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Solo Riformisti

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La Meloni non è fascista ma populista

Chi ha parlato del rinnovato tocco di cipria sul volto della Meloni, non ha ancora  capito di avere a che fare con una tosta, che ha fatto seriamente politica da quando era ragazzina e ora è stata capace di mettere in riga un vegliardo come Silvio Berlusconi

15 Agosto 2022 da Roberto Riviello Lascia un commento

Ha avuto una giusta idea nel rivolgersi alla stampa straniera in tre lingue, inglese francese e spagnolo, per spiegare una volta per tutte che Fratelli d’Italia aveva archiviato già da tempo  il fascismo e tutto quello che di atroce ne derivò, come le leggi razziali. Visto che si è piazzata in pole position nella compagine di centrodestra e sta riscaldando i motori in attesa della fatidica partenza del 25 settembre, Giorgia Meloni ha ritenuto opportuno chiarire per interposta persona ai vertici della UE e soprattutto agli alleati americani che non c’è nessuna intenzione da parte sua, una volta conquistata la premiership, di scardinare dall’interno le istituzioni europee o di minare l’alleanza atlantica.

Non è un’uscita dell’ultima ora la sua, visto che ha già dimostrato la sua fede atlantista nei fatti  con il governo Draghi, quando, pur essendo saldamente all’opposizione, ha dato totale supporto alla linea pro Ucraina; a differenza di altri che stavano dentro il governo, ma flirtavano un giorno sì e uno no con Putin e i vari ambasciatori e propagandisti russi in Italia.

Chi ha parlato del rinnovato tocco di cipria sul volto della Meloni, non ha ancora  capito di avere a che fare con una tosta, che ha fatto seriamente politica da quando era ragazzina e ora è stata capace di mettere in riga un vegliardo come Silvio Berlusconi, che l’ha pubblicamente definita matura per diventare capo di un governo di centrodestra; mentre non mi risulta che il Cavaliere si sia mai espresso allo stesso modo nei confronti di Matteo Salvini.

Anche l’aver chiamato “a coorte” le truppe democratiche-progressiste in nome dell’antifascismo in stile Cln, e così avendo imbarcato nell’alleanza l’estrema sinistra e fatto fuggire a gambe levate Carlo Calenda, non sembra aver assicurato al PD una posizione di vantaggio. Forse, se negli ultimi due anni, anziché incaponirsi con l’alleanza con i populisti cinquestellati e i loro leader demenziali, Enrico Letta avesse cercato di costituire un fronte liberal-democratico con Renzi, Calenda e la parte più centrista di Forza Italia, oggi avremmo ancora un certo Mario Draghi, magari in un Draghi-bis, a garantire la realizzazione del Pnrr.

Ma torniamo a Giorgia Meloni che di incipriamenti e tacchi a spillo se ne sbatte perché bada al sodo, cioè alla conquista del potere. Inutile sperare di arginarla ripetendo il mantra dell’antifascismo e della Costituzione non si cambia. Non ci crede più nessuno – a parte i soci dell’Anpi, le Sardine e i veterocomunisti alla Fratoianni – che in Italia c’è ancora il pericolo incombente del fascismo. Enrico Letta, allora,  farebbe bene a inventarsi un’altra comunicazione, se non vuole finire distanziato dal bolide della Meloni quando si tratterà di scendere in pista.

Una cosa va detta anche a lei. E’ brava, è competente, è coerente ed è giustamente ambiziosa; ma un difetto ce l’ha, ed è anche grosso. Si tratta del populismo, che è una roba di cui un leader con ambizioni da statista dovrebbe correggere se non provare a superare. Il populismo, di sinistra quanto di destra, lo abbiamo incontrato molto spesso negli ultimi anni e di esempi se ne potrebbero fare tanti. Quelli che si vantarono di aver abolito la povertà grazie al reddito di cittadinanza erano populisti; quelli che promisero di rimandare in patria tutti i clandestini erano populisti; ma anche chi, più recentemente, scrive nei programmi elettorali che le tasse saranno abbassate con un colpo di bacchetta magica dall’oggi al domani è un populista.

E Giorgia Meloni, per quanto brava e intelligente sia, che continua a dichiarare fattibile un blocco navale davanti alla Libia per fermare l’immigrazione irregolare, beh, anche lei fa del populismo: perché non si rende conto o fa finta di non saperlo che oggi in Libia ci sono la Russia e la Turchia con le loro forze armate, navali e di terra, a presidiare l’area; e chiunque abbia i piedi per terra e non sulla luna capisce che mandare lì le nostre navi da guerra sarebbe come buttare benzina sul fuoco. Non basta la guerra in Ucraina? davvero ne vogliamo un’altra qui vicino nel Mediterraneo?

Ecco ciò di cui ha veramente bisogno la Meloni: non di lezioni sull’antifascismo che non le servono e non la riguardano, ma di abbandonare le facili scorciatoie del populismo per incamminarsi sul sentiero del realismo e della responsabilità. Insomma, più Margaret Thatcher e meno Marine Lepen.

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Info Roberto Riviello

R.R. nel 1978 si è laureato in Filosofia nell'Università di Firenze ed ha sempre insegnato negli istituti secondari della Toscana. Ha scritto per la radio, il cinema e il teatro. Trascorre il suo tempo libero passeggiando in campagna. È appassionato di storia, arte e cucina.

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