Dagli ultimi dati sembra che nel 2023 l’Italia non entrerà in recessione come temuto ma segni un modestissimo + 0,2%. La legge finanziaria del Governo Meloni è sufficiente per raggiungere questo obiettivo?
Per avere un’idea dell’impatto sul PIL della LF Meloni occorre ripartire dalla versione integrata della NADEF presentata dal nuovo governo con la componente programmatica che si innesta su quella tendenziale (profilo Draghi). Ebbene l’aumento di PIL programmato è 0,6 nel 2023 rispetto allo 0,3, mentre per il 2024 e 2025 gli aumenti sono essenzialmente in linea con il tendenziale (1,9 rispetto a 1,8 e 1,3 rispetto a 1,5). Il deficit invece passa da 3,4 tendenziale a 4,5 programmatico per il 2023. Un moltiplicatore così modesto per una manovra annunciata di 30 miliardi indicava non solo prudenza ma anche rassegnazione. I tecnici del MEF, forse all’insaputa dello stesso ministro Giorgetti, avevano già contemplato una sostanziale inefficacia della L.F. I 21 miliardi per la copertura degli aumenti delle bollette lasciano per definizione i profili di spesa in consumi e input produttivi inalterati rispetto al tendenziale e i 9 miliardi residui di mancette e bandierine giustificano una crescita un po’ migliore nel 2023 che si esaurisce però negli anni successivi.
Sul piano delle entrate, c’è l’estensione della flat tax fino a 85.000 euro che dalle opposizioni è considerata una resa al partito degli evasori, e contemporaneamente, per dire, si blocca l’adeguamento all’inflazione delle pensioni più alte, sulle quali i percettori pagano le tasse fino all’ultimo centesimo. E invece di dar attuazione alla delega, pur assai vaga, il governo intende rimetterci mano, dimenticando che è uno degli obblighi assunti dall’Italia in sede di PNRR.
La misura, oltre agli inconvenienti indicati nella domanda, ha anche quello di violare marcatamente il principio di equità orizzontale, secondo cui a parità di reddito da lavoro (indipendentemente dalle categorie, dipendente e autonomo) si deve avere un pari tassazione (o almeno non troppo differente). Il principio è stato nel nostro ordinamento già rettificato, ammettendo ad esempio forme differenziate di accertamento e di deduzione di spese per la produzione, ma in questo caso il divario può essere veramente macroscopico: per redditi sugli 80.000 un lavoratore dipendente paga fino a cinque volte più di un lavoratore autonomo. Inoltre, l’introduzione di una soglia così alta (85 milioni di fatturato) ha un effetto disincentivante all’avvicinarsi del limite e si presta a manovre dilatorie nella fatturazione. La misura sembra sostanzialmente voler dire, a chi ci crede, che si è introdotta la flat tax. L’abbandono della delega fiscale è un errore, anche per il centro destra, perché poteva essere facilmente adattata per piegarla ai propri obbiettivi, compreso un primo avvio verso un’autentica flat taxad aliquota coerente. Obbiettivo che sarebbe comunque bene non perseguire.
Sul PNRR emergono limiti prevedibili fin dalla sua impostazione, per la frammentazione eccessiva del numero dei progetti affidati a soggetti, i Comuni, dei quali erano note le difficoltà strutturali di progettazione ed esecuzione, aggravate da un continuo metter mano al codice degli appalti. A questi problemi si è aggiunto l’aumento dei prezzi delle materie prime ed il caro energia. Il Governo intende rimettere mano al PNRR. Quali margini di modifica ci sono per gli investimenti?
La frammentazione dei progetti PNRR è una caratteristica dell’intero programma che ritengo positiva per considerare gli aspetti microeconomici degli incrementi delle dotazioni di capitale materiale e immateriale nelle sei missioni. Quanto ai comuni, questa era l’occasione per spingere ad effettuare aggregazioni, almeno progettuali se non anche amministrative, e per sollecitare un ruolo di coordinamento e assistenza finalmente attivo delle regioni. Per eventuali variazioni dei progetti PNRR possono essere usati gli investimenti che rientrano nel Fondo Complementare finanziato da debito interno, che ora è più costoso. Rinviare questi o parte di questi può liberare le amministrazioni dagli adempimenti relativi e ridurre il carico dei costi per l’energia e le materie prime.
Il PNRR aveva una seconda gamba fatta dalle riforme: queste potranno essere rinegoziate?
