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Ripensare il governo Monti

Dieci anni dopo l’Esecutivo presieduto da Mario Monti l’Italia ha ancora un governo presieduto da un tecnico. Anche se la situazione è diversa, giova ripensare a quell’esperienza per cancellare le tante fake news che l’accompagnarono.

5 Marzo 2021 da Fabio Colasanti Lascia un commento

Nel nostro paese, soprattutto per motivi contingenti legati alla campagna elettorale del 2013, si è sviluppata una narrativa errata a proposito dell’azione del governo di Mario Monti.   Oggi che siamo di nuovo di fronte ad un altro governo guidato da una personalità non appartenente ad una forza politica tradizionale è opportuno ricordare come si è arrivati alla formazione del governo Monti.

Nell’aprile del 2010 il governo greco aveva gettato la spugna e aveva chiesto l’aiuto del FMI e dei paesi europei, aiuto che era stato concesso in pochi giorni.

Di fronte alle dimensioni della crisi greca si era aperta una grossa questione: ristrutturare il debito pubblico greco (gestire un default) o no ? La BCE, la Francia e l’Italia si opposero alla ristrutturazione per paura delle conseguenze su altri paesi. Per di più avevano paura che la ristrutturazione del debito pubblico greco potesse scatenare una serie di fallimenti bancari. Il FMI e la Germania pensavano invece che si dovesse fare la ristrutturazione del debito pubblico greco subito.

Inizialmente prevalse la prima posizione (quella di Italia, Francia e BCE) anche se questa implicava prestare alla Grecia i fondi che le permettessero di rimborsare i titoli in scadenza, titoli detenuti soprattutto da banche (soprattutto greche, francesi, tedesche e di altri paesi).

Ma già alla fine del 2010 si cominciò a capire che la situazione greca era molto peggiore di quanto inizialmente pensato. Questo portò alla decisione di organizzare la ristrutturazione del debito pubblico greco (default) che fu realizzata nel marzo 2012 portando alla cancellazione di titoli greci per 126.6 miliardi di euro (titoli detenuti soprattutto dalle banche). Tutte le principali banche greche divennero insolventi e dovettero essere ricapitalizzate con soldi dei paesi dell’eurozona (il ruolo del FMI è stato quantitativamente secondario).

Ma la decisione di ristrutturare il debito pubblico greco gelò i mercati. Se un paese dell’eurozona poteva andare in default, questo sarebbe potuto succedere anche ad altri paesi. Il temuto “contagio” si verificò rapidamente. I mercati cominciarono a dubitare della capacità dei paesi con finanze pubbliche in difficoltà a far fronte alle proprie scadenze e cominciarono a richiedere tassi di interesse sempre più alti per accettare di comprare nuovi titoli di stato di questi paesi. Quasi tutti i paesi dell’unione monetaria furono coinvolti; tutti gli “spread” aumentarono, anche se in maniere diverse.

A fine 2010, fu l’Irlanda a dover chiedere l’aiuto di altri paesi non potendo più accettare di emettere titoli ai tassi di interesse richiesti. Nella primavera del 2011, fu la volta del Portogallo. Dal giugno 2011, i tassi di interesse sui titoli spagnoli e italiani cominciarono a salire sempre di più. Durante il mese di agosto 2011 il Tesoro italiano annullò le aste previste e fece ricorso alle riserve liquide di cui disponeva. Ma a settembre la situazione italiana divenne critica; i tassi di interesse superarono il sette per cento.

A livello internazionale ci fu molta preoccupazione. Le dimensioni dei debiti pubblici di Spagna e, soprattutto, Italia erano tali che un intervento come quello realizzato per i tre primi paesi (Grecia, Irlanda e Portogallo) era impensabile.

In Spagna erano previste delle elezioni politiche e si sperava che il nuovo governo fosse in grado di prendere misure che potessero rassicurare i mercati ed evitare una crisi come quelle di Grecia, Irlanda e Portogallo. Cosi fu.

