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Solo Riformisti

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Stalin chi?

Scrivere sui muri non è corretto ma anche le scritte rappresentano dei “documenti” che spesso, come le lapidi e le statue, tramandano una memoria che non sempre è riconosciuta come tale.

28 Maggio 2019 da Simone Fagioli Lascia un commento

Aida le tue battaglie
 i compromessi
 la povertà
 i salari bassi la fame bussa 
il terrore russo
 Cristo e Stalin…

Rino Gaetano, Aida(1977)

I muri delle città sono da sempre pieni di scritte. A Pompei ci sono scritte sui muri. E in effetti ci sono scritte sui muri anche in campagna. Le scritte sui muri sono dappertutto. Si tratta con tutta evidenza di documenti, che ci raccontano storie, anche se funzionari comunali (e non solo) parecchio zelanti di affannano a coprirle. Affannano è il termine giusto, dato che di solito pochi attimi dopo essere state coperte ne appaiono di nuove.

Ora, non voglio dire che scrivere sui muri sia corretto, ma va anche detto che è un bisogno atavico, incontrollabile. Insomma, sui muri non si dovrebbe scrivere, ma c’è sempre qualcuno che ci scrive, come su quelli storici, a Firenze, su Ponte Vecchio (molto gettonato) oltre che in tutte le strade cittadine e non solo.

Se fino a qualche anno fa un manoscritto della Divina Commedia era considerato un Documento e la lettera di un soldato no, ora per la ricerca storica e sociale le cose sono parecchio migliorate (dico per l’Italia, altrove un documento era ed è un documento) e anche le scritte sui muri per i ricercatori più accorti sono documenti da studiare e “documentare”, prima che il solito zelante funzionario, magari con l’appoggio dell’assessore del momento (sic transit gloria mundi, l’assessore dico) si affanni a darci una mano di bianco (più spesso giallino o colori simili).

In provincia di Pisa in aperta campagna su un vecchio ponte che in qualche modo mi ricorda Don Camillo e Peppone troneggia la scritta W Stalin.

Antica? Moderna? Un reperto ante 1953? (Iosif Vissarionovič Džugašvili, conosciuto anche come Stalin, “Uomo d’acciaio” muore in quell’anno). La scritta di un nostalgico post 1953? Una burla?

Volendo non è né impossibile né difficile stabilire se la scritta è coeva a Stalin, se misura davvero lo scontro tra Don Camillo e Peppone locali. In effetti anche ad un esame superficiale – la scritta è sulla spalletta di un ponte di una strada bianca, defilata – appare remota, pur magari con qualche ritocco “conservativo”.

Di cosa si tratta dunque?

La scritta W Stalinè due cose precise: 1. Un documento; 2. Un simbolo.

È un documento anche se fosse falsa, se fosse stata fatta un mese fa. Nella misura in cui i documenti sono assolutamente tautologici: un documento è un documento.

Naturalmente nell’analisi del documento devo essere pienamente consapevole, e lo devo evidenziare, che possa essere un “falso”, in questo caso una scritta tracciata non in epoca staliniana, o meglio, ad esempio estranea alla contesa politica italiana su Stalin (“Adda venì Baffone”, detto di origine napoletana), tracciata forse anche da poco da un nostalgico.

In effetti in tutto questo qualcuno potrebbe anche dire Stalin chi?

E qui entra in gioco il ruolo simbolico, che ci porta dritti a una faccenda un po’ più complessa ma di grande rilievo, che nelle città è sotto i nostri occhi tutti i giorni.

Se chi vede la scritta non sa chi sia Stalin ne riduce la portata: la può considerare una scritta “curiosa” ma nulla di più. Non ne percepisce, al di là che sia stata tracciata nel 1950 o nel 2019, il valore simbolico.

Molto all’ingrosso se fosse stata fatta nel 1950, in questa aperta campagna, su un ponte marginale, lontano dalla viabilità importante, in una zona di case coloniche (ora tutte trasformate in B&B e agriturismi) avrebbe marcato davvero i limiti di uno scontro politico, dove Stalin avrebbe rappresentato l’uomo forte invocato dal PCI, e la scritta una precisa marcatura del territorio, fisico e politico.

In effetti anche se fatta nel 2019 la proiezione simbolica sarebbe la stessa, in una operazione in qualche modo retroattiva.

Ma appunto il nodo sta nel sapere, da parte di chi ha tracciato la scritta e dal “pubblico” al quale era diretta, chi fosse Stalin.

Le città sono piene di monumenti che ci sono del tutto muti, dato che non ri-conosciamo chi vi è effigiato – salvo casi rari, come Garibaldi – dei quali non sappiamo nulla.

W Stalin – Stalin chi?Questo il cortocircuito che si crea se il destinatario non sa ciò che sa il mittente, spesso vissuto anche cento anni o più prima.

Leggere un quotidiano di cento, ma anche cinquanta anni fa è straniante: gli articoli sono pieni di riferimenti che in quel momento erano cronaca, che tutti sapevano, che il giornalista dava per scontato, ma che ora ci sono oscuri.

Così le lapidi nelle città (con l’aggravante di essere in gran parte illeggibili per scolorimento o consunzione e anche per eccessiva altezza di posizionamento) e i monumenti appunto, con effigi di eroi ignoti, ma anche i nomi delle vie, dedicate spesso a personaggi locali oscuri anche ai concittadini.

Quel W Stalinè un eco lontano, il suono di una stella oramai morta che lancia la sua ultima luce attraverso le galassie, fino a noi. Chi ha gli strumenti culturali adatti ne percepisce la portata, documentale e simbolica; per chi non gli ha è una macchia sul muro.

Spesso questo è il limite di eventi culturali, mostre, incontri. Dare troppo o tutto per scontato. Ed è anche il limite di chi amministra la cosa pubblica, che nella maggior parte dei casi non sa o non vuol sapere.

W Stalinpotrebbe essere l’ultimo documento simile in Italia.

Ma è possibile che lo zelante imbianchino dell’ufficio tecnico locale passi domani a dare una mano di vernice, magari inviato dal solito assessore di cui sopra.

Nella foto W Stalin © Simone Fagioli 2019

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Archiviato in:Sguardi obliqui. Antropologie della città Contrassegnato con: scritte sui muri

Info Simone Fagioli

Simone Fagioli (Pistoia 1967) è ricercatore di formazione antropologica. Collabora con enti pubblici e privati per ricerche sui temi della nascita e sviluppo dell’industria (metallurgica, mineraria, cartaria, tessile, ceramica), analisi dei processi produttivi preindustriali e industriali, storia d’impresa privata, sociologia e antropologia del cibo, uso pubblico della memoria, nonché gestione di archivi d’impresa e privati.

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