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Solo Riformisti

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I tanto attesi fondi UE

La realtà dei fondi europei per l’Italia è molto diversa da quello che racconta il governo. Il processo decisionale è lento e noi siamo ancora più lenti nella capacità di spesa. E’ urgente riconsiderare il MES.

28 Novembre 2020 da Luciano Monti Lascia un commento

Solo qualche studioso ricorderà che il 17 dicembre 2013 veniva eletta Cancelliere di Germania, per la terza volta, Angela Merkel. La stessa che ha in questo secondo semestre dell’anno la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea e la responsabilità di condurre i paesi membri a condividere il pacchetto finanziario con il quale sostenere non solo lo sviluppo dei paesi europei ma anche la lotta alla pandemia, la ripresa e la resilienza sino al 2027 (rispettivamente il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 e il programma NextGenerationEU). Un pacchetto finanziario che, se includessimo anche il MES (il famigerato Fondo salva Stati) attribuisce all’Italia una somma superiore ai 300 miliardi di euro, tra contributi e finanziamenti.

Molti degli addetti che si occupano di “fondi europei” ricorderanno invece perfettamente quella data, perché la stessa è riportata sul regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che ha dato “la stura” alla programmazione 2014-2020, quella cioè che per tale periodo ha assegnato all’Italia circa 40 miliardi di euro.

Gli stessi addetti ricorderanno quanto sia stato difficile il negoziato di allora, con i paesi, cosiddetti “frugali” (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia) e i paesi grandi pagatori (come la Germania) restii ad allargare troppo i cordoni della borsa europea e gli altri paesi, ancora alle prese con l’uscita dalla grande crisi del 2008, desiderosi di avviare importanti e costosi progetti di ristrutturazione. Una sintesi raggiunta sul filo di lana, a valle della proposta della Commissione europea del luglio 2011, dopo anni di negoziato e superamento di veti incrociati, con il Parlamento europeo che darà il via libera soltanto il 2 novembre del 2013, e il consiglio europeo il successivo 2 dicembre.  Il regolamento finale, che porta appunto la data del 17 dicembre 2013, sarà pubblicato il Gazzetta Ufficiale europea soltanto il successivo 20 dicembre, giusto dieci giorni prima dell’avvio della programmazione che ci ha condotto sino alla fine del 2020.

Quando dunque il nostro premier, nei mesi scorsi ha annunciato che i tanto attesi fondi di quello che in forma abbreviata viene chiamato il” Recovery Fund” (il termine corretto è Recovery and Resilience Facility, dunque non un fondo ma uno strumento dedicato non solo per la ripresa ma anche alla resilienza) sarebbero arrivati il primo gennaio 2021 si è cullato in una illusione tutta italica. Un’illusione che presuppone che l’efficiente Commissione europea possa approvare a tamburo battente il nostro piano per la ripresa e la resilienza (peraltro ancora non trasmesso a Bruxelles) tra Natale e Capodanno e ancor più velocemente raccogliere sul mercato i 750 miliardi necessari a finanziare il programma Next GenerationEu, del quale appunto il Recovery è uno strumento. Un programma che è garantito in ultima istanza dal bilancio dell’Unione Europea, che se tutto va bene entrerà in vigore solo il primo dell’anno, come insegna l’esperienza del 2013.

È sempre lecito sperare, ci mancherebbe, un po’ meno illudersi e illudere i propri connazionali che il fiume di denaro tanto atteso si rovesci nelle casse del nostro paese così rapidamente. Questo non può avvenire per le ragioni appena illustrate e anche perché, a dirla sino in fondo le risorse che l’Europa ci sta per mettere a disposizione non sono semplici regalie. Se, infatti, è vero che il nostro paese potrebbe ricevere 209 miliardi dal Recovery, circa 40 dal bilancio ordinario, 20 dal programma SURE e 36 dal MES, d’altro conto, è tenuto ad alimentare il bilancio con contributi annuali e, da una certa data, restituendo la quota parte delle risorse riconosciuteci a titolo di finanziamenti. Per farla breve il saldo tra quanto riceviamo e quando dovremo restituire all’Europa è prossimo allo zero.

Nel prossimo anno potremmo avere più risorse di quanti ne dovremo versare e questo ci potrebbe aiutare “temporaneamente” a rimpinguare le casse dello Stato provate dalla lotta alla pandemia, ma dico ‘potremmo’ perché tutto dipende dalla rapidità con la quale riusciremo a trasferire detto denaro nell’economia reale. Il Premier sa benissimo che questo non è il nostro forte: della programmazione 2014-2020 siamo riusciti sino ad ora a spendere solo il 40% delle risorse assegnateci il 17 dicembre 2013 e molte delle misure annunciate nei vari Dpcm della primavera scorsa stanno andando a regime solo adesso.

Sano ottimismo, disinformazione o mero slogan? Tutti gli elementi lasciano pensare che si tratti della terza ipotesi. I fatti sono questi: alla vigilia della Riunione straordinaria del Consiglio europeo del 1° e 2 ottobre scorso il Presidente del Consiglio, confidava alla stampa delle capacità di mediazione della presidenza tedesca (presidente di turno come ricordato prima) e  mostrava ottimismo affermando che  «No, non sono preoccupato (…) . Dopo quello che è stato fatto non è possibile non procedere speditamente».  Meno di due settimane dopo (13 ottobre 2020), al Senato con minor entusiasmo affermava: “Non permetterò che ci siano ritardi sul Recovery Fund. (…) Il Next Generation EU deve partire il prossimo primo gennaio”. Giuseppe Conte lo ribadiva nel suo intervento al Foro di dialogo Italia-Spagna del 20 ottobre. Ma poi il 30 0ttobre, a Montecitorio, affermava con preoccupazione che: “Rimane urgente una positiva conclusione del negoziato sul Next Generation EU” e ” L’Italia – sono ancora le parole del premier in quella sede – resta impegnata a tal fine in un’intensa, serrata azione politico-diplomatica a tutto campo”.

Aleggiano i dubbi sulle tempistiche e le forze in campo. Ma chi ritarda il processo decisionale e cosa? La Merkel? La diplomazia dei paesi frugali? Il negoziato va a rilento sulla definizione del NextgenerationEu (peraltro, varato dal Consiglio dell’Unione europea) oppure sul quadro finanziario per il periodo 2021-2017?

Forse, più semplicemente, si tratta del complesso e a tratti farraginoso processo di decisione che vede Parlamento europeo, gli stati membri nel Consiglio e la Commissione ciascuno su posizioni differenti quando si tratta di stabilire i contributi all’Unione Europea in dare e avere?  La ricordata esperienza di sette anni fa ci ricorda quanto fosse (ed è)  difficile quadrare il cerchio.

Forse, con il senno del poi, sarebbe stato meglio riconsiderare il tanto odiato MES, che con i suoi miliardi disponibili subito (almeno la metà), ci avrebbero permesso di potenziare per tempo i nostri servizi sanitari e affrontare con maggiore serenità i mesi difficili che ci attendono e non scommettere  tutto sul  negoziato in atto  relativo piano finanziario  per i prossimi sette anni.

 

Estratto e rielaborazione dell’editoriale a firma dell’A. pubblicato sull’Inserto della domenica L’Ordine de La Provincia di Como dal titolo “Il fiume di denaro UE? Solo un’illusione”.

 

(articolo ripreso, con il consenso dell’autore, dal magazine on line LUISS Open del 13 novembre 2020)

 

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Info Luciano Monti

docente di Politiche dell’Unione Europa alla Luiss e condirettore scientifico della Fondazione Bruno Visentini

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