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Prato si candida ad accreditarsi come grande “hub” per il recupero dei rifiuti tessili, sia speciali che urbani. E’ un progetto ambizioso che si iscrive in una cornice fluida e condizionata da una serie di variabili esterne di cui, per il momento, non sono noti tempi, impatto e leve azionabili

Prato e la sfida del “Textile hub”

Prato si candida ad accreditarsi come grande “hub” per il recupero dei rifiuti tessili, sia speciali che urbani. E’ un progetto ambizioso che si iscrive in una cornice fluida e condizionata da una serie di variabili esterne di cui, per il momento, non sono noti tempi, impatto e leve azionabili

10 Gennaio 2022 da Andrea Balestri Lascia un commento

La scorsa estate il Comune di Prato ha diffuso “Next Generation Prato”, documento di 140 cartelle che presenta le linee guida con le quali si predispone a cogliere le opportunità offerte dal PNRR. Il documento, redatto in base anche ad un articolato percorso di ascolto e dialogo con gli stakeholder locali, raccoglie in 24 schede un ampio ventaglio di obbiettivi progettuali che abbracciano “di tutto e di più”: verde, transizione ecologica, infrastrutture, mobilità sostenibile, capitale umano, digitalizzazione, innovazione, regimazione acque, inclusione, scuole, tramvie, piste ciclabili, forestazione urbana, blockchain, 5G, ecc…

In fatto di strategie industriali, nel quadro della Missione “Rivoluzione verde-Transizione Ecologica” del PNRR, Prato si candida ad accreditarsi come grande “hub” per il recupero dei rifiuti tessili, sia speciali (“pre consumo”) che urbani (“post consumo”). La proposta  di creare grandi centri (hub, appunto) per il riciclo di prodotti tessili è stata avanzata nel 2020 da Euratex, la Confederazione Europea dell’Industria Tessile, con l’obbiettivo di spingere il comparto verso modus operandi  di economia circolare e sostenibile.  Quello di Prato è un progetto ambizioso che si iscrive in una cornice fluida e condizionata da una serie di variabili esterne di cui, per il momento, non sono noti tempi, impatto e leve azionabili. Sul fronte della sostenibilità, della circolarità e del recupero, infatti, stanno lavorando alacremente Unione Europea, governi nazionali, enti locali, associazioni di categoria e di consumatori e imprese; sono stati varati programmi e direttive e si stanno stanziando consistenti  risorse. Come vedremo, tuttavia, restano ancora molte le tessere del mosaico da mettere a posto per centrare l’obbiettivo; im particolare:

  1. come prevedono le direttive UE in materia, in primo luogo va messa velocamente in piedi la filiera logistica e infrastrutturale per raccogliere, selezionare e processare la frazione tessile “post consumo”. Nel 2019 in Italia (ISPRA) ne sono stati intercettati solo 157 milioni di ton su un totale di capi dismessi stimato (Ref ricerche) in 820 milioni di ton. Va tenuto presente, però,  che con DL 116/2020  già dal 1 gennaio 2022 i Comuni italiani devono attrezzarsi  per raccogliere tutta la frazione tessile (obbiettivo alquanto improbabile dato che si parte dal 20%!), attività fino ad oggi svolta in forma più o meno organizzata ma non obbligatoria;
  2. inoltre, come è già stato fatto in Francia, andrà introdotto un “sovraprezzo ambientale” sugli articoli T&A prodotti-acquistati (EPR: “extended product responsibility”) per finanziare gli investimenti nei centri di raccolta, selezione e trattamento dei rifiuti, e sostenere la creazione di consorzi per la loro gestione, provvedimenti e accordi che coinvolgono numerosi attori e presentano un elevato livello di complicazioni;
  3. a fronte degli auspicati maggiori volumi di rifiuti raccolti, vanno individuati nuovi sbocchi per i vari  materiali selezionati. Pensiamo solo alla difficoltà di commercializzare già nel 2022 il doppio o il triplo dei capi usati attualmente veicolati tramite i mercatini.  Adesso, secondo ISPRA confluisce nel  riuso (“seconda mano”) solo il  35-45% dei 157 milioni di ton di  frazione tessile raccolta dai comuni. La maggior parte di quello che residua è inviata verso i paesi poveri o in via di sviluppo. Solo una quota marginale viene riciclata per ottenere “materia prima seconda” da immettere in nuovi processi industriali, attività limitata ma che vede le imprese di Prato protagoniste assolute e che è alla base della candidatura del distretto a grande hub europeo del riciclo tessile;
  4. di fronte alle prevedibili difficoltà a inondare i paesi poveri con maggiori volumi di prodotti selezionati per il riuso, va premuto l’acceleratore sulla parte del recupero che attiene al riciclo partendo già dalla progettazione. Come è noto, gli articoli di vestiario spesso sono composti da fibre eterogenee che ne limitano la riciclabilità, soprattutto quando si impiegano gli elastomeri. Già  in fase di progettazione si dovrebbero ideare prodotti con caratteristiche atte a facilitare i processi di recupero (ecodesign), buona prassi che, se anche si diffondesse rapidamente, produrrebbe comunque  risultati tangibili solo a medio termine;
  5. in fatto di selezione, attività di cruciale importanza attualmente svolta prevalentemente con operazioni manuali e abilità visive, c’è una esigenza impellente di nuove e più avanzate applicazioni tecnologiche nei processi di trattamento: caratterizzazione, separazione, triturazione e sfilacciatura. Partita questa che, diversamente da quanto successo fino ad oggi per il riciclo degli stracci, si giocherà necessariamente sul campo della ricerca scientifica e del trasferimento tecnologico;
  6. altra vexata questio riguarda un quadro normativo in continua evoluzione che richiama obbiettivi altisonanti, talvolta contradditori, e che spesso si presenta lacunoso. Negli ultimi quarant’anni la filiera pratese del riciclo degli stracci è stata penalizzata da  provvedimenti macchinosi (e non proporzionali) riguardanti le concentrazioni di ammine (prodotto colorante il cui uso è vietato da molto tempo ma di cui è impraticabile certificare l’assenza in capi prodotti prima dell’introduzione del divieto) e di alchilfenoli etossilati (APEO). Inoltre, per quanto riguarda le fasi pre consumo, le associazioni tessili reclamano un quadro normativo nella definizione di “end of waste” chiaro e meno penalizzante.

