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Solo Riformisti

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2 giugno. Festa della Repubblica

Occorre ristabilire il primato del 2 giugno quale Festa fondante della repubblica. È necessaria una festa nazionale che ci induca a riflettere sul nostro Paese, sui suoi tanti problemi ma anche sulle sue residue potenzialità.

1 Giugno 2023 da Stefano Marchesotti Lascia un commento

In ogni Paese la festività nazionale è un evento fondamentale: pensate al 14 luglio nella vicina Francia, oppure al 4 luglio per gli statunitensi.

In Italia, al contrario, il 2 giugno non è mai diventato un momento di celebrazione e coinvolgimento popolare. Al punto che dal 1977 al 2001, per ben ventiquattro anni, la festività fu soppressa, riservando qualche modesta celebrazione, perlopiù di impronta militare, alla prima domenica di giugno. Una specie di festa della mamma o dei nonni, insomma. Facendo del nostro Paese l’unico privo di una celebrazione nazionale, dato che con la stessa legge del 1977 fu abolita anche la Festa dell’Unità Nazionale, che si celebrava il 4 novembre a memoria della vittoria nella Prima Guerra mondiale.

Nulla avviene a caso.

In molti avevano pensato, in quel lontano 1946, che l’Italia potesse iniziare un inarrestabile cammino di crescita morale e culturale. Approfittando di quello che Piero Calamandrei definì un autentico “miracolo della ragione”: una Repubblica proclamata per libera scelta di popolo mentre era ancora sul trono il re.

Al contrario tale momento di festa fu ben presto offuscato, o forse deliberatamente emarginato.

Il nostro è un Paese che non ama la storia, men che meno la sua.

Ancora oggi i testi scolastici poco si occupano della nascita della Repubblica e, comunque, in modo superficiale e anacronistico. Generalmente liquidano il 2 giugno in cinque righe e restituiscono una visione molto semplificata dell’origine della Repubblica, nata malamente in un’Italia spaccata in due e con una debole legittimazione popolare.

Neppure i partiti usciti dal secondo dopoguerra amavano fino in fondo questa celebrazione. Le forze moderate e centriste per il timore di un nazionalismo che potesse ricordare alcuni aspetti del “ventennio”. Il mondo cattolico per una diffusa diffidenza verso lo Stato, seguita a Porta Pia, al Sillabo e al celebre non expedit. La sinistra per la sua diffidenza verso le manifestazioni di patriottismo e le esibizioni militari.  Allora, perlomeno, quando era impensabile che il suo principale partito fosse il può severo custode della alleanza atlantica.

Abbiamo scordato che la Repubblica, e con lei la Costituzione, sono una grande vittoria, in un Paese che non è più capace di raccontare vittorie ma preferisce celebrare vittime.

Occorre ristabilire il primato del 2 giugno quale Festa fondante della repubblica.

E’ necessaria una festa nazionale che ci induca a riflettere sul nostro Paese, sui suoi tanti problemi ma anche sulle sue residue potenzialità.

Che sia un’occasione per riflettere su di un tema di portata più generale.

Le istituzioni democratiche odierne, quelle che sono presenti nei Paesi occidentali e che conosciamo da vicino come cittadini, sono da tempo rimesse in discussione in modo profondo, al punto che siamo entrati in una fase, i cui esiti sono ancora aperti e in divenire, di una loro ridefinizione e di ricerca di forme nuove da affiancare all’esistente. E’ sorta infatti da tempo – e si sta progressivamente approfondendo – una certa freddezza da parte di numerosi cittadini nei confronti dei circuiti della democrazia, che sempre più raramente sono in grado di appassionare e suscitare il desiderio di impegnarsi, o anche solo far balenare la considerazione che prendervi parte possa essere razionalmente conveniente.

Numerosi sono le ragioni. Innanzitutto una crescente impotenza nei poteri pubblici in un contesto di privatizzazione e mercificazione. Prendiamo ad esempio la crisi energetica: la rinuncia degli stati alla gestione diretta, con la conseguente privatizzazione, ha lasciato agli stessi, quale unica opzione, quella du distribuire denaro alle famiglie (o ad una parte di esse), con conseguenze che si riverbereranno nel futuro con effetti ancor più gravi.

E’ inoltre in forte crisi il concetto stesso di rappresentanza.

In passato, le grandi narrazioni – ad esempio il socialismo, il conservatorismo, il cattolicesimo sociale e il liberalismo – hanno assicurato il legame con una visione complessiva del divenire. Oggi, in un mondo complesso, queste grandi narrazioni non riescono più a descrivere il mondo in modo stabile, duraturo e comunicabile. E’ la celebre crisi delle ideologie, troppo spesso trasformatasi in crisi dei valori.

Non solo.

Occorre tener conto della terziarizzazione, rafforzata dalla digitalizzazione. Si tratta in prevalenza di una massiccia reincorporazione della cultura concepita come mezzo di produzione, come motore per l’accumulazione. È, in un certo senso, la nascita del capitalismo dell’informazione. L’informazione, la formazione e i contenuti culturali sono considerati alla stregua di merci. Questa prima mutazione provoca l’abbattimento delle barriere tra la dimensione economica, sociale, culturale e politica, permettendo a quella economica di diventare egemone.

Inoltre non scordiamoci della cosiddetta accelerazione che, come ha mostrato il sociologo tedesco Hartmut Rosa, si riflette nell’obsolescenza sempre più rapida di conoscenze, schemi di pensiero e punti di riferimento, che dovrebbero permetterci di comprendere il mondo. L’accelerazione è quindi la sterilizzazione di un presente, separato dal suo passato e privo di una visione del futuro.

Dobbiamo dare nuova linfa alla democrazia e alla sua estrinsecazione individuale.

Come recentemente sostenuto dal professor Luc Carton, dell’Università Cattolica di Lovanio, ogni modalità di democrazia merita di essere esplorata criticamente, merita di essere rispettata e ripensata, al pari della valutazione democratica e pubblica delle politiche conseguenti. Anche perché, oggi, la nostra esperienza della democrazia è scarsa. È praticamente assente nelle imprese e nei servizi pubblici. È insoddisfacente nei sindacati, nelle cooperative, nei partiti politici e persino nel settore associativo.

Riflettere su questo, sulla crisi delle democrazie, sulle facili scorciatoie che portano guai, sulla necessità di uno sviluppo democratico che deve necessariamente essere altro rispetto a quello del novecento, ci consentirà di dare pregio alla nostra Festa Nazionale.

Permettendoci di festeggiarla con la discrezione della consapevolezza.

Buona Festa della Repubblica!

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