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Solo Riformisti

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Perché Calenda si candida a Roma?

La candidatura a Sindaco della Capitale rappresenta il de profundis per l’avventura di Azione. Forse l’ex ministro è arrivato alla conclusione che l’Italia non è un Paese per riformisti. Molto meglio vivacchiare sotto l’ombrello statalista.

26 Ottobre 2020 da Lorenzo Colovini Lascia un commento

Dunque Calenda si candida a Sindaco di Roma, è ufficiale.

Come andrà a finire, se avrà o meno l’appoggio del PD (per ora freddissimo), chi si troverà contro, se sarà eventualmente un bravo Sindaco (probabilmente sì) sono domande interessanti ma del tutto irrilevanti ai fini del ragionamento che vorrei proporre.

Ragionamento che parte dalla considerazione che Calenda ha fondato una formazione politica, Azione, che si è posta e si pone come alternativa politica per il governo di questo Paese. Che è fuoriuscita dal PD in netto contrasto con la prospettiva di alleanza con i cinquestelle e, diciamolo, con la deriva statalista, con la visione di partito socialdemocratico classico che questa alleanza in qualche modo comporta (e che molto si confà a larghi strati del partito democratico, in primis il Segretario). Azione, al pari di + Europa, analogamente a Italia Viva, si situa insomma in quell’area diciamo “di centro” che in qualche modo anela ad un’Italia diversa, che aspira ad affrontare nel merito gli eterni problemi strutturali di questo Paese. Potremmo tentare di definirla un’area riformista e progressista, liberale. Un’area politica poco premiata dagli elettori, eternamente sottorappresentata e pure divisa tra vari capi bastone.

La candidatura di Calenda può essere interpretata in due modi:

  1. Con questa mossa spariglia le carte, mette al centro dell’attenzione la sua forza politica e costringe il PD a supportarlo o a candidargli qualcuno contro. In ogni caso guadagna visibilità e si erge a un ruolo di protagonista che l’esangue 3% che i sondaggi attribuiscono ad Azione non gli consentirebbe
  2. Calenda si è rassegnato al fatto che sulla scena politica nazionale il suo ruolo è marginale e che tale rimarrà e allora ripara su una poltrona prestigiosissima dove ben figurare

Sono assai propenso a preferire la seconda lettura. Per la banale constatazione che fare il Sindaco di Roma è un’attività a tempo pieno e non hai certo modo di fare anche il leader politico nazionale. Anche solo la campagna elettorale, che si immagina estenuante e lunga, costringe qualunque candidato a concentrarsi sulla città e solo su quella. Insomma, la candidatura di Calenda a Sindaco della Capitale rappresenta il de profundisper l’avventura di Azione. Scelta certamente consapevole che evidentemente rivela la rassegnata constatazione che anche Azione, come le due formazioni sopra citate, non è in grado di raccogliere consensi oltre la pura testimonianza; anche se, insieme, i 3 avrebbero un “tesoretto” di circa l’8%, non propriamente nulla. Ma questo è un altro discorso che ci porterebbe fuori strada.

Insomma, anche Calenda si è rassegnato al fatto che l’Italia non è un Paese per riformisti, per parafrasare il celebre film. Interessante in proposito l’articolo di Ilvo Diamanti sulla Repubblica del 19 ottobre che prende spunto da un sondaggio in cui viene chiesto agli intervistati dove si collocano. Solo l’8% si dice di centro, con una certa radicalizzazione rispetto al passato. Diamanti ne deduce che è il centro politico ad aver perso “appeal”. Francamente non mi convince molto. Perché non è questa la categoria di riferimento. Non è il collocamento equilibrato (ovvero né destra né sinistra) ad essere poco attrattivo. Anche perché lo stesso sondaggio di Diamanti rivela che ben un terzo degli intervistati semplicemente “non si colloca” (quindi potenzialmente si vede “al centro”). Quello che non attrae è una visione riformista, di rinnovamento radicale per cui si preferiscono le rispettive comfort zones.. lo statalismo e l’assistenzialismo da una parte (cinquestelle e larga parte del PD) e l’immigrazione, il sovranismo, l’avversione per le tasse dall’altra.

Una interessante lettura è questa intervista che SoloRiformisti ha posto alla prof.ssa Claudia Mancina https://www.soloriformisti.it/il-futuro-e-di-una-sinistra-liberale/ che si interroga sui temi di cui sopra e su come coltivare una cultura liberale, riformista e progressista in Italia.

Tento immodestamente una mia chiave di lettura. Io penso che prerequisito per essere e sentirsi riformista (non importa se di destra o di sinistra) è porsi in termini 1) di collettività e 2) di futuro. Perché la forza, la voglia e la determinazione a cambiare e a fare la fatica (spesso molta fatica) di cambiare la si trova solo se si ha la percezione che lo sforzo sia fecondo e utile.

E può essere fecondo solo se si ragiona in termini di collettività e bene pubblico. Per esempio chi pensa che si debba riformare il sistema giudiziario lo pensa perché il Paese, cioè tutti noi, ne avrà un beneficio in termini di competitività, equità, attrattività. non è una questione che si riflette (nella maggior parte dei casi almeno) nel mio quotidiano. E può essere utile solo se penso che i frutti del mio sforzo (e pure, certo, delle rinunce che possono essermi chieste) varranno nel tempo e saranno dunque colti anche dai miei figli e dai figli dei miei figli.

Ebbene, io penso che il nostro è un Paese biecamente conservatore, lo si è visto per esempio in occasione del referendum del 2016 (ne abbiamo parlato più volte) e, insieme, “pigro”. In più viviamo un momento di recessione da più di 10 anni, aggravato drammaticamente dallo tsunami Covid19. La crisi, direi inevitabilmente, fa sì che si concentrino le necessità sui propri bisogni specifici, qui e ora, e ci si richiuda in sé stessi. E quindi si cercano soluzioni facili ancorché fallaci.

Dal manifesto di presentazione di Azione si legge AZIONE è il luogo di mobilitazione dell’Italia che lavora, produce, studia e fatica. Ecco appunto fatica… più comodo ascoltare Salvini che ti dice che si risolve tutto con un condono tombale, o Di Battista che sproloquia di complotti della Spectre, o Zingaretti che dice.. (già, che dice Zingaretti?..). Più facile prendersela con gli immigrati, con l’Europa matrigna o invocare reddito di cittadinanza e cassa integrazione sine dine.

E Calenda quindi si candida a Sindaco di Roma…

 

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Archiviato in:Redazionale

Info Lorenzo Colovini

Nato a Venezia nel 1959, vi ha sempre risieduto tranne alcuni periodi per lavoro. Laureato in ingegneria elettrotecnica nel 1984 all’Università di Padova, sposato con due figli gemelli (ormai 25enni) lavora all’Enel, settore Distribuzione, da 1987. Ha svolto per circa 20 anni incarichi nel territorio per poi passare ad attività di carattere nazionale nel International Business Development, lavoro che lo porta a passare molto tempo all’estero. Sempre come business developer di Enel, ha vissuto a Pechino per circa un anno e mezzo (2008-2009). Collaboratore fisso della testata on line Luminosi Giorni, rivista di cultura politica con particolare attenzione a temi dell’area veneziana. Fa parte del Direttorio di UNAeUNICA, associazione trasversale nata per contrastare l’ipotesi di divisione del Comune di Venezia nelle due parti di acqua e di terra.

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