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Solo Riformisti

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Finché la barca va?

Il risultato dell’Umbria è stato già metabolizzato. Maggioranza e opposizione continuano come se niente fosse. Ma quel voto ha cambiato le cose e far finta di niente, soprattutto per il governo, può essere fatale.

4 Novembre 2019 da Giancarlo Magni 1 commento

Resistere, resistere, resistere.  Viene in mente la celebre frase del Procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli a proposito delle reazioni dei partiti della maggioranza di governo di fronte al risultato delle elezioni in Umbria.

I numeri sono noti e non staremo a ripeterli. Ne ripercorriamo però, sia pure per sommi capi, il significato. Il primo dato che balza subito agli occhi è la disfatta dell’alleanza che governa il Paese.  In molti su quel fronte, dopo il voto, hanno cercato di minimizzare dicendo che la sconfitta era ampiamente prevista dato che le principali città umbre erano già in mano al centrodestra. Verissimo ma una cosa è perdere e un’altra prendere un distacco di 20 punti. Tanto più che il risultato è stato ottenuto con un significativo aumento della partecipazione al voto. Quando i partiti di governo hanno visto che il dato dell’affluenza cresceva hanno subito pensato che le cose si stavano mettendo bene. Di solito infatti è l’elettorato di sinistra che si mobilita con più facilità, specie quando all’orizzonte si profila un pericolo come quello di una destra sovranista e populista data vincente. Invece è accaduto esattamente il contrario. Si è mobilitato l’elettorato di destra, tradizionalmente più pigro, ed è rimasto a casa quello di sinistra. Deluso il secondo, galvanizzato il primo. Il secondo dato riguarda il cambio di natura dell’alleanza di centrodestra. Non più a trazione moderata ma a forte prevalenza sovranista e populista. Il dato di Salvini e soprattutto quello della Meloni ne sono la testimonianza più evidente. In questo quadro è emblematico il trend di Forza Italia che in tutte le elezioni, dal 2008 in poi, ha perso continuamente voti. Berlusconi, ormai patetico nelle sue apparizioni in tv con tre dita di cerone sul viso, cerca ancora di salvare il salvabile mettendosi però totalmente a rimorchio di Salvini, l’astensione sulla commissione Segre è solo l’ultimo esempio, e non riaffermando i valori liberali di un tempo. E la cosa è talmente evidente che il malumore dentro il partito diventa sempre più forte.

Se le cose stanno così, nella settimana dopo il voto umbro ci si sarebbero aspettate reazioni decise nei due schieramenti. Niente di tutto questo. Prevale appunto il “resistere”. Ma fino a quando sarà possibile resistere? Nella maggioranza i segni di nervosismo si moltiplicano. La manovra, da provvedimento cardine del governo, è diventata invece terreno di scontro tanto che Zingaretti si è sentito in dovere di richiamare gli alleati ad un minimo di unità. Appello caduto nel vuoto. Si cerca di modificare qualche misura ma non si cambia il senso di una manovra che un senso non ce l’ha, salvo quello di tappare i buchi più grossi. E tappare i buchi più grossi non basta. Questo governo del tutto innaturale avrebbe infatti avuto una sua ragion d’essere se il PD fosse riuscito ad imporre quel “cambiamento” e quella “svolta” inizialmente sbandierata ai quattro venti. Ma quale cambiamento e quale svolta si possono realizzare se si lasciano in piedi tutte le misure più assurde varate dall’Esecutivo precedente come Quota100, sul fronte economico, o i decreti sicurezza, su quello dei diritti? Non facendo questo, resta il piccolo cabotaggio e non si recupera certo terreno ritoccando una micro misura qui e una là.

Purtroppo  il quadro non migliora se guardiamo anche quello che potrebbe muoversi e non si muove sul fronte liberal-riformista. Di Forza Italia abbiamo detto, ormai è avviata ad un ancor più indecoroso declino. I mal di pancia per il momento restano tali. La Carfagna sembra diventata Penelope che di giorno tesse una tela e la notte la disfa. Lo stesso vale per Renzi. Dice cose giuste ma poi resta fermo. Ha bisogno di tempo per rafforzarsi sul territorio e questo limita di molto la sua azione. Calenda vuole giocare in proprio, la Bonino è sparita. Purtroppo gli egoismi, le tattiche, la mancanza di coraggio e le inerzie di questi personaggi privano il paese dell’unica alternativa possibile all’inconcludenza delle ricette del governo e alla pericolosità di quelle dell’opposizione.

Lasciare andare la barca finché va non è mai stata una buona politica.

 

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Info Giancarlo Magni

Giancarlo Magni, giornalista professionista, ha seguito per anni, a Roma, la vita politico-parlamentare. Ha lavorato nella carta stampata, nelle radio e nelle TV. In RAI è’ stato vice-caporedattore del TGR della Toscana. Dal 2012 al 2017 è stato Vice-Presidente del Comitato Regionale per le Comunicazioni della Regione Toscana. Fa parte del Comitato Direttivo della Fondazione "F. Turati", una Onlus che gestisce Centri di Riabilitazione, Rsa e Centri per disabili. E' Presidente dell'ETS Raggio Verde che assiste minori e adulti affetti da autismo.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Luciano Martelli dice

    4 Novembre 2019 alle 15:43

    Giancarlo Magni è una bella figura. Estremamente equilibrato. Penna sottile e fine osservatore.
    Occorre raccomandare però di non versare tutte le lacrime per l’Umbria altrimenti non ne restano per l’Emilia.
    Lunga vita agli incapaci

    Rispondi

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