L’Europa è divisa ci ricorda e ammonisce Zeffiro Ciuffoletti nel suo editoriale su Solo riformisti e ci propone un lungo elenco di elementi di eterogeneità. Come non concordare con questa insoddisfazione degli autentici europeisti? In questa sede mi limito ad approfondire le differenze in termini di profili di finanza pubblica in Eurolandia, cioè un’area monetaria che potrebbe invece beneficiare da una più marcata unitarietà in questo campo. L’origine di queste differenze è lontana nel tempo anche se si è accentuata nel 2020 con l’applicazione della clausola di salvaguardia generale che prevede che, in periodi di grave recessione economica, gli stati possano essere autorizzati a deviare temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l’obbiettivo di medio termine espresso in termini di deficit strutturale (OMT). Nei paesi dell’area euro (AE), nel 2020, l’epidemia da COVID-19 ha causato un’intensa recessione, sebbene non uniforme (per esempio una riduzione del PIL del 10,8% in Spagna, poco più che in Italia, del 7,9 in Francia e del 4,8 in Germania). Di conseguenza, disavanzo e debito sono aumentati significativamente sia per l’operare degli stabilizzatori automatici sia a seguito dell’adozione di importanti interventi discrezionali di sostegno.
Nel 2020, in piena crisi da pandemia Covid, i paesi dell’AE hanno registrato in media un disavanzo nominale in rapporto al PIL pari al 7,2%, con i disavanzi maggiori in Spagna (11%) e Malta (10,1%) e con l’Italia quarta in graduatoria con 9,5%. Secondo i Programmi di stabilità e Convergenza 2021 (PSeC)[1], i paesi AE prevedono, per il primo anno, un disavanzo nominale su PIL pari all’8,3% in media; l’Italia stima per il 2021 un disavanzo delll’11,8%, secondo solo a quello di Malta (12%). Nel 2022, i paesi euro dovrebbero invece attestarsi in media sul 4,1%, con l’Italia al 5,9%. In termini dinamici, la Grecia è il paese che prevede tra il 2021 e il 2022 un miglioramento più forte (3,4 punti) del saldo; in Italia il miglioramento si attesta su 1,8 punti, comunque maggiore rispetto alla media. Le differenze più collegate alla crisi pandemica sono quelle che riguardano i saldi primari (caduta delle entrate fiscali ed esplosione della spesa primaria, cioè al netto della spesa per interessi). Il deficit primario medio nel 2020 si attesta sul 5,7% su PIL con Malta e Spagna con livelli più alti (8,8% e 8,7%) e l’Italia con un disavanzo appena sopra la media. Nel 2022, nell’AE, i disavanzi primari programmati saranno in media pari al 2,8%, con l’Italia appena sotto questa valore. In termini dinamici 2021-2022, il paese con il miglioramento più atteso è ancora la Grecia con 3,2 punti, mentre l’Italia programma un miglioramento eguale a quello del saldo primario.
La crisi da COVID-19 ha avuto un impatto rilevante sullo stock di debito in percentuale del PIL: nei paesi AE è aumentato dall’85,1% nel 2019 al 100% nel 2020. Il paese con il debito pubblico maggiore in rapporto al PIL nel 2020 è la Grecia con il 205,6%, in aumento dal 180,5% del 2019. L’Italia registra nel 2020 il secondo debito pubblico più alto in rapporto al PIL, pari al 155,8% rispetto al 134,6% del 2019. I PSeC mostrano che il debito pubblico tra i paesi dell’AE dovrebbe passare da 100% di PIL nel 2020 a 101,1% nel 2022. Il paese con il debito pubblico rispetto al PIL più elevato atteso nel 2022 è ancora la Grecia (189,5%). L’Italia viene subito dopo con 156,3%. L’aumento medio annuo atteso nel 2021-2022 del debito pubblico tra i paesi dell’AE è pari a 0,6 punti di PIL. Malta mostra il maggiore incremento medio atteso rispetto al PIL (5,8 punti di PIL) mentre la Grecia è il paese con la maggiore riduzione media attesa (8,1 punti). L’Italia mostra un aumento medio del debito pubblico di poco inferiore alla media (0,3 punti).
Per tutti i paesi, il protrarsi dell’epidemia tra la fine del 2020 e il primo semestre del 2021 ha causato un deterioramento delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica per il 2021-22. In generale, secondo i PSeC, la crescita attesa per l’anno in corso dovrebbe risultare meno vigorosa rispetto a quanto stimato nei Documenti di Bilancio 2021, con disavanzi ancora sostenuti e debito in leggero aumento (fatta eccezione per la Spagna). Parte del recupero sarebbe quindi posticipato agli anni successivi, e in particolare al 2022. Il Consiglio della UE raccomanda, perciò, ai paesi di mantenere una politica di bilancio espansiva nel 2022 e di ridurre le misure di stimolo solo quando il quadro macroeconomico complessivo tornerà definitivamente a migliorare, assicurando la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica. Viene ribadita l’importanza, in questo frangente, di coniugare da un lato misure di spesa corrente temporanee a supporto di imprese e famiglie; dall’altro, di favorire il rilancio attraverso politiche di investimento che aumentino il potenziale di crescita, con un’attenzione particolare all’inclusione sociale, alla sostenibilità ambientale e alla transizione digitale. Si suggerisce che tale stimolo si basi principalmente sull’uso delle risorse a loro disposizione nell’ambito del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility, RRF), al fine di limitare l’impatto sui conti pubblici.
