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Solo Riformisti

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Merito: che male fa?

Non c’è niente di male a dichiararsi “onestamente” per quello che si è e si vuole continuare ad essere. Anche una famosa politologa come Nadia Urbinati ha riconosciuto il diritto ad esprimere la propria identità.

26 Ottobre 2022 da Roberto Riviello 1 commento

La questione dei nuovi nomi dati ad alcuni Ministeri ha scatenato molte polemiche; e persino ironia, perché, se associ nello stesso dicastero Sud e Mare, è naturale che qualcuno poi ti chieda: – E gli spaghetti e il mandolino, no?-

L’insistenza sui nomi è facilmente spiegabile: è una questione identitaria, sulla quale Giorgia Meloni ha fatto campagna elettorale e ora sta impostando la sua azione di governo; anche perché – si sapeva – nei settori di peso come l’economia, la politica estera e la transizione ecologica non si potrà spostare più di tanto dal seminato e dal tracciato di Mario Draghi: non è un caso che Giorgetti, draghiano convinto, sia sempre in un posto chiave e che lo stesso Cingolani ora ritorni in veste di consulente.

Allora, per la Meloni, è bene mettere l’accento e le sottolineature quantomeno sui nomi, che rappresentano l’identità della destra; altrimenti quelli che l’hanno votata potrebbero sentirsi traditi.

E poi non c’è niente di male a dichiararsi “onestamente” per quello che si è e si vuole continuare ad essere. Glielo ha riconosciuto anche una famosa politologa come Nadia Urbinati il diritto ad esprimere la propria identità. Sempre meglio una che dica apertamente chi è e da dove viene (fermo restando l’abiura del fascismo e la condanna delle leggi razziali), di un Giuseppe Conte che si atteggiava a democristiano d’antan, e poi ce lo siamo ritrovato sorridente sovranista tra Di Maio e Salvini, fino a quando si è riciclato progressista e  leader in pectore di una certa sinistra.

Ma torniamo alla faccenda dei nomi. Comprensibile l’ironia sul Ministero del Sud e del Mare; o su quello della Sovranità alimentare (vogliamo sperare che il termine non stia per “autarchia” nella testa di chi l’ha pensato, altrimenti gli ci vorrebbe subito un ricovero coatto). Si può giustamente obiettare che l’aver messo una come Eugenia Roccella a capo del Ministero della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità fa venire un po’ la pelle d’oca; soprattutto pensando che troverà una sponda in quell’ultraconservatore filoputiniano che è il nuovo presidente della Camera Lorenzo Fontana (Dio li fa e poi li accoppia). Sia chiaro: il calo demografico è un problema epocale e non solo italiano. Ma se ne esce associando lavoro e natalità, perché è dimostrato che le donne che lavorano fanno più figli; non immaginando di poter tornare all’Italia bigotta degli anni cinquanta e sessanta, con le madri casalinghe che davano la cera sui pavimenti.

C’è un altro nome che ha suscitato scalpore e che invece a me sembra una scelta azzeccata: Ministero dell’Istruzione e Merito. È venuto giù un diluvio di critiche per quella parolina (merito)  associata ad istruzione. Ma perché? Che male c’è a dire che a scuola i ragazzi studiosi e meritevoli vanno premiati, incoraggiati e sostenuti? I ragazzi meritevoli non sono necessariamente “i ricchi” come si vorrebbe far credere: sono quelli che voglio emergere, a maggior ragione se provengono da situazioni socialmente svantaggiate. Allora, si offrano borse di studio consistenti per chi ha voglia di studiare e non ha i mezzi; anziché ripetere le solite litanie della sinistra egualitaria di stampo ottocentesco.

Il merito, che regola il mondo del lavoro come quello della ricerca scientifica piuttosto che dello sport, non è un male che va guarito o esorcizzato. Il sistema meritocratico, giusto per fare un esempio a tutti noto, ha permesso a un giovane di colore, figlio di immigrati non certo ricchi, di laurearsi ad Harvard e poi di diventare Presidente degli Stati d’Uniti d’America.

Esiste poi una questione, anzi un tabù che riguarda la scuola e andrebbe smontato da questo Ministero dell’Istruzione e Merito: la valutazione degli insegnanti e dei dirigenti. Ho l’impressione che si nega la validità del sistema meritocratico, perché altrimenti è proprio lì che si andrebbe a finire. E questo i potenti sindacati della scuola non lo vogliono: perché costituisce il principale caposaldo del loro potere.

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Archiviato in:Politica

Info Roberto Riviello

R.R. nel 1978 si è laureato in Filosofia nell'Università di Firenze ed ha sempre insegnato negli istituti secondari della Toscana. Ha scritto per la radio, il cinema e il teatro. Trascorre il suo tempo libero passeggiando in campagna. È appassionato di storia, arte e cucina.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Giampaolo Perugi dice

    28 Ottobre 2022 alle 11:24

    D’accordo. Aggiungerei il riferimento al libro di Mastracola e Ridolfi, “Il danno scolastico”. E più in generale a Galli della Loggia, “L’aula vuota”

    Rispondi

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