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Solo Riformisti

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Arriva il “docente esperto” (?)

Finora gli insegnanti non hanno mai avuto una carriera – uno vale uno, direbbero i grillini – ma solo una progressione economica legata all’anzianità di servizio. Cosa demotivante per gli insegnanti migliori. Tuttavia l’introduzione della figura del “docente esperto” avrebbe meritato ben altro contesto e organicità.

3 Agosto 2022 da Daniela Fedi Lascia un commento

A volte mi chiedo se gli editori dei quotidiani scelgano i “titolisti” dall’albo dei giornalisti o da quello dei pubblicitari.

Oggi, il lettore che si ferma ai titoli degli articoli, otterrà l’impressione che sia stata introdotta una riforma della scuola di un certo rilievo. Ma così non è.

Si tratta invece di un colpo di coda che il governo dimissionario ha voluto inserire nell’ultimo decreto utile di questa legislatura (il dl Aiuti bis). Un colpo di coda virtuoso, potremmo ammettere, nel senso che si vuole lasciare un seme nella speranza che germogli. Ed è un seme succoso.

L’articolo 37, infatti, introduce una storica svolta nel mondo della scuola: la carriera degli insegnanti.

Un’inversione di rotta di questa portata andrebbe accolta con soddisfazione. Finora gli insegnanti non hanno mai avuto una carriera – uno vale uno, direbbero i grillini – hanno solo una progressione economica legata esclusivamente all’anzianità di servizio. Cosa piuttosto demotivante per gli insegnanti migliori.

Tuttavia l’introduzione della figura del “docente esperto” avrebbe meritato ben altro contesto e organicità. Una normativa dedicata e che intervenisse in modo più incisivo. Insomma, aspettare 10 anni per vederne gli effetti fa un po’ passar la voglia in primis all’insegnante che per formarsi e aggiornarsi aspetta di vedere degli incentivi economici.

Questa nuova figura di docente, infatti, è correlata all’accesso ad una massiccia formazione, da cui il legislatore si aspetta un innalzamento nei livelli di professionalità dei docenti, soprattutto in termini di metodologie didattiche innovative, si può intuire.

I meccanismi di incentivazione a partecipare a corsi di formazione e aggiornamento non sono legati alla semplice partecipazione a una sommatoria di corsi, webinar brevi e altre invenzioni qua e là, ma al compimento di tre percorsi triennali. Un impegno serio, davvero notevole.

Qui si rileva uno squilibrio importante. L’insegnante dovrebbe essere motivato a formarsi dalla chimera di essere nominato docente esperto e così ottenere un aumento di stipendio di 5.650 euro all’anno fino a fine carriera. Ma in questo ragionamento ci sono almeno due grosse falle.

Primo. L’incremento di stipendio arriverà dall’anno scolastico 2032/33!! Fra 10 anni. E, considerando l’età media dei docenti italiani, a quel tempo molti saranno vicini alla pensione e quindi godranno dell’incremento di stipendio per un tempo davvero breve. Dunque l’efficacia dell’incentivo sarà molto scarsa.

Secondo. L’incentivo sarà riconosciuto ad un massimo di 8.000 docenti in tutta Italia. Un po’ pochino, considerando che i docenti pubblici italiani di ogni ordine e grado sono oltre 800.000. Ed è chiaro che la qualità del corpo docente non potrà cambiare in modo significativo, neanche fra 10 anni, con un intervento di uno su cento. Diciamo, uno per scuola, più o meno.

Inoltre, ancora non si sa bene come la formazione dovrebbe essere erogata. Assicurare la qualità delle docenze e dell’organizzazione dei corsi sarebbe davvero dirimente per portare una svolta nella didattica (spesso stantia) adottata dai docenti italiani. Soprattutto se si pensa a quanti governi cambieranno nei prossimi 10 anni e, dunque, a quante occasioni ci saranno per modificare questa norma o, semplicemente, ignorarla, senza darle attuazione.

È anche vero che un governo dimissionario (ed un Parlamento sciolto), ormai, non poteva fare molto di più. Ma questa è una di quelle materie così serie e dirimenti per il futuro del paese – determinante la qualità dell’istruzione – che avrebbe certamente beneficiato della stabilità politica venuta recentemente a mancare e traballante già da tempo.

Due cose buone le esprime.

Da tempo la richiesta dei sindacati era quella di far svolgere la formazione (obbligatoria e continua, secondo la Buona scuola di Renzi) in orario di servizio. Un po’ come avviene ovunque, in aziende ed enti. Ma nella scuola questo vuol dire far perdere ore di lezione agli studenti. Invece qui si è compiuta un’altra scelta. Almeno in linea di principio. Ovvero, la qualità della didattica che l’insegnante è capace di esprimere ne determina l’avanzamento di carriera ed il relativo riconoscimento economico.

Certo, i numeri come abbiamo detto son tali (solo 8000 in Italia) per cui sembra più un premio all’eccellenza di pochi che un provvedimento massivo che vuole velocemente riqualificare il corpo docente della scuola italiana.

Insomma, l’enfasi sull’argomento è quella giusta, ma temo che la carota sia troppo piccola e troppo lontana.

Vedremo come il prossimo governo affronterà la cosa.

Con un colpo di spugna o lavorando alla sua attuazione e progressivo miglioramento?

Il seme succoso seminato al calar del sole (e un po’ troppo in superficie) attecchirà o sarà spazzato via dal vento?

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Info Daniela Fedi

Docente in Scienze giuridiche ed economiche, svolge attività di consulenza di direzione e business coaching.
Formatrice negli ambiti della comunicazione relazionale, della mediazione degli apprendimenti e del potenziamento dei processi cognitivi. Practitioner in PNL e tecnico della Facilitazione esperta, applicatore PAS del Metodo Feuerstein.
Con la Meridiana Editore ha pubblicato “L’insegnante facilitatore” (2011) e “Insegnare soddisfatti” (2013)

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