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Solo Riformisti

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Prevenire l’infarto dell’economia

Quando sarà finita l’emergenza dovremo far ripartire l’economia, difendere per quanto si può il PIL e la stabilità finanziaria del Paese. Un compito titanico per il quale ci vorrebbe un governo con i controcoglioni.

1 Aprile 2020 da Lorenzo Colovini Lascia un commento

Si è chiusa la seconda settimana di clausura stretta causa coronavirus e sembra passato un secolo. Perché questi giorni chiusi in casa, chi (i fortunati) in smart working, chi drammaticamente senza fare nulla, questi quotidiani bollettini di nuovi contagi, nuovi morti, questo spiare ansiosi ogni sera alle 18 i dati della Protezione Civile, le percentuali e i segnali di rallentamento, ci hanno cambiato. Diciamo la verità, all’inizio non ci eravamo resi conto dell’incubo che stava per cominciare. Sembrava importante solo per le fastidiose limitazioni alla fruizione dei nostri giocattoli quotidiani, le partite allo stadio o palazzetto oppure a porte chiuse.. le grandi domande erano come si sarebbe fatto a completare la Champions League o il campionato e come fare a organizzarsi per la campagna delle Amministrative 2020 dove si sarebbero svolte. Qui a Venezia dove abito solo 3 settimane fa.. il blog della Reyer basket traboccava di commenti entusiasti per la qualificazione alle Final Eight, un candidato sindaco si diceva contento dell’opportunità di avere più tempo per la campagna elettorale (chissà poveretto quanto si è pentito dell’uscita..), seguivamo le Primarie Democratiche in USA, le sparate di Salvini… insomma la vita scorreva normale. Oggi, alzi la mano chi pensa alla campagna elettorale, a chi frega qualcosa se e come il campionato verrà fatto riprendere e finire; siamo di fronte ad una netta e rapidissima inversione di priorità, tutto e solo ciò che conta sono due domande: 1) quando sarà finita? 2) in che condizioni ci ritroveremo al momento di ripartire?

Non è in gioco solo la questione sanitaria. Si, i morti sono tantissimi, l’ecatombe giornaliera è impressionante nei numeri e nella costanza di questi ma restiamo sempre (direi in particolare nella nostra Provincia) a un livello percentuale sostanzialmente risibile. Non siamo, cioè, singolarmente preoccupati di morire ma tutti, proprio tutti, siamo consapevoli che la forzata inattività cui siamo costretti (e ci sono pochi dubbi che questa sia oggi l’unica opzione percorribile) ha impatti devastanti e profondi sulla nostra economia (e naturalmente non solo la nostra) verso cui siamo assolutamente impotenti.

Un pensiero dolente e solidale alle migliaia e migliaia di nostri concittadini che questa situazione metterà sul lastrico, impotenti a sbarcare il lunario. A coloro che non hanno il problema di quando poter andare al supermercato, e se portarsi dietro l’autocertificazione o la mascherina, ma di come pagarlo, il supermercato. È notizia recente che il Governo ha stanziato 4 miliardi e mezzo per letteralmente consentire alla gente di poter fare la spesa. Dopo meno di un mese di inattività. Questo la dice lunga su quanto questo Paese fosse già fragile, precario, incerottato. Già prima del coronavirus. E genera qualche sospetto sulla retorica che spesso sentiamo recitare del grande risparmio privato (in contrapposizione all’enorme debito pubblico) nel nostro Paese. Risparmio privato che quantomeno è mal distribuito.

Ma la tragedia non impatta solo sugli ultimi.. ci sono anche i penultimi. Tutti coloro che magari tengono botta per qualche mese ma ai quali l’ondata di recessione arriverà pesantissima dopo. Chi ha un negozio, un’azienda, una piccola o grande impresa commerciale, i professionisti che campano di incarichi e commesse che non verranno pagati, le fabbriche che non troveranno un mercato per i loro prodotti, chi perché l’export subirà un tracollo, chi semplicemente perché non c’è mercato interno. I dipendenti di queste fabbriche e l’indotto, il baretto che fungeva da mensa per queste, il piccolo subfornitore.. tutto un mondo interconnesso e interdipendente fortemente a rischio. E a cascata, in un tragico effetto domino, nel depauperamento collettivo, ne soffriranno tutti coloro che forniscono prodotti e servizi non essenziali.

Tutta gente che ha sempre fatto il suo, che ha tirato la carretta, sovente facendosi un mazzo così, pagando le tasse che doveva, dando lavoro a dei dipendenti..

Insomma, quando sarà finita l’emergenza Coronavirus, se non vogliamo che i morti siano molti di più del già orrido obolo quotidiano che tributiamo al virus nefando, si dovrà ripartire subito, in modo intelligente e coordinato, per impedire l’infarto della nostra economia, difendere per quanto si può – punto su punto, decimale su decimale – il PIL e la stabilità finanziaria del Paese il cui debito sarà alle stelle. Un compito titanico, da far tremare i polsi. Per il quale ci vorrebbe una sostanziale concordia bipartisan, che non c’è. E una squadra di governo con i controcoglioni. Di cui, nell’attuale panorama politico, né di maggioranza né di opposizione (per carità..), si vede financo l’ombra. Sì, uno ci sarebbe, con le idee chiare (e giuste): Carlo Calenda. E infatti nei sondaggi vola, vedi gli italiani quanto ci capiscono..

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Info Lorenzo Colovini

Nato a Venezia nel 1959, vi ha sempre risieduto tranne alcuni periodi per lavoro. Laureato in ingegneria elettrotecnica nel 1984 all’Università di Padova, sposato con due figli gemelli (ormai 25enni) lavora all’Enel, settore Distribuzione, da 1987. Ha svolto per circa 20 anni incarichi nel territorio per poi passare ad attività di carattere nazionale nel International Business Development, lavoro che lo porta a passare molto tempo all’estero. Sempre come business developer di Enel, ha vissuto a Pechino per circa un anno e mezzo (2008-2009). Collaboratore fisso della testata on line Luminosi Giorni, rivista di cultura politica con particolare attenzione a temi dell’area veneziana. Fa parte del Direttorio di UNAeUNICA, associazione trasversale nata per contrastare l’ipotesi di divisione del Comune di Venezia nelle due parti di acqua e di terra.

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