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Solo Riformisti

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E’ tornato lo Stato pigliatutto

Quatti, quatti, si son rifatti l’IRI, la Cassa per il Mezzogiorno e anche la Gepi. Tutte scelte portate avanti senza nessuna decisione del Parlamento. E naturalmente aumentano a dismisura i posti a disposizione degli amici degli amici delle varie correnti di potere.

11 Dicembre 2020 da Luigi Corbani 1 commento

Leggo un comunicato della Cassa Depositi e Prestiti: “Prende il via il progetto per la realizzazione della prima piattaforma digitale italiana della cultura, su iniziativa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MIBACT) insieme a Cassa Depositi e Prestiti… L’operazione risponde alle sfide del Piano Industriale di CDP in ambito culturale, in ottica di innovazione e digitalizzazione…” 

Mi chiedo se c’è stata qualche decisione del Parlamento che ha elevato la CDP a banca di investimento o a banca d’affari o che ha deciso di costituire una nuova IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale, che fu lo strumento principale della presenza pubblica nell’economia e sciolta nel 2002), o forse una nuova GEPI (Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali,  una finanziaria pubblica, per il salvataggio delle aziende private in difficoltà, sciolta nel 1997).

Sta di fatto che la CDP è dovunque: nelle esportazioni, nelle autostrade, nel capitale delle aziende pubbliche e private, nell’immobiliare, nel turismo, nello sport, adesso anche nella Netflix italiana, voluta da Di Maio (luglio 2018), e portata avanti dal Ministro Franceschini.

Si vede che hanno cambiato la legge (chiedo scusa, non me ne sono accorto): una volta, era fatto divieto alla CDP di usare il risparmio postale degli italiani, in borsa o in capitale di rischio.

Nel sito internet di CDP c’è scritto “Nel 2015, siamo stati riconosciuti Istituto Nazionale di Promozione (INP) dal Governo Italiano e dall’Unione Europea. Questo nuovo ruolo ha consentito di ampliare il nostro perimetro di attività, divenendo l’entry point delle risorse del Piano di Investimenti per l’Europa (“Piano Juncker”), consulente finanziario della Pubblica Amministrazione per l’utilizzo di fondi nazionali ed europei, catalizzatore di risorse finanziarie di altri soggetti pubblici e privati. Dal 2016 siamo l’Istituzione Finanziaria per la Cooperazione allo Sviluppo italiana. Con questo ruolo puntiamo a diventare protagonisti nella strategia di promozione dello sviluppo sostenibile su scala globale”.

Cosa vuol dire “riconosciuti dal Governo”: e il Parlamento dov’era?

Trent’anni fa si erano privatizzate le banche pubbliche, poi si sono tolte di mezzo le Casse di risparmio come banche, infine si erano chiuse l’Iri, la Gepi e le Partecipazioni statali (con tanto di referendum).

All’insegna di “privato è bello” e “privatizzare tutto”.

Adesso si è creata una banca pubblica che investe in tutti i settori possibili (anche nell’acciaio e nell’Alitalia, dovrebbe anche acquisire le autostrade) e di fatto si è creata una Iri e una Gepi, tutt’uno, quatti quatti, tutti d’accordo, maggioranza e minoranza, vari governi e varie opposizioni. Sarà perché i posti da spartire sono tanti: CDP, CDP Equity, CDP Reti, CDP Industria spa, Sace, Fintecna, CDP Immobiliare, CDP immobiliare sgr. Insomma in capo a CDP ci sono partecipazioni in oltre ottanta società: dall’Eni alla Fincantieri, dalla Rocco Forte Hotels Ltd al Fondo italiano d’investimento Fondo dei Fondi, dall’Italian Recovery Fund all’Italgas, dall’African Trade Insurance Company alle Manifatture Milano spa, dalle Poste Italiane all’Ansaldo Energia spa, dall’Open Fiber spa alla Telecom spa, dalla Salini Impregilo alla WeSportup.

Guardate il “societogramma” (così definito dalla stessa Cassa) della CDP e vedrete quanti posti nei consigli di amministrazione, quanti posti “di lavoro” sono a disposizione degli amici degli amici delle varie correnti di potere (usare il termine partiti mi sembra esagerato): da D’Alema a Salvini, da Renzi a Di Maio, da Franceschini a Forza Italia.  Avanti c’è posto per tutti. Intanto l’amministratore delegato della CDP, Fabrizio Palermo, è stato voluto da Di Maio, anche per occuparsi di Alitalia. Per inciso, Di Maio con il beneplacito della Lega ha sistemato i suoi uomini anche all’Inps e all’Anpal, quella dei navigator del Mississippi.

Mi è venuto un dubbio: e “Invitalia” che ci sta a fare?  “Invitalia è l’Agenzia nazionale per lo sviluppo, di proprietà del Ministero dell’Economia. Dà impulso alla crescita economica del Paese, punta sui settori strategici per lo sviluppo e l’occupazione, è impegnata nel rilancio delle aree di crisi e opera soprattutto nel Mezzogiorno. Gestisce tutti gli incentivi nazionali che favoriscono la nascita di nuove imprese e le startup innovative. Finanzia i progetti grandi e piccoli, rivolgendosi agli imprenditori con concreti piani di sviluppo, soprattutto nei settori innovativi e ad alto valore aggiunto. Offre servizi alla Pubblica Amministrazione per accelerare la spesa dei fondi comunitari e nazionali e per la valorizzazione dei beni culturali. È Centrale di Committenza e Stazione Appaltante per la realizzazione di interventi strategici sul territorio”.

Leggendo il sito dell’azienda guidata da quel simpaticone e bravissimo manager (voluto da D’Alema e Conte e che tutto il mondo ci invidia, che fa anche il commissario per il covid-19), l’amministratore delegato Domenico Arcuri, sembra che l’azienda occupi alcuni spazi comuni con la CDP ma soprattutto sembra  la nuova Cassa per il  Mezzogiorno (quella vecchia venne sciolta nel 1993), che infatti si occupa di Ilva.

Naturalmente di tutte queste aziende non sono indicate le retribuzioni degli amministratori e dei dirigenti. (pardon del “management team”, perché le qualifiche in inglese sono d’obbligo): pensavo che tutte le aziende pubbliche dovessero rendere pubblici i compensi e fosse obbligatorio avere una pagina internet di “amministrazione trasparente”, ma mi sbagliavo.

Adesso dunque, oltre alla Rai, si creerà un altro giocattolo, la “Netflix italiana”. E  intanto il presidente del Consiglio vuole creare una task force di 300 persone per gestire il “Recovery fund”.

Forse, più che ridurre gli stipendi dei parlamentari (siamo quasi a tre mesi dal referendum e nulla è stato fatto), di fatto bisogna equipararli ai compensi che percepivano prima di fare i parlamentari, visto che tra dpcm e aziende pubbliche, il Parlamento è chiamato solo a ratificare quanto fa il governo o per meglio dire Conte,  e le varie aziende.

(questo articolo, con il consenso dell’amministratore del blog, è ripreso dal sito www.ilmigliorista.eu)

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Archiviato in:Redazionale

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Dario dice

    10 Dicembre 2020 alle 07:50

    Prima mi incazzavo. Adesso mi viene solo angoscia perché è evidente che non c’è via d’uscita. E la classe dominante è sempre più apertamente arrogante. L’accumulo di potere e ricchezza sempre più riservato…

    Rispondi

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