Che l’Unione europea sia la più importante realizzazione politica ed economica dopo la Seconda guerra mondiale è un fatto accettato dalla storiografia e dal senso comune.
Un continente sconvolto da due guerre mondiali e diviso dalla “guerra fredda” ha compiuto il “miracolo” di diventare una delle aree più sviluppate e civili del mondo, dove convivono stati nazionali che in passato hanno alimentato guerre e conflitti secolari, come la Francia o la Germania. La riunificazione del vecchio continente, dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, da mito e utopia degli europeisti sembrava diventare realtà. Così come il ritorno di tanti stati nazionali, oggi ventisette, alle regole della democrazia e dello stato di diritto. Inoltre, nessuno può sottovalutare il fatto che l’integrazione economica, specialmente per i paesi dell’Est, usciti dalla decrescita felice del comunismo imposto dall’Unione sovietica, è stata un grande successo. Un successo, come lo furono il mercato comune e il Piano Marshall dopo la guerra, per i paesi fondatori della Comunità europea, dovuto non solo ai copiosi investimenti dei paesi dell’Europa occidentale, ma alla massa di fondi strutturali Ue, pari al 3-5% annuo del Pil tra il 2007 e il 2020.
Tuttavia, proprio negli ultimi anni, davanti alle sfide della globalizzazione e delle crisi internazionali, si è potuto osservare con chiarezza tutte le fratture che dividono le economie dei paesi del Nord-Europa, più solide e meno gravate dal debito pubblico, dalle economie del Sud-Europa, Grecia, Italia, Spagna, assai più fragili nell’affrontare le crisi e i vincoli imposti dall’Unione, i famosi parametri di Maastricht.
Divisioni che negli ultimi decenni hanno tormentato il cammino dell’integrazione fra l’Est e l’Ovest dell’Unione. Si tratta di una frattura culturale e politica, per molti aspetti assai più grave di quella economico-politica fra Nord e Sud.
Come ha scritto Adriana Cerretelli in un lucido articolo sul “Sole 24 ore” del 22 luglio scorso, «l’idea della vecchia Europa era che al riscatto economico e sociale sarebbe seguito quello politico e culturale. Invece è accaduto il contrario: la crescente divaricazione tra due mondi riscopertisi intolleranti e inconciliabili».
La Commissione dell’Unione europea con la presidente Ursula von der Leyen si è sentita in dovere di minacciare di infrazione la Polonia e l’Ungheria, colpevoli di «calpestare» i valori fondamentali dell’Unione. Si tratta di “valori” importanti che nascono, però, da “storie diverse” che vanno comprese e non portate a livello di rottura. Dopo 45 anni di regime comunista i paesi dell’Est hanno riconquistato, dopo l’89, la loro libertà e la loro identità nazionale.
Lo stesso processo di ritorno all’autonomia e alla democrazia nazionale avvenne, all’inizio della guerra fredda, nei paesi fondatori della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Il nucleo di quella comunità che scelse la via funzionalista per stare insieme, rinviò l’approdo federalista che si poteva intravedere dietro la stessa idea della Comunità europea di difesa, che solo l’Italia con De Gasperi e Spinelli sostenne, ma che la Francia fece fallire: un progetto slegato dalle condizioni dei diversi paesi e soprattutto della Francia, impegnata militarmente in Indocina ed alle prese con le spinte indipendentiste delle colonie africane.
Poi il cammino riprese, come sappiamo, e di crisi in crisi si è arrivati all’Unione a ventisette.
Oggi con le lacerazioni e le questioni di identità nazionali e di valori non si può sottovalutare il rischio che corre l’Unione. Il magiaro Viktor Orban, forte di un ampio consenso nazionale espresso democraticamente, arriva ad indire un referendum sulla legge anti-LGBT per aggiungere la democrazia diretta a quella parlamentare che, pure, aveva approvato la legge in oggetto con una maggioranza assoluta (157 sì e un solo no).
