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Solo Riformisti

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Alle urne il 2 giugno del 1946 nel ricordo, postumo, di Claudio Pallini. Nel racconto, affettuoso e commosso, del figlio Luciano, il significato di un voto che simboleggiava la rinascita dell’Italia dopo il fascismo e la guerra.

Il voto di Claudio

Alle urne il 2 giugno del 1946 nel ricordo, postumo, di Claudio Pallini. Nel racconto, affettuoso e commosso, del figlio Luciano, il significato di un voto che simboleggiava la rinascita dell’Italia dopo il fascismo e la guerra.

7 Giugno 2021 da Luciano Pallini 2 commenti

Era emozionato  il babbo quella mattina del 2 giugno 1946   quando,  come tutti gli italiani e le italiane (queste per la prima volta nella storia),  era andato a votare per la scelta tra monarchia e repubblica e per i rappresentanti da eleggere nell’Assemblea Costituente.

Ne parlavamo  seduti al bar della Fondazione Turati a Gavinana dove, quasi completamente cieco e sordo, era ospite da quando era rimasto solo con  la morte della mamma: dopo lo sforzo per fargli intendere la domanda, cominciava a raccontare con quella capacità di narrazione che lo faceva tanto apprezzare tra gli ospiti ed il personale della Fondazione, con quella lucidità che ha mantenuto fino agli ultimi mesi della sua vita, si trattasse di parlare dell’albero genealogico della famiglia sua o di Adriana,   come  dei suoi compagni di classe  alle elementari,  tra i quali era sicuramente il più povero ma probabilmente il più intelligente e capace, oppure del periodo intenso trascorso, poco più che bambino, a Milano: una fuoriuscita dal mondo chiuso della provincia verso la modernità della vita, dei costumi e degli interessi.

Quel giorno mi raccontò   delle paure per l’esito della scelta tra monarchia e repubblica, netta e chiara per lui che contro fascisti e tedeschi aveva combattuto come partigiano,    ma per altri niente affatto scontata, mi diceva,  e di come era da sempre accompagnato dall’ombra del dubbio che fosse stata necessaria una “manina” per far tornare i numeri.

Ma la vera scoperta riguardava il partito al quale era andato il suo voto per la Costituente.

Il babbo lo avevo sempre visto come un  militante comunista: convinto delle sue opinioni, fermo nel sostenerle ma aperto al dialogo, non settario, critico della burocrazia di partito (aveva rifiutato proposte di lasciare allora la fabbrica per un impegno da “rivoluzionario di professione”) , rispettoso libertà altrui, a partire da quella dei figli,  mai spinti ad un impegno di militanza politica al quale nel caso dovevano arrivare spontaneamente.  Certo,  in casa circolava la stampa comunista, soprattutto i settimanali da “Vie Nuove” a “Noi donne”  e, come regalo, “Il Pioniere”  ( ma io preferivo “Il Vittorioso”, il giornalino dei preti, che mi veniva prestato da una vicina , per lo straordinario Jacovitti).

Per me era scontato che avesse votato PCI: invece il suo voto era andato al PRI di Randolfo Pacciardi, sanguigno politico nato a Giuncarico in Maremma,  un mito dell’antifascismo militante, prestigioso comandante della “Brigata Garibaldi ” a sostegno della repubblica spagnola  contro i generali golpisti e i loro alleati nazisti e fascisti: assieme, un deciso democratico che aveva contrastato  l’impiego della Brigata contro gli anarchici, secondo le direttive date da Stalin ed attuate in Spagna da Togliatti,  e che dalla Spagna era scampato  in America passando per Casablanca (qualcuno ha affermato che nella vicenda del film “Casablanca”  la storia Victor Laszlo e di sua moglie fosse ispirata a Pacciardi e sua moglie).

