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I vantaggi e i paradossi della Rete unica

Il dibattito sulla Rete unica, proprio per evitare le conseguenze negative dei vecchi monopoli, è sempre stato basato sull’idea che la gestione di questa ipotetica rete unica fosse assicurata da una società completamente terza rispetto a quelle che offrono i servizi. 

7 Aprile 2021 da Fabio Colasanti Lascia un commento

Da qualche tempo si parla della creazione di una “Rete Unica” nel campo delle telecomunicazioni.  Si vorrebbe creare una società partecipata da tutti gli operatori che offrono servizi di telecomunicazioni e che gestisca le reti già esistenti di Telecom Italia, di Open Fiber e quelle di altre società.

Dagli anni novanta del secolo scorso, nel mondo delle telecomunicazioni si è discusso spesso dell’opportunità o meno di creare una rete unica che gestisca la rete fissa di un Paese.

Gli argomenti principali a favore di questa tesi sono la riduzione del costo dell’investimento totale grazie al fatto che non c’è una duplicazione di investimenti simili, e la possibilità di finanziare l’investimento nelle zone meno sviluppate attraverso gli utili realizzati nelle zone più ricche (cosa che rende meno visibile il vero costo dell’investimento pubblico effettuato nelle zone meno sviluppate).

Affidare lo sviluppo della rete ad una società pubblica potrebbe però essere visto come un ritorno al vecchio monopolio, con il rischio che la società proprietaria di questa rete non faccia gli investimenti che potrebbero rivelarsi necessari per permettere l’innovazione nel settore delle telecomunicazioni.  Questa società potrebbe voler seguire una sua strategia pluriennale, che potrebbe non tener conto degli ultimi sviluppi tecnologici.

Per di più, il conferimento delle reti esistenti, consistenti soprattutto nel cosiddetto “ultimo chilometro“, solleva il difficilissimo problema della stima del loro valore: altissimo secondo gli ex-monopolisti che le detengono; di valore quasi nullo essendo basate sul “doppino di rame” (una tecnologia superata), secondo molti altri.

Il dibattito non ha mai avuto una conclusione chiara.  Ci sono argomenti validi da entrambi i lati e, in ogni caso, la fibra ottica fino alle utenze sembra una soluzione più che adeguata per molti anni ancora. Rimane il fatto che una rete unica di questo tipo non è stata realizzata in nessun Paese industrializzato, (eccezion fatta per realtà molto specifiche come, per esempio, Singapore e il Qatar).  Il Paese che più ha investito nella discussione di questo tema è l’Australia. Il tema è stato anche al centro di una campagna elettorale, ma alla fine non se ne è fatto nulla. E, cosa molto importante, non disponiamo di un solo precedente di una valutazione effettiva della rete in rame di un ex-monopolista.

In ogni caso, questo dibattito, proprio per evitare le conseguenze negative dei vecchi monopoli, è sempre stato basato sull’idea che la gestione di questa ipotetica rete unica fosse assicurata da una società completamente terza rispetto a quelle che offrono i servizi.  I tentativi parziali di andare in questa direzione, dalla creazione di Open Reach in Gran Bretagna, all’operazione immaginata da Telecom Italia ai tempi della seconda guida di Franco Bernabè, avevano mostrato i limiti di separazioni basate solo sulla governance, anche se molto sofisticata come quella di Open Reach.

Il dibattito in corso nel nostro Paese non può ignorare quello che è stato discusso per più di venti anni e le scelte fatte a livello europeo in questo campo.  La società che gestirebbe questa nuova rete non potrebbe mai essere influenzata da società che offrono servizi ai clienti finali e dovrebbe essere una cosiddetta “società all’ingrosso” che affitti, senza discriminazioni, le sue linee a tutte le società di servizio.  La commissaria europea Vestager ha dichiarato chiaramente che un’eventuale rete unica italiana dovrebbe essere gestita da una società all’ingrosso non controllata da chi offre i servizi.  Non l’ha detto esplicitamente, ma ha fatto capire che un controllo da parte di Telecom Italia sarebbe inconcepibile.

