700. Ma non sarà semplice e facile.

20 Novembre 2021 da Lorenzo Colovini Lascia un commento

Nel luglio scorso l’Amministratore Delegato di Enel, Francesco Starace, si lascia sfuggire la frase “la transizione ecologica non sarà un pranzo di gala” suscitando un vespaio. È stato un buon profeta (d’altronde chi altri se non lui?..). A settembre il Ministro alla Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, se la prende pubblicamente con gli ambientalisti oltranzisti, ideologici. A suo dire sono peggio della catastrofe climatica.. sono parte del problema. Subito dopo, complici anche le turbolenze della ripresa economica post pandemia, i prezzi di gas e elettricità schizzano alle stelle, costringendo il Governo ad azioni mitigatrici (comunque parziali).

In questi giorni, infine, il G20 registra la generale condivisione degli obiettivi di contenimento dell’aumento di temperatura entro 1,5° C e di azzeramento delle emissioni di gas serra entro la metà del secolo, più o meno. Al di là della mancata precisa indicazione della data, la cosa significativa è che tutti i grandi della Terra si sono arresi all’evidenza che il riscaldamento globale è una realtà, che siamo forse appena in tempo a fermarci prima del punto di non ritorno e a prevenire l’apocalisse per i nostri figli e nipoti (letteralmente: stiamo parlando di evoluzioni dei prossimi decenni).

Questa lunga premessa per dire che nel mondo siamo costretti, hic et nunc (o meglio ancora: now or never), a una vera e propria rivoluzione tecnologica, pari come impatto probabilmente a quella industriale di fine ‘700 (solo che su scala enormemente più vasta). Il tema è articolato e complesso e coinvolge aspetti tecnici, economici e geopolitici strettamente intrecciati. E richiede un approccio pragmatico e non semplicistico e meno che meno ideologico (quello che mi pare di capire Cingolani rimprovera a certi ambientalisti). In questo articolo cerco, senza alcuna pretesa di essere esauriente e nemmeno rigoroso, di aiutare chi legge a raccapezzarsi solo un poco, anche a costo di semplificazioni brutali. Vista la complessità, divido l’intervento in tre sezioni rispettivamente dedicate agli aspetti tecnologici, geopolitici e economici.

Tecnologia

Cominciamo dal concetto di fondo: imperativo categorico è contenere l’aumento di temperatura perché oltre a una certa soglia porterebbe a scenari apocalittici tali da rendere questo pianeta di fatto non abitabile (perlomeno non da 8 miliardi di persone). Contenere l’aumento di temperatura significa diminuire drasticamente l’emissione di gas serra, primariamente la CO2. Ora, a livello mondiale, arrotondando, le cause di emissione di CO2 si possono ascrivere a 4 tipologie più o meno equivalenti come impatto: trasporti (primariamente su gomma), industria, produzione di energia elettrica (oggi), riscaldamento degli edifici (NdR: i dati sono tratti dall’eccellente documento del partito Azione, Next Generation Italia vol. 2 – Energia, ambiente e sostenibilità).

La soluzione più fattibile in tempi brevi per il trasporto è la transizione al trasporto elettrico, già in fase di impennata. Relativamente al riscaldamento vi sono consistenti margini di risparmio sulla coibentazione degli edifici e in generale sulla loro efficienza energetica ma poi la botta finale viene, ancora, dall’impiego diffuso delle pompe di calore (che vanno a elettricità) al posto delle caldaie che bruciano gas. Per l’industria l’utilizzo dell’energia elettrica in tutte le produzioni è più complesso ma anche lì la tendenza è quella.

In pratica, semplificando molto, la transizione ecologica consiste nell’alimentare la grande parte delle attività antropiche con l’energia elettrica e nel produrre quest’ultima con metodi che non emettono CO2. Detto per inciso: la conversione all’elettrico comporta anche enormi investimenti sulle reti di trasmissione e distribuzione (che inevitabilmente vanno a gravare sulla bolletta) ma concentriamoci in questa sede solo sulla produzione.

