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Solo Riformisti

Uno spazio aperto al confronto, civile e concreto, e un’occasione di riflessione. Per restare ancorati alla realtà, senza rinunciare agli ideali, per rifiutare le posizioni ideologiche, per riaffermare i valori democratici.

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Ma in fondo cosa c’entrava Draghi con l’Italia?

I primi antipasti di campagna elettorale già illustrano quanto potremo degustare: promesse mirabolanti, moltiplicazioni delle pensioni e dei pesci, tutela di qualunque posizione di rendita, meno tasse ma più spesa.

31 Luglio 2022 da Claudio Negro Lascia un commento

Ci sarà tempo, purtroppo, per esaminare nel merito e misurare i danni che la fine del governo Draghi infliggerà al Paese. Al momento pare che la Politica sia scarsamente interessata, tranne qualche pezzo riconducibile all’area riformista: vi sono segnali evidenti di un ritorno alla politique politicienne, stavolta in versione coatta.
Ciò detto, la crisi può essere esaminata sotto una serie di punti di vista: i più immediati ed emotivi attengono all’irresponsabilità/incompetenza di quella parte di gruppo dirigente politico che ha determinato la crisi. E qui possiamo elencare la palese inadeguatezza di un gran pezzo di parlamentari: chi vota contro Draghi per via dell’inceneritore di Roma, chi si offende per le (ovvie) osservazioni sull’attuazione del 110%, chi si offende perché Draghi segnala che il metodo degli strattoni e dei penultimatum non giova alla stabilità, chi si offende perchè non si sente adeguatamente apprezzato. Stupidaggini, ma che nell’immaginario di chi le brandisce valgono assai più del PNRR, del costo del debito, delle riforme, disegnando così e manifestando la propria mappa mentale della scala dei valori: una cosa utile, di cui tenere conto al momento delle scelte politiche.

Esiste poi (o magari prima) l’aspetto dei dissensi politici di merito: sempre legittimi, in democrazia, e soprattutto utili a delineare il profilo delle forze politiche che li manifestano. E qui il panel è assai ampio, andando dalla riforma del catasto alla legge sulla concorrenza, con relative jaqueries di bagnini e tassisti, all’esigenza di liquidare la Legge Fornero per consentire pensioni anticipate a chiunque sia stufo di lavorare, ad aspettative sulla riforma fiscale campate in aria, ingarbugliate e per lo più in contrasto tra loro, alla pressante invocazione di intervenire sul cuneo fiscale-contributivo litigando però su chi debba trarne beneficio e chi debba pagare (mostrando in questo caso un’ignoranza della questione che precede la confusione mentale), al salario minimo inteso (sempre grazie all’ignoranza) come una promozione degli aumenti salariali (una specie di Reddito di Cittadinanza degli occupati), alla richiesta mantrica di scostamento di bilancio per finanziare questo o quel capriccio.  Sorvoliamo su altre numerose minuterie e vediamo che il dissenso sulle scelte politiche ha riguardato perfino una cosa come la collocazione internazionale dell’Italia, messa in discussione da numerose “comprensioni” espresse a Putin e dai tentativi “paciofili” di ritirare il sostegno concreto all’Ucraina.

Questi due primi punti di vista ci consegnano un quadro devastato ma orribilmente veritiero del sistema politico: credo sia percepibile come sia gran parte dei singoli Parlamentari, ma anche buona parte degli stessi gruppi dirigenti dei Partiti, siano al livello più basso mai registrato nella storia repubblicana dal punto di vista della cultura (non solo quella politica ma anche quella generale) e della competenza di merito, sia per quanto concerne il mestiere della politica che per quanto riguarda la conoscenza degli argomenti oggetto delle scelte politiche. Cui si aggiunge anche un cinismo entusiasta, da neofiti, che in confronto la Prima Repubblica era una fiaba dei Grimm.

Del resto solo così (un po’ antropologicamente) si spiega la levità con cui qualche centinaia di senatori ha levato la corrente al Governo Draghi, valutando che a loro stessi e al loro partito convenisse andare alle elezioni, e/o tenere il punto di fronte alla claque potenzialmente elettorale di bagnini, tassisti, pensionandi, anti-catasto, no gassificatori, anti-sanzioni-se-no-Putin-non ci-dà-il-gas, ecc., piuttosto che preoccuparsi del fatto che, a causa della crisi di governo, possa essere a rischio l’attuazione del PNRR, e quindi i miliardi che dovremmo ancora ricevere dall’UE; o che le dimissioni di Draghi possano creare un grave problema di credibilità all’Italia in termini di affidabilità finanziaria e quindi di costo del debito pubblico (ahime, temo che i cantori dello scostamento di bilancio non abbiano cognizione che il debito pubblico vada prima o poi pagato!); o che la mancanza di Draghi possa influire negativamente sulla questione del price cap al gas, o al sistema di risposta UE all’aggressione russa all’Ucraina.
D’altra parte i primi antipasti di campagna elettorale già illustrano quanto potremo degustare: promesse mirabolanti, moltiplicazioni delle pensioni e dei pesci, tutela di qualunque posizione di rendita, meno tasse ma più spesa, grazie al magico meccanismo, recentemente scoperto, dell’esoterico “scostamento di bilancio”, di cui si parla in tutti bar dell’hinterland milanese. Una plastica metafora del futuro è nella scena di Grillo che torna a calcare la scena politica mentre Draghi se ne va… Ma anche nell’area che avrebbe voluto che Draghi continuasse la confusione è inversamente proporzionale alla pochezza di pensiero politico: aver teorizzato per 500 giorni l’alleanza tra PD e M5S è stato un grave errore politico, del quale molti avevano avvisato Letta. E adesso è difficile proporsi come i titolari dell’Agenda Draghi se poi si pretende di scegliere tra draghiani buoni, con cui allearsi, e draghiani cattivi, da cacciare. E lasciando ambiguamente aperta la porta all’Agenda Landini.