Difficile prevedere gli orizzonti temporali nei quali si presenteranno i nodi queste macro sfide con le quali il textile hub dovrà necessariamente misurarsi ma ciò non ha scoraggiato l’Amministrazione e i vari stakeholder coinvolti  a rimboccarsi le maniche. Nel documento programmatico del Comune l’hub è opportunamente immaginato come una rete estesa di enti pubblici, associazioni e imprese che svolgono un insieme coordinato di attività legate al recupero di materia e a tutti i servizi, diretti e indiretti, a questo collegati: logistica, ricerca tecnologica, studi economici e giuridici, formazione, comunicazione, termovalorizzazione, comunicazione  (e altri ancora).  Si tratta, in sostanza, di un’accezione molto ampia che, mobilitando l’orgoglio locale per  la tradizione nella cernita degli stracci, mira a “insediare a Prato il principale Textile Hub nazionale e consolidarne il ruolo di polo tecnologico e operativo del riciclo tessile a livello europeo”.

Per il momento quello dell’hub è soprattutto  un grande disegno da “mettere a terra” ma una prima, doppia spinta in questa direzione potrebbe arrivare dai due  bandi varati lo scorso settembre dal MiTE nel quadro della missione “Rivoluzione verde-Transizione Ecologica” del PNRR. Il primo assegna ingenti contributi agli enti e alle  società di gestione rifiuti per la costituzione delle infrastrutture logistiche e operative  del ciclo rifiuti  (reti territoriali per la raccolta, creazione rafforzamento centri selezione, trattamento, ecc..) e questo ha catturato attenzione e interesse di Comune, Alia e Associazioni di categoria. Il secondo, rivolto alle imprese,  prevede  sostegni ai “progetti faro per il recupero della frazione tessile”; in particolare si incentivano con contributi a fondo perduto gli investimenti innovativi nella creazione di una rete per la raccolta della frazione tessile pre e post consumo e negli  impianti di cernita e trattamento. Da sottolineare che l’inserimento in logiche sistemiche (distrettuali) da “textile hub” è richiamato esplicitamente nelle finalità del bando.

Tutta lascia pensare che Prato non si lascerà fuggire queste opportunità ma è bene tener presente che c’è molta strada da fare: la lunga serie di politiche pubbliche locali (progetti comunitari, area a declino industriale, vari programmi regionali per il sistema moda,  improbabili centri di ricerca, ecc…) che spesso in passato non hanno portato i risultati attesi richiede una sin qui inedita capacità di gestione e di attuazione di grandi progetti.

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Archiviato in:Economia

Info Andrea Balestri

economista, ha svolto incarichi in centri studi, associazioni di categoria e fondazioni filantropiche. Negli ultimi anni si è occupato di enti del Terzo Settore e di Bilanci sociali. Tra le sue pubblicazioni: Ricerche, immagini e testimonianze sul futuro di Prato (1986), Cambiamento e politiche industriali nel distretto tessile di Prato (1990), Imprenditori e distretti industriali (1994), Flanelle e velour. Lanifici e impannatori a Prato (2002), La metamorfosi del sistema industriale apuano (2010); Le ragioni del marmo (2016), In cerca di empatia. Il settore lapideo, le imprese e le comunità locali (2018); Tra Prato e Carrara. Tre passi nella storia e una finestra sul futuro della Toscana settentrionale (2021)

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