Il polacco Mateusz Morawiecki risponde alla condanna della Corte europea verso la recente legge che, secondo i giudici europei, ridurrebbe l’indipendenza della magistratura, violando il diritto dell’Unione europea. Morawiecki per respingere le accuse si è appellato alla Costituzione polacca, invocando la supremazia del diritto nazionale su quello europeo. Il “relativismo culturale”, che sembra affermarsi in alcuni paesi europei occidentali e che investe le sfere più intime della società con le teorie di genere, i matrimoni omosessuali, i diritti delle minoranze sessuali, crea forti lacerazioni e divisioni marcate. Non solo nei paesi dell’Est ma anche nei paesi che, dopo la seconda guerra mondiale, fondarono la Comunità, come si può vedere con le vicende della legge Zan in Italia. L’arroccamento su nazionalismo, tradizione, famiglia, valori cristiani non si può affrontare a colpi di ricatti e minacce. La “ridotta” identitaria non riguarda solo i paesi dell’Est, che si dovevano difendere dall’uniformità imposta dal regime sovietico. Riguarda anche molti paesi europei occidentali che non sono approdati al relativismo culturale senza contrasti e resistenze. La cultura laica, liberale e multietnica dell’Unione non può cadere negli “errori politici” dell’impero sovietico, che usava i carri armati.
Come scrive Adriana Cerretelli «l’identità culturale è un magma pericoloso da maneggiare, che scatena effetti boomerang su chi ci prova». In effetti non è a colpi di diffide o a minacce o a condanne della Corte Ue che l’Unione può sperare di superare la fase critica che vive e le gravi problematiche istituzionali che stanno attraversando.
L’Europa, non ci vuole molto a capirlo, ha bisogno dei paesi del Sud per difendersi dalle minacce, compreso il fenomeno migratorio, che vengono dal Mediterraneo. Così come ha bisogno dell’Est per la sicurezza delle sue frontiere. La convivenza è obbligata fra Sud e Nord, come fra Est e Ovest. Non si può disfare ciò che è stato fatto con grande lungimiranza e saggezza, proprio mentre le trasformazioni economiche e strategiche, imposte dalla globalizzazione, di cui la pandemia, come l’emigrazione, sono effetti dirompenti, si stanno manifestando con forza crescente.
Ciò che va evitato è lo scontro sulla prevalenza o meno del diritto nazionale su quello europeo.
Bisogna ricordare che in Germania la Corte Costituzionale sottopone al proprio inappellabile giudizio di legittimità decisioni e leggi della Ue sino a proclamarne la nullità. Tanto è vero che la stessa Presidente della Commissione Ursula von der Leyen si è dovuta spingere in avanti sino ad aprire una procedura contro il suo stesso paese, che non è un paese di poco peso nell’Unione.
Le elezioni politiche in Germania e in Francia potrebbero aggravare lo scontro in atto. Ci vorranno leader di notevole statura e di buon senso per capire che la democrazia impone a tutti molta prudenza.
Ci sono, infatti, ragioni assai profonde che attraversano la “grande costruzione” europea. Concezioni del mondo e della democrazia che rivelano un vecchio vizio del Novecento: quello di scivolare nello “stato etico”, cioè nell’affidare allo Stato questioni delicate che attengono alla sfera intima, sessuale o religiosa, dell’individuo. Oppure alla libera scelta delle famiglie, come l’educazione dei minori su temi di natura molto delicata, sessuale o religiosa. Il contesto della lotta alla pandemia, con limitazioni alla sfera delle libertà individuali in nome della salute collettiva, favorisce l’aumento dei poteri dello Stato in nome dell’emergenza sanitaria. Con ciò si accresce il rischio di affidare non ai singoli la scelta di comportamenti individuali responsabili, ma allo Stato. Da qui il problema del rapporto fra l’etica della responsabilità individuale e la concezione della funzione etica dello Stato, “supremo tutelatore” della salute pubblica.
