La costruzione di un’Europa nuova, protagonista del mondo attuale e di quello del prossimo futuro, richiede un profondo cambiamento e un impegno di carattere strategico. Le principali linee di quest’opera, indicate da Mario Draghi in preparazione del rapporto sulla competitività europea, riguardano il superamento della frammentazione produttiva e la creazione di economie di scala a livello continentale, la dotazione di beni pubblici (infrastrutture energetiche e reti di super computing), l’approvvigionamento di risorse essenziali per lo sviluppo (manodopera qualificata e materie prime critiche). In questo quadro, assume un valore centrale la relazione tra strumenti monetari e prospettive di crescita. Per la prima volta in cinque anni e dopo due anni di rialzi a causa dell’inflazione, come testimoniato da Christine Lagarde su questo giornale, la Banca Centrale Europea – compiendo “una mossa pragmatica e precauzionale”, secondo il Financial Times – ha deciso di portare i tassi di interesse al 3,75%. La discesa dei prezzi in molti settori, eccetto in quello dei servizi, ha permesso di ridurre il tasso di riferimento dello 0,25%. Di una diminuzione del costo del denaro e di un rilancio degli investimenti si avverte il bisogno in Europa, per uscire da una situazione di flebile ripresa economica. Perciò, il taglio non può essere una scelta isolata, ma deve essere seguito da un insieme organico di interventi, che allenti le restrizioni monetarie e rafforzi le politiche di sviluppo, riallineando l’inflazione su quote fisiologiche. Tuttavia, il disaccoppiamento tra l’indirizzo della BCE, nonostante un approccio calibrato e di cautela, e quello della Federal Reserve, ancora in apprensione per l’andamento dell’inflazione, potrebbe aggravare l’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro e rendere necessarie ulteriori correzioni di rotta, per evitare rincari dei prezzi e scarsità delle forniture industriali. Inoltre, l’economista Dambisa Moyo ritiene che tassi di interesse più bassi possono comportare, in determinate condizioni, un incremento del “rischio morale” (moral hazard), ovvero di un comportamento, come un uso avventato del denaro, al riparo da eventuali conseguenze negative per i suoi responsabili. Il punto vero, però, resta quello del nesso stretto da stabilire tra liquidità e investimenti produttivi, che allontanano il pericolo di bolle speculative e avvicinano la crescita. Un altro economista quale Kenneth Rogoff sostiene la probabilità di una nuova impennata inflazionistica nei prossimi anni, ponendo in risalto come, in un contesto mondiale segnato dalle tensioni geopolitiche e dai conflitti, dall’aumento del peso del debito pubblico e dalla permanenza di una forte incertezza nell’economia, l’indipendenza delle banche centrali incontri evidenti limiti. L’apparente timidezza della presidente della BCE, in realtà, denota prudenza di fronte a uno scenario instabile, nel quale si potrebbe verificare anche un avvicinamento inaspettato, malgrado la congiuntura economica differente, tra le tendenze divergenti di politica monetaria alle due sponde dell’Atlantico. Il problema, in altre parole, è quello di raggiungere un equilibrio tra l’esigenza di miglioramento dei risultati economici e quella di gestione dei rischi di questa fase. La velocità del calo dei tassi di interesse non è affatto un aspetto secondario, se è vero che una riduzione eccessiva può suscitare una domanda esorbitante, ostacolando il completamento del processo di disinflazione, mentre il mantenimento di tassi elevati o una loro tenue diminuzione può condurre a una carenza di domanda, facilitando così una nuova crisi e riproponendo la minaccia di una recessione. Visto che una divergenza nei tassi di interesse con gli Stati Uniti troppo ampia e persistente può indebolire notevolmente le valute europee, non è auspicabile un’accentuazione duratura della difformità di politica monetaria tra i due continenti, che può essere vanificata, peraltro, da un repentino mutamento delle rispettive variabili economiche, a cominciare dai prezzi. In ogni caso, è la capacità di combinazione di diversi strumenti a rappresentare, specialmente per l’Unione Europea, la risposta più adeguata agli interrogativi dell’oggi. Infatti, l’allentamento delle restrizioni deve collegarsi a un attento controllo del trend inflazionistico per scongiurare nuove fiammate dei prezzi, particolarmente dannose per i percettori di reddito fisso, ma, al tempo stesso, è la strategia fiscale il perno di una nuova stagione dell’economia europea. A questo proposito, due differenti personalità del mondo economico quali Olivier Blanchard e Mohamed El-Erian hanno concordato nell’individuare nell’interazione tra politica monetaria e politica fiscale l’obiettivo da cui ripartire. Per il primo: “È una questione di coordinamento. Non si può avere la politica monetaria da una parte e la politica fiscale dall’altra”. Per il secondo, va modificato l’approccio europeo che dipende dal manifatturiero tradizionale e dalla domanda internazionale, potenziando i futuri motori dello sviluppo (intelligenza artificiale, scienze della vita ed energia rinnovabile) e colmando alcune ristrettezze settoriali (difesa, sicurezza informatica ed energetica). Ormai, appare indispensabile un coordinamento strategico delle politiche economiche continentali, che sia in grado di promuovere l’unificazione dei mercati dei capitali e un significativo aumento degli investimenti, del capitale umano, della produttività e degli sbocchi industriali per affrontare le sfide dell’avvenire e provare a ricollocare l’Europa al centro delle dinamiche globali. In questo ambito, lo spazio per l’Italia e il Mezzogiorno, per la crescita e il ruolo di connessione euromediterranea è molto ampio e richiede solo di essere percorso.
Amedeo Lepore
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