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Qualora

Continua la lotta tra Di Maio e i congiuntivi, e Di Maio vince sempre. Di fronte ai problemi dell’Italia di oggi questo è un segno, anche se piccolo, della crisi di civiltà che stiamo vivendo e del fatto che la politica è diventata preda del primo venuto.

31 Gennaio 2021 da Biagio De Giovanni Lascia un commento

“Qualora Renzi voleva…” così si è espresso il nostro ministro degli Esteri in una occasione televisiva, ospite di Lucia Annunziata, violando clamorosamente e quasi ridicolmente elementari regole sintattiche. Continua la lotta tra Di Maio e i congiuntivi, e Di Maio vince sempre, senza eccezioni. Uno potrebbe dire, e tanti hanno detto: ma chi se ne importa, con quel che sta succedendo, con la pandemia in corso, con la crisi economica che rischia di soffocare l’Italia, con la crisi di governo, con tutto quello che si può aggiungere alle cose ora elencate, tu vai a notare un “qualora…voleva”.
La cosa non è certo confrontabile con le catastrofi annunciate, ci mancherebbe, ma fa da ciliegina su quelle torte avvelenate, ed è, tra l’altro, una vicenda che contrassegna un’epoca, quella prevista da Lenin che immaginava possibile una cuoca al governo di un paese, ma sappiamo come è finita, arrivò Stalin. Per noi il rischio non è questo, da noi arrivano i dilettanti che dirigono gli affari esteri confondendo Venezuela e Cile, o “volesse” con “voleva”, tanto che cambia?
Che il nostro ministro degli Esteri si esprima violando regole sintattiche elementari fino a sfiorare il ridicolo, è il segno, perciò, di una vera e propria crisi di civiltà, della formazione in liquidazione, e di varie cadute che si possono mettere in fila, tutte legate alla seguente situazione: la politica è diventata preda del primo venuto, magari uno si trova a passare per una strada piuttosto che per un’altra, a offrire una bibita piuttosto che un’altra, e diventa ministro. Il disprezzo populistico per la politica ha rotto gli argini e squaderna davanti ai nostri occhi attoniti la fisionomia di una “classe dirigente” che non riesce nemmeno a dirigere e a governare i propri guaiti in lingua.
Si intravede, dunque, la crisi della formazione, la fine di quel mondo in cui anche l’operaio politicizzato si esercitava a parlare italiano. Oggi è il ministro degli Esteri, immagine dell’Italia nel mondo, che non riesce a mettere insieme tre parole senza immaginare un altro “italiano” da lui inventato sul momento, un altro ordine sintattico da lui autorevolmente promosso. Che brutto esempio, “Qualora..voleva”, dove sei finito Weber, “La politica come professione”?
E’ così che, insieme a tante altre cose ben più grandi, una civiltà annega nel nulla.

(questo articolo con il consenso dell’amministratore del blog è ripreso da www.ragionepolitica.it)

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