Al riguardo tutti i paesi AE hanno presentato i rispettivi Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) alla Commissione europea entro il termine previsto (30 aprile). In tutti i casi, i Piani fanno pieno utilizzo delle sovvenzioni RRF (69,5 miliardi, 6,2% del PIL, per la Spagna, principale beneficiario della UE in termini assoluti, appena sopra l’Italia, 68,9 miliardi; 40 miliardi per la Francia, 1,7%; 25,6 miliardi, 0,8% per la Germania), mentre i documenti spagnolo e italiano prevedono anche un ampio ricorso ai prestiti erogabili dal Dispositivo.
In sintesi, il panorama nei principali paesi dell’area euro si presenta differenziato nel 2022, alla fine dei Programmi di stabilità e all’inizio dei Piani di ripresa e resilienza, nei termini riassunti nella Tab.1.
Tab.1.INDICATORI DI FINANZA PUBBLICA PROGRAMMATI per il 2022 – PRINCIPALI PAESI AE
Paesi | Saldo nominale | Saldo primario | Saldo strutturale | Debito pubblico |
Francia | -5,3 | -4,2 | -4,7 | 116,3 |
Germania | -3,0 | -2,5 | -2,8 | 74,0 |
Grecia | -2,9 | -0,3 | -0,6 | 189,5 |
Irlanda | -2,8 | -1,9 | -2,6 | 60,2 |
Italia | -5,9 | -2,5 | -5,4 | 156,3 |
Spagna | -5,0 | -3,1 | -4,9 | 115,1 |
Polonia | -4,4 | -3,1 | -4,4 | 59,2 |
Portogallo | -3,2 | -0,8 | -2,6 | 123,0 |
Media Euro | -4,0 | -2,8 | -3,6 | 93,5 |
Fonte: Focus-2 UPB, 2021
Tranne Germania, Irlanda e Grecia, i paesi considerati e la media AE presentano un deficit nominale superiore al 3% di Maastricht, con il picco in Italia. Nessun paese sarebbe in linea con un obbiettivo di medio termine pari ad un saldo strutturale nullo. Quanto al debito pubblico solo la Germania, l’Irlanda e la Polonia sono sul 60% di Maastricht. Francia, Italia, Spagna e Portogallo sono in una posizione di evidente eccesso di debito[2]
Difronte a questo quadro di squilibrio finanziario, certamente non coerente con la tradizionale teoria Mundelliana delle aree monetarie ottimali, si confrontano tre posizioni che coinvolgono gli economisti, i politici e, in definitiva i cittadini, europei. Secondo la prima, che associamo alla ortodossia ordo-liberale germanica, a partire dal 2023, con il recupero dei livelli attività economica pre-Covid, il problema della convergenza si ripresenta in corrispondenza di una prevedibile instabilità dal lato dei prezzi e dei tassi di interesse. I vincoli di Maastricht mantengono la validità prescrittiva, per cui non c’è che da sospendere la clausola di salvaguardia e rimettere in moto le regole dell’OMT, del debito e della spesa, sospese nel 2019. Implicita in questa posizione è il carattere eccezionale del NextGenEU, che non si riproporrà né cambierà la struttura del bilancio e del debito europei in modo permanente. Un’altra posizione molto reclamizzata, a livello di pubblicistica, che associamo alla c.d. Modern monetary theory o della “spesa pubblica illimitata”, propone di estendere e rendere permanente la leva monetaria per il finanziamento del debito in scadenza, negando vi sia né un problema di instabilità finanziaria, né un problema di esplosione inflazionistica, definitivamente debellato. La convergenza è un falso problema e di fatto la posizione considera anche irrilevanti interventi di stimolo fiscale, come quello del NextGenEU, concepiti in una prospettiva di equilibrio dei bilanci nel lungo periodo e l’istituzione di un titolo del debito europeo risk-free. Stante i diversi profili di finanza pubblica descritti in precedenza, di fatto, le banche centrali nazionali riprenderebbero l’autonomia e perderebbero l’indipendenza dal potere politico in grado di imporre, a piacimento, la “dominanza fiscale”.
Entrambe le posizione sono criticabili sotto il profilo teorico e insostenibili dal punto di vista della concreta applicabilità. Da un lato, riprodurre il quadro della disciplina fiscale precedente alla crisi non solo Covid del 2019, ma anche quella finanziaria del 2009-2011, come se non fosse successo nulla e dimenticando gli effetti pro-ciclici del Fiscal Compact è solo il frutto di un’ostinazione ideologica. I principali protagonisti del dibattito sulla necessità di una politica fiscale (fiscal stance) restrittiva, anche in una fase di output gap negativo, hanno rivisto e rielaborato le loro convinzioni, alla luce di un decennio di contraddizioni. Dall’altro, l’ideale del “pozzo di San Patrizio” o del “gioco di Ponzi” dell’irrilevanza della nozione di sostenibilità del debito è altrettanto inimmaginabile in un mondo in cui gli agenti economici sono in grado di prevedere le conseguenze di questi interventi monetari discrezionali e di regolarsi a proprio vantaggio, assicurandosi premi per il rischio crescenti, alla lunga insostenibili. Infine, entrambe le posizioni porterebbero dirittamente o indirettamente alla fine dell’EURO e dell’Europa unita.
