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L’eredità del PCI/6

Risponde Riccardo Nencini, già segretario del PSI e parlamentare. Il PCI è stato decisivo nella lotta partigiana e nella tenuta dello Stato al tempo del terrorismo. Il suo errore più grande la lotta al riformismo e il considerarsi unico rappresentante della sinistra italiana.

12 Gennaio 2021 da Riccardo Nencini Lascia un commento

Quali sono i geni utili che dalla esperienza  del PCI si rintracciano  nella vicenda storica  italiana, contro quali vizi o derive può contribuire  ancora oggi a difendere la sinistra in primo luogo ma assieme la società e la politica italiana?

La storia del Novecento  ha dimostrato senza alcun dubbio che l’ideologia comunista è stata sconfitta e si è rilevata dannosa. Nata da una formidabile speranza che aveva illuso milioni di donne e di uomini, ha prodotto totalitarismi nefasti per l’umanità. Le prove sono lì, di faccia agli occhi di tutti, inutile cercare giustificazioni. Quando si nega la libertà e si trasforma l’uguaglianza nella dittatura dei privilegiati, negando la seppur minima critica, vietando la seppur minima iniziativa privata, chiudendo gli oppositori in un gulag o mettendoli al muro, non si può che sprofondare in un precipizio senza fine.

La nascita del Pcd’I a Livorno nel gennaio ‘21 avvenne sotto la spinta di Mosca. Venne sottovalutato – e la maggioranza socialista del tempo porta le sue responsabilità – il pericolo fascista. Ancora non si era manifestato in tutta la sua violenza, ma i semi erano stati gettati. Furono in pochi a vedere il pericolo: Turati e Matteotti. L’ala comunista riteneva il fascismo l’ultimo tentativo della borghesia di salvare se stessa all’indomani della guerra. La rivoluzione era considerata imminente, un terribile errore di valutazione che favori’ l’esplosione delle squadre nere del Duce. Chi lègge gli atti parlamentari si accorge come, fino alle elezioni del 1924, la battaglia antifascista fu combattuta da pochi, con determinazione da Matteotti, da Amendola e da un pugno di parlamentari mentre nelle tante province italiane case del popolo, circoli, comuni cadevano sotto i colpi delle squadracce.

Il partito guidato da Bordiga riteneva acerrimi nemici don Sturzo e Turati prima e più di Mussolini. Erano i riformisti i soggetti da eliminare: erano d’intralcio al dispiegarsi di una rivoluzione che pochi mesi dopo Livorno lo stesso Lenin riteneva impossibile in Italia.

Non c’è dubbio: hanno avuto ragione Matteotti e Turati, torto Bordiga e Gramsci.

Quali sono i geni dannosi  trasmessi in eredità  che hanno contribuito e  contribuiscono a frenare le potenzialità ed a condizionare il ruolo e l’azione della sinistra per  il cambiamento del Paese  ?

Il PCI e’ stato un grande partito di massa, decisivo nella lotta partigiana, dotato di un corpo di buoni amministratori locali, indispensabile nell’educare alla vita civica un gran numero di italiani, altrettanto indispensabile nella tenuta dello Stato al tempo del terrorismo. E però solo con colpevole ritardo mette in discussione il legame con l’URSS – secondo Occhetto il cordone ombelicale non venne mai tranciato del tutto – e scommette su un’idea d’Europa. Voterà contro il Sistema Monetario Europeo (1979) e si dichiarerà a favore della guerra in Afghanistan condotta dall’esercito sovietico ne’ rinuncerà mai a considerare superiore l’ideologia marxista-leninista (leggere intervista di Berlinguer a Repubblica). Insomma, il ‘fattore K’ citato da un grande giornalista, Ronchey. Tuttavia è la lotta al riformismo l’errore che reputo più grave, il considerarsi l’unico erede, l’unico rappresentante della sinistra italiana. La prova finale? Gli anni ‘90. Non aver colto l’opportunità di trasformarsi in una forza socialista democratica.

 

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