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Solo Riformisti

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L’eredità del PCI/15

Risponde Franco Maestripieri, già manager di grandi aziende. Il PCI è stato un baluardo della democrazia italiana ma nella assoluta convinzione di essere la Verità.

12 Gennaio 2021 da Franco Maestripieri Lascia un commento

“Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita”
Ripensando a questa frase scritta nel 1600 da Shakespeare ne “La tempesta” ci sta la vita di ognuno di noi ma anche la vita di organizzazioni e di partiti come fu il Partito Comunista Italiano.
Il PCI che ha attraversato il secolo scorso dal ‘21 al ‘91.
Settanta anni di storia nazionale e non solo. Ricalca il “secolo breve” 1914-1989, titolo di un saggio dello storico Hobsbawm.
Si tratta di un secolo, seppur breve, di elaborazione teorica, di lotte e di progresso.
Con, non poche, sconfitte.
È stata la storia non solo di un partito ma anche del movimento operaio non solo italiano ma almeno europeo.
Una storia di vita di donne ed uomini, una storia di vita di milioni di persone.
Una storia che attraversa e che analizza:
Capitale e lavoro
Riforme e rivoluzione
Democrazia e fascismi
Comunismo e democrazia
Questi mi sembrano gli elementi emergenti del secolo scorso in estrema sintesi, ovviamente visti in questa ottica.
In questo vedo la storia del PCI.
Qui stanno i geni utili del vecchio PCI.
La sua capacità di studio, di analisi, di riflessione, di novità fin dalla sua nascita attraverso Gramsci e altri. È evidente che Gramsci non poteva sapere come si sarebbe evoluto il lavoro. In quegli anni si pensava al fordismo tuttalpiù, ancor più alle terre da coltivare, non certo alla digitalizzazione.
Ma la sovrapposizione di interessi, di esigenze diverse, lo scontro tra capitale e lavoro non è cambiato, per certi versi si è acuito e forse sarebbe bene riprendere questo tema. Non in un’ottica ottocentesca e anche novecentesca, capitalismo contro proletariato, è assai più complesso oggi ma una riflessione sull’utilizzo del capitale finanziario magari al servizio della società più che fine a se stesso, alla sua valorizzazione monetaria e basta, credo sia un tema di dirompente attualità,
che è in qualche modo insito nel tema “riforme e rivoluzione“, la scelta riformatrice del PCI a scapito di un radicalismo rivoluzionario pur presente nella società e a cascata negli altri temi che ho individuati come questioni del ‘900.
La difesa della democrazia contro i fascismi, ma anche il confronto serrato da posizioni ideologiche tra comunismo e democrazia per arrivare con Berlinguer ad una scelta di campo.
Un fil rouge ha percorso il ‘900 e il PCI, un connubio inscindibile che va aldilà della sovrapposizione delle date, essendo stato il PCI non solo osservatore attento ma anche motore attivo della storia.

Se in quello che ho individuato stanno i geni utili del vecchio PCI altrettanto stanno i geni dannosi.
Il PCI è stato un baluardo della democrazia italiana ma nella assoluta convinzione di essere la Verità.
Il PCI come titolare di una teoria “totale”, dunque titolare di una filosofia della storia che culmina con la pratica del Sapere Assoluto.
Se questo era il pensiero critico di Althusser guardando dall’esterno il pci, questo era invece il pensiero di Ingrao “non dalla politica alle masse, ma dalle masse alla politica“, cercando in qualche modo di invertire quella tendenza che anch’egli vedeva.
C’era una differenza tra la dirigenza e la militanza, tipica peraltro non solo del PCI.
Ma il PCI, nella sua intierezza, nella sua apparenza monolitica non dava segni di accorgersi che i tempi erano cambiati o stavano cambiando velocemente. Non si è accorto che il proletariato non esisteva più, almeno nei termini che avevano pervaso la sua storia e la sua elaborazione teorica. Giorgio Amendola è il rappresentante di coloro che avevano capito la trasformazione in atto. La classe operaia era in via di sparizione, la nuova classe “proletaria” è rappresentata ad oggi da giovani donne ed uomini acculturati, spesso laureati senza garanzie nel e del futuro.
L’ulteriore gene dannoso è a mio parere non aver fatto i conti con la propria storia, le luci certo, innegabili, ma anche le tante ombre che l’hanno attraversata, le cose non dette, quelle nascoste.
L’aver preferito eclissarsi, scomparire facendosi carico quasi vergognandosi delle colpe innegabili ed indifendibili del comunismo internazionale piuttosto che valorizzare come meriterebbe l’assoluta diversità di pensiero di Gramsci.
Tutto ciò senza aver lasciato eredi di tale complessità, senza quella ricchezza culturale, del sapere e dunque della capacità di fare proposte per il Paese. Proposte politiche che avevano una visione prospettica per la società. Condivisibili o meno che fossero.
In effetti il PCI è arrivato nella stanza dei bottoni solo dopo la sua fine, o per meglio dire ci sono arrivati personaggi provenienti da quel partito, arringanti il popolo come Gesù nel Tempio.
Tutti alla ricerca dell’eredità del PCI, pur negandola, tutti dividendosi, in parte del Pd e a maggior ragione in quella che fu la sinistra altra dove galleggiano personaggi che forse avrebbero potuto aspirare al massimo alla portineria di Botteghe Oscure.

Il sogno è finito. È ora di svegliarsi.

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Archiviato in:Redazionale

Info Franco Maestripieri

Uomo di sinistra da sempre ho fatto politica attivamente fino al 1978 con Il Manifesto che fu di Rossanda, Pintor, Magri ecc.
Ritirato dalla politica mi sono dedicato al lavoro arrivando a fare il manager in alcune grandi aziende.
Raggiunta finalmente la pensione mi sono dedicato a coltivare la mia passione...la curiosità intellettuale.
Senza tradire le mie origini e il diritto alla critica.

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