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Solo Riformisti

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“Italia viva”: perchè?

Le scissioni per funzionare devono essere basate su contenuti precisi. Si tratta di vedere se nel PD c’è spazio per i riformisti liberal. I primi segnali non lasciano bene sperare.

19 Settembre 2019 da Alessandro Petretto 1 commento

Le scissioni sono sempre un errore e si risolvono poi in sciagure per chi le ha provocate, al riguardo non è necessario evocare la storia. Le scissioni hanno un senso se sono giustificate sulla base di contenuti e non sul risentimento personale, altrimenti emergono solo come il frutto bacato del “proporzionale”, verso cui sembra tutti vogliano andare. Spiegare una scissione sulla base di motivazioni ideali e contenuti politici è però difficile perché bisogna alzare il livello del messaggio mediatico che non è più compreso dai cittadini sempre più inclini ad accettare solo slogan. Ciò non di meno vale la pena provarci, soprattutto se si è tra chi non segue (al momento) il passo estremo dell’abbandono della tessera di un partito storico.

Intanto occorre dire che le spiegazioni spettano non solo a chi provoca la scissione ma anche a chi le subisce. Renzi dovrà certamente sforzarsi di più per giustificare un passo dalle conseguenze molto gravi, ma lo stesso PD dovrà interrogarsi su cosa ha spinto una parte del partito ad andarsene. Il primo non può limitarsi a dire che si sentiva un intruso, perché non è detto sia lo stesso sentimento provato da chi è da sempre legato a lui e alle sue idee. Nello stesso tempo Zingaretti e la sua dirigenza non possono pretendere di assumere la parte delle mammolette tradite da un arrogante affetto da delirio di onnipotenza.

Parliamo di politica economica e rileviamo come la questione cruciale – c’è spazio per riformisti liberal nel PD di Zingaretti? – non abbia ancora avuto una risposta tranquillizzante, soprattutto dopo che il PD si è alleato con il M5S per la formazione del governo Conte 2. I riformisti sono coloro che ritengono che l’economia di mercato, per quanto non sufficiente, sia necessaria per il conseguimento di livelli adeguati di benessere collettivo e individuale; che l’intervento pubblico sia benefico, ma che vada usato con cautela e misura, perché può produrre anche danni. Si tratta di una posizione di nobili tradizioni, risalente al pensiero di grandi filosofi ed economisti dell’800 e sviluppata lungo l’intero 900. Questa linea di pensiero economico è stata negli ultimi anni incarnata da Renzi e dalla componente centrista del PD ed è stata profondamente avversata dalla sinistra dentro e fuori dal PD, sotto l’egida scientifica dal Centro studi Nens di Dalema, Bersani, Visco. Tutto lascia pensare che quest’ultima posizione sia ora in qualche modo dominante nel PD zingarettiano.

Cominciamo da alcuni indizi. Nella formazione del governo vediamo viceministro al MEF, Misiani, vicino tradizionalmente al gruppo di cui al Nens, Cecilia Guerra di Leu, sottosegretario al fisco, legata a Vincenzo Visco da affinità scientifica e fiera avversaria degli 80 euro di Renzi. Vediamo al lavoro la Catalfo, contraria dalla prima ora della legislazione del jobs act, ai rapporti con il parlamento, la Malpezzi, sostenitrice del no al referendum sulla riforma costituzionale, al sud Padovano e al federalismo Boccia, interpreti del meridionalismo duro e puro della linea politica De Magistris, Emiliano. Dulcis in fondo, Speranza al dicastero simbolo del nuovo welfare: la sanità. Emerge, infine, per dessert, il ruolo di protagonista assunto in questi giorni dall’ineffabile Landini. A pensar male…..

Poi ci sono le priorità indicate nelle trattative per la formazione del governo e sfociate nel relativo programma: l’economia green e la riduzione delle disuguaglianze. Nessuno dei riformisti contesta questi obiettivi, ma ha motivo di dubitare che siano le vere priorità. In un’economia da decenni afflitta da un tasso di crescita potenziale asfittico, una misera dinamica della produttività del lavoro e dei fattori produttivi, le priorità sono, se mai, potenziare e modernizzare la struttura industriale, adeguare il terziario avanzato e rendere efficiente la Pubblica amministrazione. E’ ovvio per i riformisti che solo con un tasso di crescita apprezzabile si trovano le notevoli risorse per la tutela dell’ambiente e lo sviluppo di un welfare sempre più esigente.

In conclusione, per chi ha rimandato la decisione se andare o no con Italia viva non ci sarà molto da aspettare. La legge di bilancio sarà la sede in cui si misureranno le istanze riformiste con quelle anticapitalistiche che allignano nel PD. Purtroppo girano delle indicazioni che non lasciano per niente ben sperare. Ma pazientiamo, dopo tutto le scissioni sono sempre un errore!

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Info Alessandro Petretto

Professore emerito dell’Università degli studi di Firenze. Insegna Politica economica alla Scuola di economia e management di Firenze. E’ stato presidente della Commissione tecnica per la spesa pubblica del Tesoro e presidente della Società italiana di economia pubblica. E’ membro del Comitato scientifico dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Fausto Antonio Gonfiantini dice

    4 Ottobre 2019 alle 18:22

    Egregio professore,
    sono un Suo coetaneo ed ho frequentato la facoltà di Economia e Commercio di Firenze negli anni in cui anche Lei la frequentava. Sono un convinto liberal-democratico e sono d’accordo con quanto Lei afferma in ordine alla necessità di riforme d’impronta “liberal”.. Ma mi domando e Le domando: potevate pensare e potete ancora pensare ragionevolmente che nel PD, così com’era caratterizzato e come lo è tuttora, si potessero realizzare riforme di questo tipo? E’ vero che le scissioni sono deleterie, ma è ancor più deleterio continuare a restare in un partito nei confronti del quale si nutrono forti dubbi in proposito. Si tratta di un atteggiamento più fideistico che razionale, che non comprendo e non condivido.
    Con stima.
    Dott. Fausto Antonio Gonfiantini

    Rispondi

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