Come in un puzzle, diversi tasselli si ricomponevano a  spiegare  questa sua scelta, nata sicuramente sotto l’influenza di Silvano Fedi, il giovane ardimentoso comandante della formazione partigiana, libera da rigidità ideologiche, nella quale confluivano  elementi repubblicani, anarchici,  libertari, autonoma e  sciolta da dipendenza dal CLN locale, che mal tollerava questa autonomia.

Una influenza avvertita anche sul piano culturale: così mi spiegavo  la presenza, nella piccola biblioteca di Claudio, di due libri assolutamente incoerenti con la rappresentazione che mi ero fatto della sua storia politica.

Il primo era “Noi vivi” di Ayn Rand, scrittrice americana di origine russe con  convinzioni libertarie estreme, nel quale si ritrova   la radicale critica a ogni forma di totalitarismo nella lotta di Kyra, la protagonista, il secondo era  “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley,  nel quale si prevede un mondo futuro fatto solo  di individui uniformi, senza qualità e senza individualità: chi si discosta da questo canone,  sia morale che estetico, è destinato alla cancellazione o alla deportazione.

Questa convinzione antitotalitaria, questo valore dell’individuo che mai si annega nella massa era alla  base del suo voto al PRI di Pacciardi (un partito ancora ricco delle sue matrici popolari): il risultato non fu esaltante, poco più del 4% per un milione totale di voti.

Fu l’ingresso in fabbrica, la dura realtà dello sfruttamento del lavoro che  determinarono poi la scelta verso il PCI, per la sua capacità di difendere gli interessi dei lavoratori e non per scelta ideologica  a priori.

C’è una sorta di damnatio memoriae di Randolfo Pacciardi[1], padre costituente,  cui ha reso l’onore ed il doveroso riconoscimento  la lettera di Cossiga del 1990 nella quale lo definiva  un perseguitato   “con indegne calunnie per miserabili motivi di parte e in un momento di rigurgito dello stalinismo e del neo-giacobinismo“: a trent’anni dalla morte (1991)  è sicuramente venuto il tempo di riconoscerne ruolo e contributo alla storia del paese.

Intanto confido che il voto di Claudio Pallini  lo  abbia  risarcito dall’esser stato costretto,  il 6 aprile 1923,  ad affrontare, per motivi politici, un duello alla sciabola con il segretario del fascio di Grosseto, Umberto Pallini: nessuna parentela,  ma nel 1700  il ramo della famiglia che poi si  poi stabilì  a Pistoia arrivava da Grosseto…. .

 

[1] Più volte Segretario del PRI, Vicepresidente del Consiglio con De Gasperi, più volte ministro della Difesa, si colloca su posizioni centriste e nel PRI si oppone al centrosinistra propugnato da Oronzo Reale e Ugo La Malfa. Sostenitore del presidenzialismo, viene espulso da PRI. Viene  Indagato da Luciano Violante  che lo accusa di aver progettato un colpo di Stato in combutta con Edoardo Sogno – Medaglia d’Oro della Resistenza – e gli viene perfino ritirato il passaporto, ma restituito prontamente quando manda una dura lettera a Violante, scrivendo fra l’altro: «Non sono mai scappato, né di fronte ai soldati austriaci, né di fronte ai fascisti. Non scapperò di certo ora». Ed è prosciolto in istruttoria insieme con gli altri imputati.

Nel 1979, rientra nel Pri su richiesta della base romagnola tornando a far parte della direzione nazionale. Nel 1991 Il Presidente Cossiga dispone per lui funerali di stato. .

https://www.ildubbio.news/2017/01/14/pacciardi-repubblicano-accusato-golpismo/

 

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Archiviato in:Redazionale

Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Graziano Bonacchi dice

    4 Giugno 2021 alle 15:59

    Bravo Luciano!
    Un bel ricordo …e tanta storia

    Con amicizia

    Graziano
    Graziano Bonacchi 3335408975

    Rispondi
    • luciano pallini dice

      5 Giugno 2021 alle 14:27

      Grazie ..
      E scrivi qualcosa

      Rispondi

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