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Solo Riformisti

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Populismo e caos

Da un lato il caos del vecchio ordine, dall’altro il populismo del nuovo. Due risposte inadeguate alle esigenze di oggi. Serve un metodo che senza puntare ad un modello precostituito di società futura dia risposte, giorno per giorno, ai problemi dei cittadini.

25 Novembre 2019 da Luciano Pallini Lascia un commento

“Ben venga il caos, perché l’ordine non ha funzionato” è un aforisma famoso di Karl Krauss.

Ma è nell’ordine delle cose che al vecchio ordine sfociato nel caos, dovrà seguirne uno nuovo, che riesca a misurarsi ed a risolvere i problemi che il mondo contemporaneo propone nel suo ininterrotto mutarsi, e che sarà valido solo e soltanto fin quando anch’esso funzionerà.

ll crollo del muro, la globalizzazione, l’esplosione delle tecnologie, le migrazioni e sullo sfondo il cambiamento climatico hanno cancellato in poco tempo le certezze che si erano affermate nel trentennio glorioso conclusosi con lo shock  petrolifero e con l’emergere tumultuoso di movimenti populisti.

Al popolo, inteso come una totalità organica e incorrotta, sono contrapposte le élite accusate di non essere state capaci di evitare la crisi del 2008 e di individuare soluzioni per la ripresa anche per aver rinunciato alle prerogative della sovranità nazionale a favore di entità sovranazionali lontane  contrapposte al popolo,  e prive di legittimazione democratica.

Nel popolo risiede l’unica fonte di legittimazione del potere, prima e al di sopra di ogni rappresentanza e mediazione.

I movimenti populisti hanno assunto forme diverse nei principali paesi europei giungendo ad assumerne la guida come negli Stati Uniti con Trump e in Gran Bretagna con Boris , senza dimenticare quello che è stato ed è il peronismo in Argentina.

America First e la Brexit sono le espressioni più eclatanti di un populismo che vuole tutelare non solo il livello di vita del popolo,  il suo benessere ma anche il modo di vita, cioè il complesso delle tradizioni nelle quali la gente si riconosce: i migranti mettono a rischio sia il benessere che le tradizioni e per questo il loro ingresso va impedito così come va impedito l’ingresso di prodotti stranieri  attraverso politiche protezioniste.

Si discute se si possano distinguere un populismo di sinistra, che mette l’accento su politiche redistributive e di welfare attuate a prescindere dalla loro compatibilità con lo stato della finanza pubblica e dal loro impatto sulla crescita, da un populismo di destra che chiede più libertà individuale, meno tasse  e meno stato.

Di solito i socialisti tendono a mantenere le distanze dai movimenti populisti mentre i partiti conservatori appaiono più disponibili ad allearsi o a far proprie le loro istanze, fino ad assorbirli come nel caso dei repubblicani americani e dei conservatori inglesi: differente il caso della Francia, dove il partito conservatore ha rappresentato il perno contro il populismo reazionario e xenofobo del Front National.

Si conferma l’eccezione italiana con la compresenza dei due populismi:  da un lato  Cinquestelle che hanno collocato al centro del loro progetto una redistribuzione senza qualità del reddito, una erogazione di sussidi incapace di promuovere l’occupazione, l’opposizione pregiudiziale alle nuove infrastrutture  confermandosi indifferente al problema della crescita,  dall’altro  la Lega che ha fatto del blocco dell’immigrazione, fino al sostegno a movimenti dichiaratamente xenofobi,  e del taglio delle tasse i punti qualificanti della sua proposta politica.

 

Il populismo tuttavia esprime un disagio reale della democrazia, i cui tratti distintivi sono due, la sovranità popolare e le forme rappresentative nelle quali essa si esercita. La crisi dei partiti di massa che raccoglievano le istanze dal basso e le rappresentavano nelle istituzioni “ha creato un divario che offre largo spazio ai populisti per rivendicare la sovranità dell’elettorato contro abusi e privilegi della ‘casta’. Ma il primato del popolo non è solo uno slogan populista, è un contenuto della stessa Costituzione. E nessuna democrazia resiste se i politici ignorano le domande che salgono dal basso”(R. Biorcio, La Lettura, 3 novembre 2019).

 

Il problema non è di collocarsi all’interno di un vecchio paradigma in crisi ma di transitare ad un paradigma nuovo nel quale e per il quale non basta, anzi può essere controproducente, fondarsi sui risultati raggiunti con il vecchio: i due paradigmi non sono commensurabili, si tratta di aprirsi ad un mondo nuovo.

In Italia  ancora domina  il caos, il vecchio paradigma non funziona più, il nuovo ancora stenta a definirsi: soprattutto nell’area ampia e variegata della sinistra variamente denominata ed articolata sembra prevalere la nostalgia del passato, di una purezza smarrita, di minacce sventate, l’eresia renziana non ha attecchito: la tentazione è quella di tornare al vecchio familiare paradigma, nella convinzione di poter assorbire buona parte dell’elettorato cinque stelle, figli prodighi che ritornano e sono festeggiati dal padre.

Una ricomposizione che non solo  ripercorre le strade note, affidabili, sicure ma fa sua la logica della decrescita, delle infrastrutture messe in stand by, del lavoro creato per legge e non come risultato della crescita  economica, del salario come variabile indipendente: non è il Movimento Cinquestelle che ritorna all’ovile, è il PD che si libera di tutte le ubbie riformiste: in fondo l’attuale legge finanziaria è ispirata in sostanza da questa restaurazione, con le sue mezze misure assolutamente irrilevanti non è in grado di riattivare la crescita.

“Non costruire un muro, inizia da un solo mattone”: questa è la raccomandazione Tim Harford: economista  autore di Che casino!  (Egea) per uscire dal caos della transizione.

A questo approccio si ispira Shock!, il piano per l’emergenza lanciato da Renzi per rimettere in moto 120miliardi di infrastrutture bloccate: i cantieri creeranno lavoro, le infrastrutture accresceranno la competitività dei territori e delle imprese che crescendo allargheranno qualità e quantità del lavoro:  una visione che ha chiaro che la ricchezza prima va prodotta per poter poi perseguire politiche redistributive.

Un metodo: da cammino nasce cammino, senza la presunzione di un modello di società futura da realizzare, ma di concreta risposta ai problemi dei cittadini, per riavvicinarli politica ed allo stato.

Attraverso questo metodo sarà possibile delineare una visione comune e renderla concreta, evitando le identità basate sulla contrapposizione: un percorso difficile di sicuro ma senza alternative.

 

 

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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