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Solo Riformisti

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Come difendersi dal Grande Fratello

Nella società digitale tutto può essere connesso e usato per finalità positive o attività criminali. Il difficile equilibrio fra sicurezza e libertà. Nostra intervista a Marco Mayer, esperto di cybersecurity

13 Gennaio 2020 da Redazione Solo Riformisti Lascia un commento

 Cybersecurity: una parola che ormai ricorre sempre più nel dibattito pubblico, ma della quale la gran parte ignora il significato. Ci aiuti a spiegare.

I processi di digitalizzazione pervadono e connettono l’intera società riproponendo antichi pericoli e creando nuovi rischi: dallo spionaggio politico a quello industriale, dall’invasione della vita privata alle campagne di odio, dalla dipendenza psicopatologica da abuso di computer e smartphones alla potenziale distruzione  delle infrastrutture critiche (energia elettrica, acqua, ecc.). Viviamo in una società digitale in cui quasi tutto (persone, organizzazioni, oggetti) può essere connesso per finalità positive (si pensi alla telemedicina) o per attività criminali di carattere transnazionale. Non basta difendersi con tecnologie sofisticate perché il fattore umano resta determinante. In Iran nel 2007 è bastato l’inserimento di una chiavetta USB per danneggiare seriamente le centrifughe delle centrali nucleari (il caso è noto come Stuxnet).  Uno dei problemi più grandi è la possibilità di agire in anonimato. In un mondo ideale si potrebbe proibire, ma non possiamo dimenticare che molte parti del mondo sono governate da regimi illiberali. Rendere tutto tracciabile significherebbe impedire il dissenso e chiudere la bocca ad ogni forma di opposizione.

I cittadini vedono restringersi i loro privato, la privacy è sempre più minata dalle tracce che ciascuno lascia nella rete e nelle piattaforme digitali: spesso le informazioni vengono utilizzate per profilare l’utente a scopi commerciali e di marketing ma sempre più spesso per orientarne l’opinione politica. Il caso Cambrige Analytica è lì a ricordarcelo. Come si deve operare per salvaguardare la nostra riservatezza, ammesso che sia possibile anche per nostre libere scelte (uso carte di credito, ecc.). 

 In tutta la Cina da quest’anno sarà in vigore il Social Credit System una forma di monitoraggio governativo che coinvolge l’intera comunità dei cittadini. L’utilizzo dei cellulari e delle videocamere consente una sistematica sorveglianza di massa con tanto di premi e punizioni attribuiti sulla base di un punteggio che indica il livello di reputazione sociale. Questa impostazione è molto lontana dai valori liberal democratici che ispirano la nostra Costituzione. Naturalmente anche in occidente esistono pesanti forme di intrusione, ma generalmente sono proibite dalla legge. In ogni caso esiste un sistema di pesi e contrappesi che punta a salvaguardare (pur in condizioni sempre più difficili) l’equilibrio fisiologicamente instabile tra sicurezza e libertà.

Con le informazioni si combattono guerre virtuali, ad esempio per condizionare elezioni politiche in paesi avversari: si pensi solo al ruolo della Russia nelle elezioni americane, si pensi allo sviluppo del 5G con la guerra alle aziende cinesi come Huwaei. E l’Italia che fa, unico paese occidentale ad avere ceduto alle lusinghe della via della seta? 

Il comitato di controllo parlamentare sui servizi segreti (COPASIR) il mese scorso ha lanciato all’unanimità un allarme sul potenziale ruolo negativo delle aziende cinesi nell’ambito delle telecomunicazioni anche in relazione alle nuove tecnologie 5G. Attendiamo di verificare le reazioni puntuali dell’esecutivo anche in relazione alle politiche assunte dalla NATO e dalla UE.  Come è noto il Ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli del M5S ha preso le distanze dal COPASIR; per quanto    è dato sapere la sua dovrebbe essere una posizione isolata.

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