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L’eredità del PCI/11

Risponde Carlo Rubini, giornalista, direttore di Luminosi Giorni. Il lascito principale del PCI è il grande senso istituzionale che ha dimostrato in alcune importanti circostanze della sua storia, dalla seconda guerra fino agli anni di piombo del terrorismo.

12 Gennaio 2021 da Carlo Rubini Lascia un commento

Quali sono i geni utili che dalla esperienza  del PCI si rintracciano  nella vicenda storica  italiana, contro quali vizi o derive può contribuire  ancora oggi a difendere la sinistra in primo luogo ma assieme la società e la politica italiana?

Io credo che Il lascito principale del PCI che può venir buono ancor oggi, ma non saprei dire per chi, è il grande senso istituzionale che ha dimostrato in alcune importanti circostanze della sua storia, nella seconda guerra e nell’immediato dopoguerra fino al voto costituzionale e poi a partire dalla fine degli anni ’60 e per tutto il decennio successivo negli anni di piombo del terrorismo che pure si sentiva in qualche modo erede della stessa matrice del PCI. Questo carattere istituzionale si è poi manifestato in tutte quelle situazioni, e sono state tante, in cui ha governato con rettitudine nelle amministrazioni locali a tutti i livelli. Anche se alla lunga in alcune situazioni molto radicate e il cui consenso non era ampio e inattaccabile, ha troppo assecondato l’inclinazione, tipica di tutte le circostanze in cui la maggioranza non è in discussione, a immettere nelle istituzioni pubbliche e nelle loro ramificazioni gestionali, economiche e sociali una rete di fiduciari la cui fedeltà politica poteva anche comportare il sacrificio della competenza. Con l’andar del tempo questa egemonia pervasiva in tutti i gangli possibili si è ritorta contro, anche con i suoi eredi nella fase successiva allo scioglimento del’91. Ma, nella fase ascendente negli anni ’70 e nella prima parte degli ’80, il PCI era un partito esemplare sul piano della formazione politica dei suoi dirigenti, proprio per l’afflato istituzionale che lo esigeva. Nel DNA della sinistra italiana e più in generale nel panorama politico italiano c’è sicuramente anche questo bagaglio di esperienze istituzionali e formative e, se c’è un filo rosso che lo lega al presente e soprattutto al futuro, il problema è ritrovare il bandolo del filo. E ritrovatolo adeguare quelle esperienze ad una società molto più mobile e ad un sistema di comunicazione radicalmente diverso da quegli anni.

Quali sono i geni dannosi  trasmessi in eredità  che hanno contribuito e  contribuiscono a frenare le potenzialità ed a condizionare il ruolo e l’azione della sinistra per  il cambiamento del Paese  ? I geni dannosi sono complementari ai quelli positivi e per certi aspetti il prezzo di essi. Per compensare il moderatismo istituzionale il PCI ha fatto della ‘doppiezza’ un metodo addirittura trasparente, mantenendo nella propaganda molto del lessico e delle categorie politiche dell’esordio rivoluzionario, soprattutto nel giudizio verso il ceto capitalistico italiano e verso le alleanze internazionali. Perché bisognava dare al proprio popolo la cornice dei valori nobili del cambiamento e della solidarietà di classe. E quando anche molte di queste prospettive ideali si sono stemperate, sono state riversate in un atteggiamento moralistico e autocompiaciuto che ha finito per isolare socialmente tutto il mondo che si richiamava al PCI. E l’isolamento, per questo dannoso continuare a sentirsi ‘i migliori’, si è riversato ampiamente anche nell’esperienza degli eredi a sinistra (PDS, DS, PD), limitandone le potenzialità. Perché una forza politica che si candida a governare, sia essa di sinistra, ma anche no, deve poter parlare a tutto il corpo della società.

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