Questo tipo di organizzazione, servizio all’ingrosso senza contatti con gli utenti finali, è esattamente quello che è applicato oggi da Open Fiber che ha iniziato ad operare nel 2016.  Open Fiber ha lavorato bene, anche se il suo lavoro è stato rallentato dall’incredibile complessità amministrativa del nostro paese. La dirigenza di questa società afferma che in questi cinque anni di attività avrebbe dovuto chiedere più di centomila permessi a tante amministrazioni diverse. Open Fiber si è anche rivelata una spina nel fianco di Telecom Italia. Le due società si sono scontrate in molte occasioni e hanno in corso un certo numero di vertenze giudiziarie.

Il problema più grosso è però che lo sviluppo della fibra nel nostro Paese è rallentato dalla mancanza di interesse dei clienti, che non sembrano vedere i vantaggi di una vera connessione fino alla loro residenza.  A fronte di milioni e milioni di case e uffici già oggi “passati” alle linee in fibra – di Telecom Italia, di Fastweb, di Open Fiber e di altri – ci sono ben pochi contratti effettivi.  Il governo dovrebbe mettere a disposizione fondi per collegare in fibra ottica scuole, ospedali, uffici giudiziari e ogni pubblica amministrazione e per incentivare i collegamenti in fibra per le piccole e medie imprese.

Il progetto in discussione oggi in Italia vede due aspetti un po’ paradossali.  

Il primo è che l’Enel non è affatto d’accordo – come molti esperti del settore – con questo progetto.  Vorrebbe continuare con l’esperienza di Open Fiber.  Ma è stata invitata dal governo Conte 2 a vendere la sua quota in questa società ad un fondo di investimento australiano, Macquarie.  Alla faccia dell’avere un maggior intervento dello stato nell’economia!   L’Enel ha aderito di mala voglia a questa richiesta e finora ha fatto tutto il possibile per ritardare la vendita.

L’altro è che mentre per oltre venti anni le società eredi degli antichi monopoli di Stato hanno fatto muro contro ogni progetto di rete unica, oggi Telecom Italia sarebbe invece favorevole a questo progetto.

Come ho ricordato, il progetto di rete unica italiano ha ricevuto la benedizione di Giuseppe Conte senza che il PD si sia mai espresso ufficialmente sul tema.  Le poche voci che si sono udite, soprattutto Delrio e Misiani, sono state piuttosto critiche.

Quale dovrebbe essere la posizione del PD su questo progetto ?

 (questo articolo, con il consenso dell’autore, è ripreso dal sito Immagina – idee per l’Italia e per l’Europa www.immagina.eu)

 

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Info Fabio Colasanti

Fabio Colasanti è un economista che ha lavorato per molti anni alla Commissione europea. Si è laureato in economia a Roma con il professore Federico Caffè e con Ezio Tarantelli. Ha lavorato per una ventina d'anni nella direzione generale per gli affari economici e finanziari dove ha lavorato sul Sistema monetario europeo, è stato coordinatore delle previsioni economiche della Commissione europea e poi responsabile della redazione dei documenti di analisi economica (rapporti annuali e raccomandazioni di politica economica).

Nel 1996 è diventato direttore alla direzione generale per il bilancio. Successivamente ha diretto la direzione generale per le imprese e poi quella responsabile per le telecomunicazioni, lo sviluppo delle politiche digitali ed il finanziamento della ricerca in questi campi.

Nel 2010 ha fatto parte di un gruppo internazionale incaricato di formulare raccomandazioni per il futuro dell'ICANN e per il suo ruolo nell'assegnazione degli indirizzi internet e dei nomi di dominio.

Dall'aprile 2010 a marzo 2016 è stato presidente dello International Institute of Communications (Londra, UK). Dal 2014 al 2020 è stato membro del Consiglio di amministrazione di Rai Way (società quotata in borsa). Dal 2011 è uno degli organizzatori del seminario di Villa Vigoni sull'euro.

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