Essere europeisti oggi è quasi un imperativo categorico: visto che nella UE è cambiata la direzione del vento e dal rigido vento del Nord, che imponeva austerity e pareggio di bilancio, si è passati ad una brezza più mediterranea che ha portato investimenti pubblici e con essi una ripresa evidente soprattutto in Italia.
Ma ciò non ci esime dal rilevare quello che in Europa ancora non va: innazitutto l’assenza di una politica estera comune; e per capirlo basterebbe vedere come si è mossa sul fronte libico la Francia, a partire da quella disastrosa guerra contro il regime di Muhammar Gheddafi voluta unicamente per danneggiare gli interessi italiani nell’area.
E poi c’è un altro capitolo dolente, che potrebbe intitolarsi “ottusità della burocrazia europea”. In passato ne hanno subito le conseguenze intere categorie di cittadini, come per esempio i nostri pescatori ai quali, nel 2015, un regolamento pensato e scritto a Bruxelles vietava di pescare le vongole con una lunghezza inferiore a 25 millimetri, quando nell’Adriatico le vongole non riescono a superare i 22 millimetri.
Lasciamo perdere, per ora, le questioni serissime della politica estera e dei regolamenti comunitari partoriti dalla logica burocratica, e parliamo di un tema culturale esploso recentemente, quando è stato reso pubblico il documento contenente le “European Commission Guide lines for Inclusive Communication” della commissaria europea all’Uguaglianaza Helena Dalli.
Il documento – subito ritirato per le comprensibili reazioni e le critiche suscitate – si collocava a pieno titolo in quell’orientamento di origine anglosassone che ormai sta diffondendosi sempre di più, il quale sbandiera il concetto di inclusività (di carattere religioso, razziale e sessuale) e perciò pretende di realizzare la “purificazione” dei codici linguistici.
Non è una novità per noi italiani, che già da un po’ dobbiamo difendere la nostra lingua dagli assalti degli abolizionisti delle desinenze plurale maschili per i nomi misti, che vorrebbero sostituire con dei segni impronunciabili come l’asterisco o il neutro schwa. La nota scrittrice Michela Murgia è appunto una di questi folli guastatori.
Il fatto è che il documento della eurocrate Dalli andava ben oltre le distorsioni di carattere grammaticale, anche perché in Inglese il problema non sussiste; e arrivava al punto di voler cancellare tutte le parole potenzialmente offensive (sic) per i non cristiani, tra cui una così cara a milioni di cittadini europei qual è Natale/Christmas/ Weinachten / Noel/Navidad… per sostituirla con un generico e insipido “feste”.
Qui l’ottusità burocratica tocca veramente l’apice, sorpassa di gran lunga il tragicomico regolamento sulla lunghezza delle vongole pescabili e approda in quella Waste Land ( Terra desolata) descritta nel celebre poema di T.S.Eliot: ovvero il luogo della decadenza di una intera civiltà, dello smarrimento esistenziale dell’uomo moderno che ha perso il filo della storia e delle sue tradizioni.
Un altro grande poeta e pensatore controcorrente, P.P.Pasolini, parlò di “omologazione” per indicare la caratteristica della società contemporanea, dove i modelli linguistici e culturali si riducono sempre di più, eliminando ogni differenza e specificità, e finendo per dar luogo a un mondo di individui-massa.
Che c’entra tutto questo con il documento sulla Inclusive Communication, ritirato ma solo in vista di una sua prossima revisione e ripresentazione? C’entra perché ci fa capire che l’Europa dovrà necessariamente ritrovare la sua anima profonda se vuole continuare a esprimere un modello di società alternativa ai sistemi autoritari che la circondano. E quest’anima europea, autenticamente liberale, è fatta anche di tradizioni religiose che la identificano e che non possono essere soppresse in nome di un falso egualitarismo o di un distorto concetto di inclusività: il Natale è una di queste tradizioni.
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