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Una storia italiana

Coronavirus: servono azioni decise e responsabili, non giustificazioni penose. Alla base del diffondersi del contagio anche la mancanza di un coordinamento nazionale

24 Febbraio 2020 da Luciano Pallini Lascia un commento

Ancora una volta, a conferma della incompatibilità tra regimi totalitari e diritti umani, in primis il diritto alla salute ed alla tempestiva informazione dei propri cittadini e del mondo intero, è arrivata l’attuale grave epidemia da coronavirus: il regime cinese come nel 2002/2003 ha ritardato a comunicarne l’insorgere favorendone la diffusione incontrollata con l’aumento dei casi letali.

La leadership cinese ha penosamente tentato di sottrarsi alle proprie responsabilità scaricando le colpe sui dirigenti locali ma di certo questa vicenda compromette il “ luminoso futuro” che  Xi Jinping assegnava alla Cina e di cui assumeva la responsabilità al congresso del PCC del 2017: con i tempi ed i modi propri dei partiti comunisti al potere, verrà anche il momento in cui un leader che ha fallito sarà chiamato a renderne conto e pagarne le conseguenze.

Anche l’Italia è stata colpita con virulenza inattesa da questa epidemia, con un numero di contagiati che l’ha portata ai primi posti della classifica della diffusione delle infezioni da coronavirus.

Se il premier Giuseppe Conte si dichiara sorpreso e comincia a cercare colpevoli tra i presidenti delle regioni (che non sono affatto esenti da colpe)  altri che si erano vantati di misure preventive ben più severe – così affermavano baldanzosamente – di quelle adottate da altri paesi europei oggi giustificano i negativi dati italiani con l’impegno a ricercare tutti i contagiati a fronte dell’inerzia degli altri paesi che truccherebbero così le statistiche, in un complotto nazionalistico nel quale convergerebbero governi, informazione e cittadini,  proni ad  ammalarsi in silenzio ed in silenzio a morir per la maggior gloria della patria.

Una ricostruzione di come si è sviluppato il contagio può aiutare a verificare se ci fu o no complotto per appannare l’immagine dell’Italia proiettata verso un radioso futuro di stagnazione: solo dati ufficiali comunicati a mezzo stampa.

Il Sole 24 ore del 10 febbraio 2020 forniva  il  bilancio dell’epidemia del Coronavirus in Italia a dieci giorni dallo scoppio dell’emergenza in Italia: Tre persone contagiate, dieci sottoposte a test, 63 in quarantena tra la struttura dedicata della Città Militare della Cecchignola e il Policlinico militare del Celio a Roma.

Lo stesso giorno il Quotidiano sanità riportava i dati diffusi dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc)  sui casi in Europa aggiornati al alle ore 8 del 10 febbraio.

“ Complessivamente i casi confermati sono 37: quattordici casi in Germania (due importati, 12 acquisiti localmente), undici casi in Francia (sei importati, cinque acquisiti localmente), tre casi in Italia (tre importati), quattro casi nel Regno Unito (due importati e due acquisiti localmente), due casi in Spagna (importati), un caso in Belgio (importato), un caso in Finlandia (importato) e un caso in Svezia (importato)”

Le reti di protezione in Europa funzionano ed in Italia meglio che altrove visto il numero di casi particolarmente basso, anche se alcuni virologi, soliti menagramo, raccomandavano misure rafforzate e mirate.: ma tutto sembrava andare per il meglio come confermava ancora il Quotidiano Sanità del  20 febbraio

“La diffusione del contagio in Europa sembra essersi fermata. La conferma viene dai dati diffusi questa mattina dall’Ecdc, aggiornati alle ore 8 di oggi, 20 febbraio, che indicano infatti in 45 i casi confermati di contagio da nuovo coronavirus, lo stesso dato da quattro giorni…….16 casi in Germania (due importati, 14 acquisiti localmente), 12 casi in Francia (cinque importati, sette acquisiti localmente), nove casi nel Regno Unito (otto importati, uno acquisito localmente), tre casi in Italia (tre importati), due casi in Spagna (due importati), un caso in Belgio (importato), un caso in Finlandia (importato) e un caso in Svezia (importato)”

Non c’è complotto, a quanto pare, fino al 20 febbraio, nessun paese viene accusato di taroccare i numeri per farsi bello davanti al mondo intero e danneggiare l’Italia.

