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I nostri minimi salariali sbagliati

Il rifiuto di commisurare gli standard retributivi al costo della vita locale fa sì che i minimi oggi applicati siano sbagliati tanto al nord quanto al sud: al nord perché troppo bassi, al sud perché troppo alti. .

23 Dicembre 2022 da Pietro Ichino Lascia un commento

La settimana scorsa la Camera dei Deputati ha approvato una mozione contraria all’introduzione di uno salario minimo orario, che è invece previsto dalla legge nella maggior parte dei Paesi occidentali. Nel dibattito parlamentare neppure una voce si è levata per affrontare una questione di importanza cruciale, che non riguarda soltanto il tema di un ipotetico standard minimo imposto per legge, ma riguarda anche i minimi fissati dai contratti collettivi.

In Italia gli squilibri regionali sono molto marcati; il costo della vita a Crotone è del 30 per cento inferiore rispetto a Milano. Con 1300 euro al mese al sud si può vivere decentemente, al nord no. D’altra parte, anche la produttività media del lavoro è più alta al nord rispetto al sud. Così, per esempio, un salario minimo orario di 9 euro, che corrisponde all’incirca a 1530 euro al mese, al nord avrebbe probabilmente solo effetti positivi, al sud avrebbe molto probabilmente un sensibile effetto depressivo sulla domanda di lavoro regolare.

La soluzione più lineare consisterebbe nell’affidare a un’autorità – quale potrebbe essere il CNEL, visto che nel 2016 abbiamo deciso di tenerlo in vita – il compito di determinare lo standard minimo in termini di potere d’acquisto effettivo, modulandolo sulla base dell’indice Istat del costo della vita locale.  Senonché una soluzione di questo genere urta contro un tabù oggi fortissimo in seno al movimento sindacale, secondo il quale “non si possono reintrodurre le gabbie salariali”, abolite più di mezzo secolo fa. Un’altra soluzione potrebbe, allora, essere quella di “sgabbiare la contrattazione collettiva” consentendo ai contratti aziendali o territoriali – purché stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi – di adattare lo standard minimo alle condizioni particolari delle zone dove il costo della vita è inferiore alla media nazionale.

Una cosa è certa: il rifiuto di commisurare gli standard retributivi al costo della vita regionale o provinciale fa sì che i minimi oggi applicati in Italia, espressi in valore nominale della moneta, siano sbagliati tanto al nord quanto al sud: al nord perché troppo bassi, al sud perché troppo alti.

(questo articolo, con il consenso dell’autore, è ripreso dal sito www.pietroichino.it)

 

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