Altro tema delicato risulta quello della indipendenza della magistratura. Delicato perché il potere giudiziario viene regolato diversamente nelle diverse democrazie europee. Si pensi solo al sistema francese o al sistema italiano, che la stessa Europa ci chiede di riformare per i tanti difetti che mostra, dalla lunghezza dei processi ai troppi errori giudiziari, al rischio di politicizzazione ecc. La Commissione europea ha pubblicato il rapporto 2021 sullo stato di diritto nei paesi membri dell’Unione, da cui risulta che l’indipendenza del potere giudiziario è particolarmente disattesa in Romania, Bulgaria, Slovacchia e Slovenia. Se si dovesse allargare l’Unione ad altri paesi dell’Europa orientale che ne hanno fatto richiesta, si potrebbe arrivare ad un fronte assai più ampio di paesi che, per ragioni della loro storia, non sono allineati con i criteri di valutazione dello stato di diritto considerati in astratto.
Purtroppo la Ue non è solo una organizzazione internazionale qualsiasi, ma non è nemmeno una compiuta organizzazione sovranazionale di tipo federale. I criteri di democraticità o i valori che sottendono devono maturare nel tempo e nella coesistenza all’interno delle istituzioni europee. Tuttavia nessuno, nemmeno un giornale autorevole ma non imparziale, come il “Financial Times”, può invitare la Polonia o altri paesi membri a uscire dall’Unione su questioni delicate come quelle che investono i valori e le regole delle istituzioni democratiche. Meglio e più saggio il sistema della trattativa e del confronto fra gli organi europei e i governi nazionali o le corti costituzionali.
Occorrerà sicuramente una definizione delle materie e dei poteri per un confronto più chiaro fra le varie costituzioni degli Stati membri e i poteri sovranazionali delle istituzioni europee. D’altronde è quello che è regolarmente avvenuto quando i nuovi paesi al loro ingresso si era riconosciuto il diritto di pretendere clausole di salvaguardia per preservare loro poteri in diverse materie, per non dire della facoltà concessa di non aderire all’euro, con devastanti effetti sulla competizione interna all’Unione tra paesi, così come permangono regimi fiscali profondamente diversi e diversi sistemi di welfare
Certamente se la Unione europea vuole essere un sistema politico democratico, il suo buon funzionamento richiede una condivisione di valori tra gli Stati membri, però senza nessun scivolamento verso una concezione etica della democrazia.
Infine non c’è dubbio che l’autorevolezza internazionale dell’Unione europea non è garantita da una politica estera comune in grado di assicurare la sua sicurezza e i suoi confini. La cooperazione economica dovrà, quindi, procedere di pari passo all’integrazione politica.
Probabilmente, per questo, occorreva ieri e occorrerà oggi garantire diversi livelli di integrazione per la migliore funzionalità delle istituzioni europee che hanno bisogno di essere sburocratizzate, ma nello stesso tempo di essere più espressive della democrazia sovranazionale.
Più che di ultimatum e di ricatti, l’Unione europea ha bisogno di leader coraggiosi e lungimiranti e di una cultura più attenta alla varia e complessa realtà di un continente che deve guardare indietro, alla sua storia non solo per conoscere le sue tragedie e i suoi valori, ma per guardare avanti con più forza e sicurezza.
“Una in diversitate“ è il motto della Unione Europea, l’unità da perseguire non attraverso una omologazione di culture, stili di vita, tradizioni ma attraverso l’individuazione di un cammino condiviso che si arricchisce della diversità che segna il continente
L’Union Europea, fatta di stati nazionale che affondano le radici in storie plurisecolari, traversata da conflitti religiosi, campo di battaglia di conflitti militari devastanti, assoggettata a regimi totalitari che ne proponevano l’unificazione forzata con il richiamo ad utopie devastanti , non ha davanti a se altra strada che questa.
Carissimo Zef
La tua analisi sulla situazione di fatto e di diritto sullo stato dell’Unione Europea e così lucida e perfetta che la politica di tutti i paesi dovrebbero assumerla come proprio indirizzo.
Finalmente oggi ho letto qualcosa di veramente illuminante. Grazie.
Mi auguro che questo tuo articolo Zef possa raggiungere la massima diffusione possibile.
Un caro saluto ed un augurio di buona estate.
Gino
Cap (cpl) Di Ciocco dr Gino
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Molto bello