Tuttavia, mi pare giusto riconoscerlo, non si può imputare tutto al personale politico, che in fondo è in gran parte immagine e proiezione degli italiani in carne ed ossa. E che in una situazione difficile hanno manifestato di quale stoffa sia fatta la maggioranza di essi. Troviamo così la gilda dei tassisti e quella dei bagnini, la congrega di chi teme il catasto (occhio non vede…), la consorteria di chi non vuole pagare costi per la guerra in Ucraina, la camarilla degli amici di Putin (a noi conviene di più…), le numerose conventicole che proteggono piccoli privilegi e/o rendite di posizione contro le libertà  di mercato e la concorrenza, le congreghe che si raccolgono attorno a tutti i NO che possono garantire che nulla cambi, che il terrore del nuovo venga coccolato e assecondato, dai rigassificatori alle linee AV. Troviamo un’ignoranza diffusa e profonda, basti leggere i dati PISA e sull’analfabetismo funzionale, ma la scuola nei suoi sindacati si compiace di se stessa, si inorgoglisce dei 100 e lode alla maturità in Puglia e Calabria, non intende consentire a che questo Ziggurat della sapienza possa cambiare. Abbiamo imprese che cercano lavoratori e giovani che cercano imprese, ma non si incontrano: però invece di cercare le cause del fenomeno media, sindacalisti e popolo dei bar preferisce la narrazione dolente ed esimente dei salari da fame e del precariato.  Prendiamo atto che 8.248.000 lavoratori dipendenti su 21.464.000 (ossia quelli che guadagnano fino a 15.000 € l’anno) non pagano imposte sul reddito, ma la vox populi crede profondamente che il fisco pesi sulle spalle dei meno abbienti, chiede sgravi per chi già le tasse non le paga e più pressione su chi le tasse le paga.

Stiamo parlando di un Paese la cui popolazione, in larghissima e forse maggioritaria parte, risponde culturalmente ed emotivamente a istanze di gruppo, categoria, interessi locali, corporazioni, senza avvertire alcuna relazione con il concetto di Paese se non nella modalità feudale per cui lo Stato è allo stesso tempo ladro ed elargitore. Che concepisce la politica come clientela e difesa di interessi. Che non sa pensare al futuro se non come conservazione puntigliosa dell’attuale.
Siamo un Paese assai diviso, che mediamente (e inconsciamente) aspira al terzo mondo , o almeno al medio oriente. Che si riconosce volentieri in tutto ciò che è clientela, che su questa base elegge con piacere cacicchi e caudillos, che allo Stato chiede indulgenza per i propri interessi e protezione contro gi eventi esterni. Che diffida profondamente del libero mercato, e coerentemente fatica ad identificarsi nella cultura della democrazia liberale, se non per quanto l’apparato amministrativo può garantire in termini di conservazione.

E’ possibile che queste ultime vicende stiano scavando un fossato non solo politico ma anche antropologico nel Paese? Tra chi vuole vivere in una democrazia liberale inserita nell’occidente politico e chi ne ha paura? Magari la si potrà chiudere con lo storico “tutti insieme” di Prodi, ma temo che le interrogazioni della Storia stiano entrando in un periodo in cui si faranno sempre più pressanti. E chiederanno risposte che, evangelicamente, siano SI o NO. De Rita dice che il Paese supererà anche questa: sarà vero? E soprattutto sarà un bene..?

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Archiviato in:Economia

Info Claudio Negro

nato a Como nel 1950 ha fatto il Liceo scientifico e poi Sociologia a Trento. Ha militato nel PSI e passata quasi tutta la vita professionale nella UIL. E' stato segretario generale della UIL di Como e successivamente è passato alla Direzione nazionale dove ha ricoperto la carica di responsabile dell'ufficio Politiche industriali con Giorgio Benvenuto. Ha ricoperto l'incarico di segretario nazionale dei Chimici e poi è tornato in Lombardia con la responsabilità di segretario generale aggiunto della UIL di Milano e della Lombardia. E' in pensione dal 2017 e collabora, scrivendo di lavoro e di politica, con la Fondazione Anna Kuliscioff e con il Centro Studi Itinerari Previdenziali.

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