La maggior parte dei militanti più accesamente di sinistra e di destra è convinta che l’economia mondiale sia minata dalla finanza: l’economia è sana finché consiste nella tangibile produzione e commercio di beni e servizi, mentre è malsana quando entra in gioco la finanza, perché questa è essenzialmente speculazione. È ancora, però, chi la pensa in quel modo a reclamare a gran voce lo “scostamento di bilancio” perché possa aumentare la spesa pubblica corrente in deficit, senza rendersi conto che questa operazione è possibile soltanto se si mette tra parentesi l’economia (che da sola non la consentirebbe) e si ricorre alla finanza internazionale anche a costo di… finanziarla copiosamente. I soli interessi che paghiamo ogni anno sul nostro debito pubblico sono già quasi arrivati a 100 miliardi di euro.
Quelli che la pensano in quel modo sono gli stessi che, da sinistra o da destra, un giorno rimproverano all’Unione Europea di imporre delle limitazioni alla nostra libertà di indebitarci, il giorno dopo se la prendono con la finanza internazionale perché ci tratta da “osservati speciali” a causa dell’enormità del nostro debito pubblico e, se non lo riduciamo, chiede interessi più alti per prestarci il denaro.
Sono gli stessi che vorrebbero una riaffermazione della “sovranità” dell’Italia senza limitazioni: una sovranità che stesse al di sopra anche dell’Unione Europea, facendola tornare a essere soltanto un’alleanza tra Paesi amici. Dimenticano che possiamo permetterci di convivere con un debito ormai prossimo a una volta e mezzo il nostro prodotto annuo lordo solo perché siamo protetti dalla solidità della moneta che usiamo – l’euro – e dalla Banca Centrale Europea che acquista gran parte dei nostri buoni del Tesoro. Se oggi possiamo fare ricorso al mercato internazionale per far fronte ai grandi shock della pandemia e della guerra – come effettivamente occorre fare – è perché stiamo dentro questo sistema economico-finanziario. Viceversa, la decisione dell’Italia di fare “sovranamente” senza la UE sarebbe seguita immediatamente dalla sua bancarotta.
(Questo articolo, con il consenso dell’autore, è ripreso dal sito www.pietroichino.it)
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