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L’ufficio pubblico resta chiuso

Mentre i privati che vogliono sopravvivere si arrabattano per riaprire tra mille costi (e rischi anche penali) aggiuntivi, troppi uffici pubblici non addetti ai servizi di prima linea restano chiusi: le pratiche burocratiche possono attendere..

26 Maggio 2020 da Pietro Ichino Lascia un commento

Vedo dappertutto imprenditori grandi e medi, artigiani, professionisti, che si arrabattano a organizzare le loro aziende in modo che possano riaprire senza esporre i dipendenti e i clienti al contagio, acquistando divisori in plexiglass, distributori di disinfettante e di mascherine, kit per il test sierologico, facendo acrobazie con orari e turni di lavoro per assicurare il distanziamento ed evitare gli spostamenti nelle ore di punta, attrezzandosi dove possibile per un lavoro da remoto effettivamente produttivo. E pure rischiando: perché se poi, nonostante tutto, un dipendente si ammala nessun datore di lavoro in questo Paese, per quanto diligente, può avere la certezza di non essere incriminato per lesioni o – Dio non voglia – omicidio colposo.

Poi, però, mi accade di dover prendere un contatto – non di mera consultazione online – con gli Uffici del Catasto, e di ottenere questa risposta automatica: “Gli uffici resteranno chiusi fino a data da stabilirsi” (testuale, 16 marzo). Più o meno stessa cosa per la Motorizzazione civile, per gran parte degli uffici della Regione e delle altre amministrazioni. Ne parlo con il responsabile di una di queste, che pensosamente mi risponde: “Con l’epidemia ancora in corso non possiamo prenderci la responsabilità di riaprire: se qualcuno si ammala…”.

Già: nel settore privato se l’impresa vuole sopravvivere la responsabilità di riaprire qualcuno deve prendersela per forza; e i dipendenti devono adattarsi a lavorare con le mascherine, i guanti e i divisori di plexiglass tra le scrivanie. Non accade altrettanto nella parte del settore pubblico non impegnata in prima linea nei servizi essenziali: quella dove viene indicato per le statistiche un esercito imponente di smart workers dei quali non si sa neppure se abbiano a casa un pc collegato a Internet. Buon per loro: le pratiche burocratiche possono attendere. Ma che logica c’è – e torno a porre la domanda di un mese fa rimasta senza risposta – nel fatto che chi sta a casa non sia pagato come fosse in Cassa integrazione, e il risparmio non sia utilizzato per sostenere e premiare chi è in prima linea?

 

(questo articolo con il consenso dell’autore è stato ripreso dal sito http://www.pietroichino.it)

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