Messa in minoranza dagli elettori, la sinistra prova a costruire un’alternativa che si candidi al governo del Paese. Ma il progetto non si fonda su un programma, ha come unico collante la guerra alla destra. E il perché è ovvio. Si tratta di un’alleanza tra partiti di diversa cultura politica, diversi valori, diversa constituency, diversi interessi. Un’alleanza tra liberali e populisti, mercatisti e statalisti, garantisti e giustizialisti, moderati ed estremisti. Tra Conte e Renzi, il diavolo e l’acqua santa. Si può mai pensare a un programma comune tra Conte e Renzi? Si può mai pensare di metterli assieme in un governo?
Il fatto è che stiamo parlando della più grave malattia di cui la sinistra italiana soffre storicamente e che ne fa un caso unico in Occidente. Una sinistra che, all’alba del Novecento, si spacca con virulenza tra massimalisti e riformisti. Che poi nel 1921 si scinde, come molte sinistre nel mondo, tra socialisti e comunisti, ma che non sanerà mai quella frattura e anzi vedrà una lotta senza quartiere tra i due partiti. Che non avrà mai la sua Bad Godesberg. Che mai, durante la prima Repubblica (con l’eccezione del 1948), si presenterà unita all’elettorato. Che, dopo il crollo del Muro, preferirà mischiarsi ad altre culture politiche, dando vita a un ircocervo come il Partito Democratico, erede innaturale del Pci e della sinistra Dc. Che infine, nella seconda Repubblica, arriverà sì a governare, ma sempre all’interno di coalizioni disomogenee, tenute assieme solo dalla demonizzazione degli avversari, il corrotto Berlusconi, il secessionista Bossi, il fascista Fini.
E questo è, ancora oggi, il progetto del “campo largo”. Disomogeneo, privo di un programma, cementato unicamente dall’opposizione alla destra.
Pubblicato su “nagorà” laboratorio di idee.
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