Ma qualcosa succede il 21 febbraio, ne dà notizia l‘Ecdc nel suo Communicable disease threats report, del 16-22 Febbraio  2020

“ Italy: On 21 February 2020, the media reported a case in Lombardy, Italy. According to media reports, he was hospitalised on Wednesday with severe respiratory failure. At the end of January he had dinner with a friend returning from China, who is now undergoing tests at the Sacco hospital in Milan. The Italian Civil Protection Department, Ministry of Health and regional authorities are investigating this”

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) conferma il primo caso autoctono in Italia risultato positivo all’Ospedale Sacco di Milano con trasmissione locale per la prima volta di infezione da nuovo coronavirus, dalla quale prendono avvio “…le indagini sui contatti dei pazienti al fine di prendere le necessarie misure di prevenzione”

Nel giro di due giorni la situazione muta radicalmente: il 22 febbraio, è sempre il Quotidiano Sanità che scrive, “L’improvvisa emersione dei due focolai in Lombardia e Veneto ha portato l’Italia in vetta alla classifica dei paesi europei colpiti dal nuovo coronavirus, sia come numero di contagi che come decessi”.

Cosa è successo?

Il problema è più semplice: nella rete italiana di protezione dal contagio si è aperto un varco e da quel varco il contagio si è rapidamente diffuso: l’emersione di nuovi casi è solo la ricerca affannosa di limitare i danni di un errore compiuto e non la virtuosa azione di una prevenzione rafforzata.

Dove si è aperto il varco? Così riferisce la stampa in merito al paziente 1, il paziente di Codogno che come scrive la Provincia pavese del 24 febbraio 2020 “Domenica scorsa aveva iniziato a stare male, aveva la febbre e si era presentato al Pronto soccorso di Codogno. Da lì viene rimandato a casa e nei giorni successivi si era fatto visitare a domicilio dal suo medico di base. Martedì era tornato in ospedale e, davanti alle domande dei sanitari, sua moglie aveva ricordato le cene con il collega tornato dalla Cina. Siamo al momento in cui inizia il contagio dal Pronto soccorso di Codogno. Tra i primi contagiati c’erano persone direttamente a contatto con il 38enne. Sua moglie ora è ricoverata al Sacco”.

Un errore umano in un piccolo ospedale di provincia in un pronto soccorso sotto stress? Di sicuro si è aperto un focolaio che assieme a quello del Veneto non rappresenta il successo nella ricerca di una più efficace prevenzione ma una rincorsa disperata per contenere i danni.

E con quale faccia tosta vantiamo questa condizione come un merito nei confronti di altri paesi verso i quali rischiamo di esportare il contagio? È da augurarsi che per nascondere un nostro fallimento il contagio dilaghi in tutta Europa, in paesi che pure si stanno attrezzando, anche alla luce dell’esperienza italiana, per fronteggiare una eventuale emergenza?

Ma non ci vogliono gli europei, mettono barriere all’ingresso di italiani che provengono da regioni e zone a rischio, lamenta il presidente Fontana: premesso che a parti rovesciate l’Italia adotterebbe le stesse misure, sono stati gli altri italiani i primi a mettere restrizioni, dalla Basilicata ai comuni dell’Isola d’Ischia.  E poi cosa si può obiettare quando si vedono chiudere disordinatamente ed in gran fretta università, musei, stadi? Che tutto va bene. Sembra difficile sostenerlo.

Il premier Conte pone poi questioni sulla capacità delle regioni di gestire la sanità: un tema di grande rilievo che non può essere affrontato sotto l’incalzare del contagio  e che comunque dovrà essere oggetto di meditata riflessione  mentre invece   il quadro caotico di misure adottate in questi giorni con l’emergenza usata come arma di lotta politica attraverso l’uso del potere di ordinanza richiede un deciso e rapido riordino attraverso severi limiti che non offrano spazi per la fantasia al potere.

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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