Da un paio di settimane continuo a chiedermi se tra i giovani italiani, americani, francesi eccetera che protestano contro l’intervento dell’esercito israeliano a Gaza e i loro coetanei di circa mezzo secolo fa che marciavano contro la guerra del Viet Nam ci siano più somiglianze o più differenze. E la domanda mi sta martellando non soltanto in via puramente teorica, per il semplice fatto che tra quei ragazzi di allora c’ero anch’io.
A prima vista si potrebbe dire che il pacifismo sia l’elemento che li accomuna: pacifismo inteso come ripugnanza nei confronti di ogni tipo di guerra, per cui allora come oggi la parola d’ordine più frequente resta “Stop the war”. Un pacifismo, comunque, abbastanza ingenuo e generalista, ma giustificato dal fatto che gli studenti della fine degli anni Sessanta – come anche gli studenti dei nostri giorni – erano nati e vissuti in un periodo di pace, non avevano conosciuto direttamente gli orrori della seconda guerra mondiale e neppure la necessità che ebbero i loro genitori di combattere contro il nazismo e il fascismo per la liberazione dell’Europa. È comprensibile che chi ha sempre vissuto al riparo dalla tragedia della guerra voglia continuare a vivere nella stessa fortunata condizione e consideri ogni guerra vicina e lontana come una minaccia e un crimine contro l’intera umanità.
Ci sarebbe anche un altro elemento di somiglianza: allora noi vedevamo che un popolo di contadini, diventati per necessità guerriglieri, veniva bombardato dall’aviazione americana senza alcuna pietà per i civili, e quindi gli USA erano l’oggetto delle nostre invettive; così come oggi i giovani pro Palestina, e con loro molti intellettuali engagé, accusano Israele di stare compiendo un genocidio, perché non si limita ad ammazzare i soldati di Hamas ma scarica bombe su tutta la popolazione palestinese.
Con le somiglianze mi fermerei qui, altre sinceramente non ne riesco a trovare. Per quanto riguarda, invece, le differenze mi viene immediatamente da dire che il nostro “anti-americanismo” era semplicemente rivolto contro la politica militarista del governo statunitense ed in particolare contro il presidente Jhonson che consideravamo il vero responsabile della guerra. Di certo non accusavamo l’intero popolo americano, anzi ammiravamo i nostri coetanei pacifisti delle università e tutti quegli artisti, come Bob Dylan e Joan Baez, che cantavano nelle marce per la pace. E nessuno, tranne forse qualche pazzoide, allora pensava che gli USA andassero eliminati dalla faccia della terra.
Oggi le cose sono molto diverse, in quanto l’antisionismo che viene sbandierato nelle manifestazioni di piazza e nelle occupazioni si è tramutato in vero e proprio antisemitismo, al punto che gli studenti ebrei vengono minacciati nei campus universitari americani; e in Italia, durante le manifestazioni del 25 aprile, si sono viste vere e proprie aggressioni contro coloro che marciavano sotto le insegne dell’eroica Brigata ebraica. Anche le minacce che il giornalista de La 7 David Parenzo ha ricevuto per la sua partecipazione alla festa della Liberazione insieme ai reduci e discendenti di quei soldati ebrei che combatterono in Italia con gli alleati anglo-americani sono un altro esempio di evidente antisemitismo. Così come il grido “Palestina libera dal fiume al mare”, che si sente spesso mentre vengono sventolate le bandiere palestinesi, significa che non si vuole la fine della guerra bensì la distruzione dello Stato di Israele.
Per queste ragioni mi sento molto, molto distante dai giovani Pro pal, sia di questa che dell’altra sponda dell’Oceano, ma continuo a credere e sperare in una soluzione del conflitto israelo-palestinese attraverso il reciproco riconoscimento ad esistere di due Stati e due popoli, come era stato deciso nel vertice di Camp David.
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