La questione del ricorso al mercato borsistico per finanziare investimenti della multiutility infiamma il dibattito politico cittadino. Ma quando la politica si immette in questioni tecniche quasi sempre accade che si portano avanti argomentazioni non sostenibili o semplicemente scontate. Ad esempio, non basta dire che le scelte in tema di finanziamento della multiutility dovranno privilegiare investimenti e tariffe, un’affermazione sacrosanta e incontrovertibile, ma che necessita di un breve approfondimento. Prendiamo il Servizio idrico integrato verso cui maggiore è la sensibiltà politica. La sua struttura tariffaria segue il Principio del full cost recovery, riconosciuto da svariate sentenze del Consiglio di stato come un principio coerente con le normative europee e nazionali e perfino coerente con le indicazioni del referendum erroneamente noto come “acqua pubblica”.
Secondo questo principio, tutte i costi giustificati, cioè riconosciuti dal Regolatore nazionale, ARERA, devono rientrare nella copertura tariffaria. Rientrano quindi in tariffa gli ammortamenti degli investimenti, i costi fiscali, i costi finanziari e i costi ambientali e anche parte dei costi sostenuti da soggetti diversi dal gestore che apportano finanziamenti per gli investimenti che vengono gestiti dal gestore stesso. Ciò necessariamente ha svariate conseguenze.
In primo luogo, è chiaro che maggiori investimenti comunque finanziati implicano tariffe potenzialmente più elevate e non può essere che così, essendo la distribuzione dell’acqua un servizio universale, cioè con accesso garantito a tutti, il suo prezzo al consumo regolato da un’autorità indipendente, con criteri oggettivi e standardizzati, ne rappresenta il valore sociale. Maggiori investimenti, maggiore qualità accrescono il valore sociale di un’unita di acqua al consumo.
In secondo luogo, il livello della tariffa dipende dai costi del capitale investito, sia preso a prestito da banche o altri istituti finanziari, sia apportato da soci, per esempio sottoscrivendo quote azionarie. Pertanto, la scelta tra capitale proprio o preso a prestito deve essere effettuata considerando i costi delle due fonti di finanziamento. ARERA, fornisce formule molto sofisticate per calcolare i due costi e compararli. Il confronto dipende dall’andamento dei mercati finanziari e dalle misure di rischio che lo rappresentano, per cui la scelta deve essere flessibile e soprattutto non imporre a priori l’esclusione di una soluzione o l’altra. Se, ad esempio, si esclude il ricorso alla quotazione in borsa, per motivi di schieramento ideologico o politico, si fornisce un potere di mercato alle istituzioni finanziarie prestatrici che sono indotte a pretendere alti i costi del finanziamento: il gestore è in altre parole costretto ad andare in banca con il cappello in mano, non avendo alternative.
Gli oppositori del ricorso alla quotazione in borsa sostengono si tratti di una privatizzazione mascherata. E’ vero e non è neppure mascherata, nel senso che un aumento di capitale allarga inevitabilmente la platea dei proprietari, ma cruciale è la quota complessiva che garantisce il controllo del capitale e quindi del management e degli obbiettivi strategici del servizio. Se la volontà è di mantenere il controllo pubblico basta regolare la composizione degli azionisti.
In terzo luogo, se una società di servizi è quotata in borsa è sottoposta al controllo oltre che del Regolatore nazionale e quello regionale anche della Consob. Ciò fornisce elementi per considerare che l’aspetto sociale della gestione del servizio sia del tutto tutelato, molto più che con il “controllo analogo” di una società in-house, forse il vero obbiettivo, se pur inconfessato, degli avversari della borsa.
Il futuro della multiutility, cosi come la nuova pista dell’aeroporto e la formazione di un impianto moderno di incenerimento dei rifiuti non riciclati, sono le partite concrete su cui si misura il tasso di riformismo del Comune di Firenze e della Regione, e su quelle dovrebbero essere modellate concretamente le alleanze nel centrosinistra.
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