Perché la produzione non generi CO2 non deve essere fatta bruciando combustibile (quale che sia). Quindi il mantra è la moltiplicazione e l’utilizzo sempre più intensivo delle cosiddette fonti di energia rinnovabile, eolico e soprattutto fotovoltaico. Le fonti di energia rinnovabile hanno il grande pregio di non emettere un milligrammo di CO2 ma due grandi difetti: 1) la loro produzione non è programmabile ma dipende dalla disponibilità di vento e sole, per loro natura ondivaghe e certamente non costanti nel tempo; 2) sono fortemente impattanti sul paesaggio (l’eolico) e per occupazione di suolo (il fotovoltaico). Vediamo prima il secondo aspetto: nella migliore (ma proprio migliore) delle ipotesi, un GW (Gigawatt = un milione di kW) di potenza fotovoltaico occupa 10 kmq. In Italia il PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia) prevede 31 GW nuovi da installare ovvero 310 kmq (peraltro uno studio del Politecnico di Milano ne considera molti di più). In un Paese fortemente antropizzato come l’Italia, regno del not in my backyard, delle VIA nazionali e regionali, dei veti incrociati di Soprintendenze varie, del Ministero della Cultura, dei Comuni, dei comitati, dei “verdi” (quelli che sono ambientalisti!!) dove caspita li troviamo 310 (o più) kmq? Questo già spiega il grave ritardo di implementazione del Piano nel nostro Paese.

Ma veniamo al problema principale: le rinnovabili forniscono energia solo quando garba al Padreterno. Quindi possono fornirne in eccesso (e in luoghi distanti da dove l’energia è richiesta) oppure, tipicamente di notte, non essere sufficienti al fabbisogno istantaneo. Teniamo inoltre presente che se la mobilità elettrica prende piede, attaccheremo le auto elettriche per ricaricarsi durante la notte e quindi il carico notturno sarà molto maggiore di quello attuale. E l’energia elettrica ha il pessimo difetto di pretendere che in ogni istante l’energia prodotta e quella assorbita devono equivalersi, pena il collasso della rete. Vi sono possibilità di accumulo con batterie ma sono costosissime e sostanzialmente quindi dei palliativi. In Italia abbiamo le centrali idroelettriche che possono essere utilizzate come accumulatori di energia ripompando nel bacino di monte l’acqua ma sono quelle che sono.. insomma non si scappa: dovremo continuare ad avere un parco di generazione autonoma che non potrà che essere di tipo termoelettrico. Anche che si escluda il carbone molto inquinante, comunque si avrà un processo di combustione e quindi produzione di CO2. E, come ho cercato di spiegare, non potrà essere tanto poca perché la notte (quando il fotovoltaico ovviamente non produce nulla) caricheremo i nostri veicoli elettrici, riscalderemo le nostre case.. insomma non ci sarà più il classico abbattimento del carico nelle ore notturne

(il resto dell’articolo è possibile leggerlo su www.luminosigiorni.it)

 

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Archiviato in:Redazionale

Info Lorenzo Colovini

Nato a Venezia nel 1959, vi ha sempre risieduto tranne alcuni periodi per lavoro. Laureato in ingegneria elettrotecnica nel 1984 all’Università di Padova, sposato con due figli gemelli (ormai 25enni) lavora all’Enel, settore Distribuzione, da 1987. Ha svolto per circa 20 anni incarichi nel territorio per poi passare ad attività di carattere nazionale nel International Business Development, lavoro che lo porta a passare molto tempo all’estero. Sempre come business developer di Enel, ha vissuto a Pechino per circa un anno e mezzo (2008-2009). Collaboratore fisso della testata on line Luminosi Giorni, rivista di cultura politica con particolare attenzione a temi dell’area veneziana. Fa parte del Direttorio di UNAeUNICA, associazione trasversale nata per contrastare l’ipotesi di divisione del Comune di Venezia nelle due parti di acqua e di terra.

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