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La mossa di Trump

Il raid USA in Iran è parte integrante del progetto «America first». Con quella mossa a sorpresa Trump ha riportato gli Stati Uniti al centro della scena globale

13 Gennaio 2020 da Daniele Marchetti Lascia un commento

Al di là delle cause interne (procedura di impeachment, calo dei consensi e l’imminenza delle elezioni presidenziali) che molti hanno addotto a vere motivazioni dell’operazione, il raid USA che ha portato all’uccisione del generale Qassem Soleimani: abile stratega del regime iraniano, ha un valore geopolitico e geostrategico enorme.

Con una mossa a sorpresa (ma tutt’altro che improvvisata o scriteriata), Donald Trump ha riportato gli Stati Uniti al centro della scena globale. Un colpo a suo modo “raffinato”, per gran parte simbolico, ma dal significato politico inequivocabile: l’America è ancora il fulcro del potere mondiale.

Anche la metodologia assai spicciola, ruvida, pericolosa, sfrontata, dal vago sapore “imperialista”, utilizzata dall’inquilino della Casa Bianca conferma e se possibile accentua il significato “di rottura” dell’operazione iraniana ribandendone la portata politica: gli USA comandano il mondo al di là di ogni Istituzione internazionale e nonostante ognuna di esse. L’ America non deve chiedere il permesso a nessuno né informare nessuno (alleati, NATO o quant’altri) per difendere i propri interessi e quelli dell’Occidente.

La questione va ben oltre il galateo istituzionale, la cortesia politica o il “disprezzo” delle formalità diplomatiche su cui molti commentatori si sono soffermati. La posta in gioco riguarda la sfera emotiva e il simbolismo politico. La “nuova” America ha bisogno non solo di comandare ma di apparire “il dominus” del mondo.

“America first”, appunto!

Quello slogan ritenuto sbrigativamente e semplicisticamente un ideologico invito al voto dell’esaltato di turno, con l’operazione Soleiman sembra svelare la sua autentica valenza ideale e politica. “America first” è la versione 2.0 del “sogno americano” internamente sostenuto con l’esaltazione e la protezione del «made in USA» ed a livello globale “imposto” con il rilancio dell’egemonia cultural-militare americana.

Anche lo svincolamento dagli organi internazionali NATO, ONU, UNESCO sovente letta come “ignoranza democratica” appare invece funzionale alla riconquista e alla riaffermazione di quella supremazia geopolitica che, soprattutto sotto la presidenza Clinton (1993-2001), si era talmente svilita da offrire il fianco agli attacchi terroristici dell’indimenticabile ed indimenticato 11 settembre 2001 con i quali il “gigante” a stelle e strisce mostrò al mondo i suoi piedi d’argilla.

Un’onta che l’orgoglio USA non ha mai accettato e che, spesso con eccessi insopportabili, insostenibili e talvolta irrazionali, sembra trovare riscatto nell’offerta di rivincita economico-culturale (e non solo militare come vorrebbe la tradizione repubblicana) trampiana.

Quel nuovo sogno americano con cui, nonostante tutto, la politica americana dovrà fare i conti anche il prossimo 20 novembre.

 

 

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Info Daniele Marchetti

Daniele Marchetti (Lucca, 1965) risiede a Firenze. Laureato in scienze biologiche, specializzato in epistemologia nell'Università di Pisa e perfezionato in bioetica e biotecnologie nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dal 1997 è abilitato alla professione di biologo e dal 2003 è giornalista iscritto all'Ordine della Toscana. Già ricercatore nell'Università di Firenze e titolare di una borsa di ricerca del ministero degli Esteri, nel 2001 entra in Consiglio regionale della Toscana come funzionario e nel 2009 guida, con la carica di dirigente, una segreteria istituzionale. Dal 2010 è stato responsabile dell'ufficio stampa di un gruppo consiliare.

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