In Italia invece il governo Berlusconi aveva preso delle misure molto timide, che in parte sarebbero entrate in vigore solo nel 2012 e 2013. Per di più, Silvio Berlusconi, nelle riunioni europee, negava che l’Italia fosse in crisi (“I ristoranti sono pieni!“).

Ci fu quindi una certa pressione alla quale rispose favorevolmente Giorgio Napolitano e si arrivò alle dimissioni di Silvio Berlusconi che fu sostituito da Mario Monti. Quest’ultimo fu sostenuto da gran parte della maggioranza che aveva data la fiducia a Silvio Berlusconi e da gran parte dell’opposizione. La composizione del Parlamento non cambiò.

Mario Monti prese più o meno le stesse misure che tre quarti dei paesi europei si ritennero obbligati a prendere per evitare di finire come Grecia, Irlanda e Portogallo. Questo portò nel 2012/2013 la metà dell’UE in recessione. Le recessioni di Italia e Spagna nel 2012/2013 furono quantitativamente identiche.   Mario Monti ha pienamente raggiunto il suo obiettivo che era quello di evitare una crisi delle finanze pubbliche italiane.   Evitare una crisi delle finanze pubbliche ha sempre un forte costo immediato in termini di crescita e occupazione.

Nessuno introduce misure restrittive per il piacere di farlo. In una democrazia le misure restrittive delle finanze pubbliche non sono una cosa piacevole; portano sempre alla perdita di consensi. Gli effetti negativi si vedono subito e quelli positivi si vedono dopo cinque o dieci anni. Gerhard Schroeder prese delle misure di carattere simile nel 2003, la disoccupazione tedesca continuò ad aumentare fino a raggiungere un picco nel 2006. Solo nel 2010, quando la Germania fu il paese che recupererò per primo dopo la crisi del 2008/2009, si videro gli effetti positivi delle riforme del 2003 e se ne riconobbe l’importanza. Ma nel frattempo Gerhard Schroeder aveva perso le elezioni del 2005.

Ma Mario Monti fece anche tanto a livello europeo per il superamento della crisi. L’impennata degli spread era dovuta ai dubbi che erano apparsi sul futuro dell’unione monetaria. Mario Monti ebbe un ruolo molto importante nei negoziati che portarono il Consiglio europeo di fine giugno 2012 a prendere una serie di decisioni che confermarono la volontà di difendere l’unione monetaria, di difendere l’euro (approvazione del rapporto detto “dei quattro presidenti“). L’accordo del 29 giugno 2012 è ciò che apri la porta al “Whatever it takes” di Mario Draghi pronunciato qualche giorno dopo (il 26 luglio 2012).

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Info Fabio Colasanti

Fabio Colasanti è un economista che ha lavorato per molti anni alla Commissione europea. Si è laureato in economia a Roma con il professore Federico Caffè e con Ezio Tarantelli. Ha lavorato per una ventina d'anni nella direzione generale per gli affari economici e finanziari dove ha lavorato sul Sistema monetario europeo, è stato coordinatore delle previsioni economiche della Commissione europea e poi responsabile della redazione dei documenti di analisi economica (rapporti annuali e raccomandazioni di politica economica).

Nel 1996 è diventato direttore alla direzione generale per il bilancio. Successivamente ha diretto la direzione generale per le imprese e poi quella responsabile per le telecomunicazioni, lo sviluppo delle politiche digitali ed il finanziamento della ricerca in questi campi.

Nel 2010 ha fatto parte di un gruppo internazionale incaricato di formulare raccomandazioni per il futuro dell'ICANN e per il suo ruolo nell'assegnazione degli indirizzi internet e dei nomi di dominio.

Dall'aprile 2010 a marzo 2016 è stato presidente dello International Institute of Communications (Londra, UK). Dal 2014 al 2020 è stato membro del Consiglio di amministrazione di Rai Way (società quotata in borsa). Dal 2011 è uno degli organizzatori del seminario di Villa Vigoni sull'euro.

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