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L’eredità del PCI/5

Risponde Nicola Cariglia, giornalista e presidente della Fondazione Turati. La teoria della “diversità antropologica” è stata una fuga di fronte ai problemi sempre più complessi della modernizzazione della società italiana. Fuga ingloriosa e caratterizzata da insopportabile moralismo.

12 Gennaio 2021 da Nicola Cariglia Lascia un commento

Quali sono i geni utili che dalla esperienza  del PCI si rintracciano  nella vicenda storica  italiana, contro quali vizi o derive può contribuire  ancora oggi a difendere la sinistra in primo luogo ma assieme la società e la politica italiana?

Non  è impresa facile ritrovare qualcosa che sia ancora attuale e “recuperabile”. Il vecchio PCI,  in parte perché si è trovato a svolgere pressochè per tutta la sua durata il ruolo di opposizione, non ha avuto una sua visione della società italiana originale e aderente alla realtà. Ed è difficile ricordare un programma, o anche un solo suggerimenti capaci di incidere nella trasformazione dell’Italia, dal dopoguerra in poi, da paese semiagricolo a moderna società industrializzata, in una fase addirittura la quinta nel mondo. Questo compito, bene o male, lo hanno svolto, piuttosto, i partiti laici e riformisti in alleanza-competizione con la DC. La teoria della “diversità antropologica” è stata una fuga di fronte ai problemi sempre più complessi della modernizzazione della società italiana. Fuga ingloriosa e caratterizzata da insopportabile moralismo. Oggi, per contribuire a difendere la sinistra e, assieme la politica e la società italiana gli eredi del vecchio PCI dovrebbero fare ciò che non hanno mai voluto fare e smettere di fare ciò che hanno sempre fatto. Vale a dire, smetterla di sposarsi per interesse con l’intento di assorbire formazioni e personalità della politica e della cultura. Al contrario, misurarsi con la realtà e realizzare un matrimonio impegnativo, dal quale sfugge da troppo tempo: quello con la cultura, la storia e la politica laiche, liberali e socialdemocratiche. Dalla contaminazione fra queste tradizioni, diverse ma compatibili, potrebbe nascere finalmente un soggetto sufficientemente organizzato e culturalmente attrezzato per rappresentare uno dei pilastri di un rinnovato sistema politico che duri almeno quanto è durata la prima repubblica.

 

Quali sono i geni dannosi  trasmessi in eredità  che hanno contribuito e  contribuiscono a frenare le potenzialità ed a condizionare il ruolo e l’azione della sinistra per  il cambiamento del Paese ?

I geni dannosi del vecchio PCI sono tutti nel suo peccato originale, che lo hanno portato costantemente a cercare di fare deserto attorno a sé. Che poi è stata, al tempo stesso, la sua vocazione e la sua maledizione. Basti pensare che i guai maggiori, nei confronti della storia, il partito li ha fatti alla sua nascita e alla sua morte. Nel 1921 per avere reso più debole chi avrebbe potuto opporsi con maggior forza al fascismo. E dopo la caduta del muro di Berlino, che precede di poco la sciagurata stagione di Tangentopoli, per avere rincorso il miraggio della via giudiziaria al potere. A questo si deve se ancora oggi non esiste in Italia la possibilità di una alternativa di sinistra. E, invece, quello era il momento per dare vita ad un sistema di democrazia bipolare. E, per gli eredi del PCI, di sanare la frattura di Livorno. La caduta dell’impero sovietico aveva tolto ogni diffidenza da parte delle componenti socialiste e laiche. Ma la scelta giustizialista (anch’essa frutto del dna) fu purtroppo condizionante per la parte ex pci. Basti pensare che ancora nel 2008 Veltroni rifiutò l’apparentamento a Di Pietro negandolo al PSI. E ancora oggi in Italia una forza di sinistra capace di governare grazie al consenso elettorale è di là da venire.

 

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