Personalmente ritengo di no. Gentiloni è un politico esperto e molto stimato a Bruxelles ma potrà ottenere dilazioni temporali non abbandoni delle linee concordate. Alcuni decreti legislativi da approvare (vedi riordino dei servizi pubblici locali e concessioni balneari) potrebbero far saltare il banco….
Reddito di Cittadinanza e bonus 110%: due misure che hanno creato una platea di vaste clientele con un impatto disastro sui conti pubblici. Nella finanziaria ci sono indicazioni chiare per la modifica delle due misure? Ed entrambe mantengono la loro utilità?
Uno strumento di contrasto della povertà è necessario in Italia. La forma più valida è forse quella suggerita dal Centro Az-Iv: una imposta negativa per gli occupabili e un sussidio limitato per i non occupabili, tipo reddito di inclusione precedente al Reddito di cittadinanza grillino. L’intervento in L.F. è indubbiamente brutale, considerato che è uno strumento applicato quasi esclusivamente al Sud, ed è finalizzato a finanziare aumenti delle pensioni con ulteriori snaturamenti del criterio contributivo, di cui non se ne sentiva proprio il bisogno. Quanto al bonus 110% basta così…..
L’Unione Europea ha richiamato l’attenzione del Governo sul tema del debito pubblico, cresciuto e tollerato prima per far fronte alla pandemia ora per attenuare l’impatto del caro bollette su famiglie e imprese. I mercati per ora non hanno dato segnali preoccupanti. Ma quali limiti potrà trovare il ricorso al debito, il sistema preferito dagli italiani per aumentare la spesa pubblica, tenuto conto dei prevedibili aumenti dei tassi di interesse e per la riduzione di acquisti del debito pubblico da parte della BCE?
La Commissione Europea ha di recente delineato le nuove regole di disciplina fiscale per gli stati membri: finalmente un sistema, più sensibile alla crescita (meno austero) e più legato alle diverse esigenze nazionali. Le regole prevedranno un’applicazione più graduale e più in linea con gli intenti dei singoli paesi, ma norme specifiche più incisive per i paesi ad alto debito, cioè quelli che presentano più rischi per sé stessi e per gli altri (i sei paesi europei meridionali con un rapporto debito su PIL superiore al 90 per cento). Il nuovo modello assume che, sulla base di indicazioni quantitative generali della Commissione, ciascun paese ad alto debito formuli un proprio piano di rientro dal debito su base quadriennale, che può essere portato a sette anni se il paese si impegna a introdurre riforme e investimenti pro-crescita. Il piano viene analizzato dal Fiscal board nazionale, da noi l’Ufficio parlamentare del bilancio, e dalla Commissione, quindi passa al Consiglio che l’approva definitivamente. In questo modo, ciascun paese prende un impegno politico esplicito nei confronti dei partner nel portare avanti il piano. La valutazione del piano da parte della Commissione non viene più legata esclusivamente al raggiungimento di un particolare livello del rapporto debito su PIL, ma sul fatto che questo rapporto, quando eccessivo, si mantenga nel futuro su un percorso decrescente, un concetto di sostenibilità sicuramente più realistico, basato su una programmazione autenticamente pluriennale. E’ proprio cambiata la musica come sostengono la Meloni e Salvini, ma non come ci hanno prospettato in campagna elettorale nel senso che, con le nuove regole, non avendo più scuse, dovranno abituarsi ad un profilo di serietà della finanza pubblica cui non sono abituati. Anche i loro fantasiosi consulenti preferiscono tacere.
Anni fa, in molti auspicavano una ripresa contenuta dell’inflazione: oggi possiamo dire, troppa grazia S. Antonio. Quali possono essere le misure per ridurla senza fermare una auspicata crescita.
Il controllo dell’inflazione è (per fortuna) ancora un compito della BCE, che però, a differenza del passato, ha sposato forme di intervento più graduali. Molto dipenderà dall’esito della guerra di aggressione russa. Quello che potremo fare noi è estendere il campo di applicazione della concorrenza e aumentare la produttività del lavoro e dei fattori produttivi con in progetti PNRR.
Si parla di legge finanziaria in continuità con le linee tracciate dal governo Draghi. Condivide?
Non saprei, ma posso rimandare alla domanda A, con il confronto tra la NADEF Draghi, a legislazione vigente, e la NADEFF Meloni con un profilo programmatico quasi ripetitivo e poco incisivo. In altre parole, il grosso era già nella legislazione vigente. Tuttavia, occorre dire che alcune brutture della L.F. Meloni, Draghi non le avrebbe sottoscritte.
Lascia un commento