Esiste poi una posizione, di ben altro spessore teorico, che ribadisce l’esistenza di un problema di convergenza e quindi della indispensabilità di una disciplina fiscale basata su regole fiscali semplici e trasparenti, relazionate a obbiettivi monitorati attraverso indicatori fiscali misurabili, compatibili con interventi di politica fiscale anticiclica e stabilizzatrice, con incentivi alla riduzione del debito, ma con la clausola di uscita in caso di shocks macroeconomici molto ampi.
Prima della pandemia Covid era stata proposta una Expenditure rule che ancora il tasso di crescita annuale della spesa pubblica nominale al tasso di crescita reale del PIL, all’inflazione attesa, e al conseguimento di un obbiettivo graduale di convergenza del debito su PIL verso un benchmark definito (il 60% di Maastricht, ma non necessariamente)[3]. E’ prevista l’istituzione di due organismi indipendenti, uno a livello di Commissione europea, il Consiglio fiscale europeo (CFE), e uno per ciascun stato nazionale, il Consiglio fiscale nazionale (CF) chiamati a svolgere le contrattazioni che la regola richiede. Ogni anno il governo di uno stato membro propone un obbiettivo di medio termine (5 anni) di riduzione del debito su PIL. Sia il CF nazionale che il CFE vengono consultati e forniscono una valutazione sulla realizzabilità e ambizione dell’obbiettivo. Quindi si svolge una discussione a livello di Commissione europea su diversi parametri, come la distanza tra l’attuale debito su PIL e l’obiettivo a lungo termine (nel senso che un gap più elevato richiede un più ambizioso aggiustamento); un’ampia analisi della sostenibilità fiscale, in particolare dando credito agli stati che pongono in essere riforme di solvibilità e strutturali che favoriscono la crescita del PIL potenziale, e un’analisi della situazione economica.
La Commissione presenta le sue conclusioni in merito ai target di riduzione del debito per ciascun stato al Consiglio che può votare contro solo con una maggioranza qualificata. Il CF nazionale prepara una proiezione della crescita a medio termine del PIL nominale, basata sulla crescita attesa del PIL potenziale, l’inflazione attesa, e una possibile correzione ciclica, quando le condizioni iniziali differiscono in modo marcato dall’equilibrio di lungo periodo. Dato l’obbiettivo di medio termine sulla riduzione del debito, il CF nazionale fornisce un consistente sentiero di crescita della spesa pubblica nominale e lo usa per definire un tetto per il successivo anno, da utilizzare per la preparazione del bilancio.
La spesa pubblica sotto controllo è calcolata al netto della spesa per interessi, della spesa per la disoccupazione e dell’impatto atteso di ogni cambiamento discrezionale sulle entrate (basi imponibili e aliquote) e al netto di una quota concordata di investimenti pubblici. I primi due aggiustamenti tendono ad una più evidente anti-ciclicità della regola, ma escludendo l’effetto di misure strutturali sulla spesa pubblica. In effetti, le simulazioni effettuate mostrano come la regola abbia buone proprietà anti-cicliche di fronte a shock inattesi della domanda. L’ultimo aggiustamento è volto ad eludere manipolazioni delle regole fiscali (per esempio tagli pre-elettorali) che non sono compensate da riduzione di spesa. Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, questi possono andare a ridurre la spesa regolata tramite un accordo con il CFE o la Commissione stessa. La concessione di portare in deduzione gli investimenti , che riproduce la così detta golden rule, avrebbe carattere più sistematico dei semplici margini di flessibilità concessi fino al 2019, per meriti di “buona condotta”. Questa logica cooperativa della disciplina fiscale potrebbe anche a completare il metodo NextGenEU, rendendolo permanente, e aprire la via ad un titolo europeo.
Non si può che sperare che questa posizione sia quella prevalente quando nell’estate del 2022 si riparlerà inevitabilmente a livello delle principali istituzioni europee di disciplina fiscale e di rientro dal debito. Non potrà che essere così, ma sulla capacità di definire i dettagli si misurerà la credibilità degli stati.
[1]Focus-2 UPB, Una panoramica delle strategie di bilancio nei Programmi di stabilità e di convergenza 2021 dei paesi della UE, Ufficio Parlamentare del Bilancio, luglio 2021.
[2]Il caso della Grecia è particolare. Il livello del debito è ancora alto ma è tendenzialmente in rapida diminuzione grazie alle politiche di contenimento che hanno condotto, come abbiamo visto, a indicatori di saldo virtuosi.
[3] Inizialmente la proposta è maturata all’interno dell’European Fiscal Board, 2018, poi è stata ampiamente discussa a livello accademico, nelle principali riviste.
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