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Solo Riformisti

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MES, una possibile soluzione

Indipendentemente dalle ragioni, il MES non ha avuto successo. Forse è arrivato il momento di prenderne atto e convogliare quelle risorse su altri strumenti, magari lo stesso Recovery Fund.

28 Novembre 2020 da Daniele Marchetti Lascia un commento

Dopo un momento di “bassa” il dibattito sul cosiddetto MES sanitario: il Meccanismo Europeo di Stabilità messo a disposizione dalla Commissione europea per i Paesi colpiti dalla pandemia Covid 19, è tornato a dividere i partner di governo: Movimento 5 Stelle (compattamente -anche questa è una stranezza- contrario da sempre al MES) da un lato, PD, Italia Viva e Leu dall’altro.

Un muro contro muro acuito dalle parole espresse dal Presidente Giuseppe Conte alla trasmissione Otto e mezzo e ribadite, in forma solenne e decisamente più ufficiale -affinché la voce giungesse fino a Bruxelles-, durante la conferenza stampa con il Premier spagnolo Pedro Sanchez: l’Italia non farà ricorso al MES.

Un “ben di Dio” da 540 miliardi di euro utilizzabile per le spese sostenute a seguito del diffondersi dell’emergenza sanitaria ma che -cosa assai sospetta- nessun Paese UE -da maggio a questa parte- ha ritenuto di attivare.

Diffidenza politica che Bruxelles non sembra aver colto ma che rischia di essere motivata non solo e non tanto dai molti timori per possibili sorprese postume (come le dure condizionalità che hanno gravato sulle sorti economiche e sociali di Grecia e Spagna) o dalle difficoltà proprie del meccanismo (ovvero la possibilità di attivare il prestito solo dopo aver speso tutte le risorse messe a disposizione del MES per ogni Paese pari al 2% del proprio PIL nazionale 2019).

No, la diffidenza sembra nascere ed essere alimentata, piuttosto, da altro; dall’ostinazione con cui la stessa Commissione continua a proporre uno strumento che nessuno -alla prova dei fatti- vuole.

Infatti se in 5 mesi, fra l’altro, i più duri dell’intero periodo pandemico, nessun Paese ha ritenuto di attivare il MES sanitario perché la Commissione continua a tenere bloccate tali e tante ingenti risorse quando potrebbero essere invece dirottate su strumenti finanziari molto attesi ed estremamente ambiti come il Recovery Fund?

Perché mai privare i Paese dell’Unione di un così corposo ed immediato ristoro nell’evidenza di una congiuntura socio-economica estremamente grave per l’intera Europa che -nella cecità (e complicità) generale- rischia di divenire terreno fertile per le scorribande dei fondi sovrani di mezzo mondo?

Domande semplici ma decisive!

L’idea di avere una montagna di soldi già stanziati, accantonati, disponibili in cassa ma bloccati dalla volontà politico-burocratica di vincolarli indissolubilmente ad uno strumento finanziario che nessuno -fra l’altro- vuole, appare di per sé già una tragica follia. Se a ciò aggiungiamo che la Commissione, piuttosto di rinunciare al MES, si è resa disponibile persino ad una sua modifica, il “trappolone” appare confermato.

Ma siccome, ccà nisciuno è fesso, la proposta italiana dovrebbe tingersi di semplice e disarmante realismo: chiedere la cancellazione di uno strumento inutile (perché inutilizzato) come il MES sanitario, agevolare il trasferimento dei 540 miliardi sul Recovery Fund (caso mai con una linea di finanziamento espressamente dedicata al potenziamento della sanità) e attingere a tutte le risorse utili all’Italia senza remore o veti ideologici.

 

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Info Daniele Marchetti

Daniele Marchetti (Lucca, 1965) risiede a Firenze. Laureato in scienze biologiche, specializzato in epistemologia nell'Università di Pisa e perfezionato in bioetica e biotecnologie nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dal 1997 è abilitato alla professione di biologo e dal 2003 è giornalista iscritto all'Ordine della Toscana. Già ricercatore nell'Università di Firenze e titolare di una borsa di ricerca del ministero degli Esteri, nel 2001 entra in Consiglio regionale della Toscana come funzionario e nel 2009 guida, con la carica di dirigente, una segreteria istituzionale. Dal 2010 è stato responsabile dell'ufficio stampa di un gruppo consiliare.

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