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Solo Riformisti

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Il tema delle nascite non è legato esclusivamente all’andamento dell’economia, ma è connesso anche ad orientamenti di tipo culturale che influenzano le idee delle persone in relazione alle loro scelte di vita.

La giornata della natalità

Il tema delle nascite non è legato esclusivamente all’andamento dell’economia, ma è connesso anche ad orientamenti di tipo culturale che influenzano le idee delle persone in relazione alle loro scelte di vita.

15 Maggio 2021 da Roberto Riviello Lascia un commento

Nel suo intervento di apertura agli Stati Generali della Natalità presso l’auditorium di Roma, Mario Draghi ha precisato che il calo demografico italiano (nel 2020 sono nati solo 404.000 bambini, quasi il 30% in meno rispetto a dieci anni fa) non si deve spiegare semplicemente con il fenomeno della pandemia perché ha origine in tempi più lontani; e, inoltre, va inquadrato in una realtà più ampia che vede la natalità diminuire anche in altre società in crescita economica (basterebbe citare la Cina per capire l’entità del problema).

Per cercare di invertire questa tendenza che ha effetti devastanti innanzitutto sulla crescita economica e la ricchezza complessiva del nostro Paese, il presidente del Consiglio ha annunciato – precisando la tempistica di attuazione e non genericamente come nello stile del suo predecessore – che nel mese di luglio entrerà a pieno regime la misura dell’assegno unico universale da destinare alle famiglie con figli sotto i 21 anni: a pieno regime perché verrà destinato anche ai lavoratori autonomi e ai disoccupati, che oggi non hanno accesso agli assegni familiari.

Resta ovviamente aperta la questione di carattere più generale, e cioè che per spingere i giovani a fare figli è necessario che essi abbiano maggiori certezze sul piano del lavoro, della casa e del sistema di welfare. E proprio per questo il premier ha spiegato che nel Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è previsto un investimento importante (circa 20 miliardi) nelle politiche attive del lavoro, nell’apprendistato come pure nella realizzazione di asili nido e scuole per l’infanzia, che sono la condizione fondamentale per le giovani madri di poter entrare nel mondo del lavoro.

Sul piano degli interventi economici a sostegno delle famiglie e della natalità, dunque, i buoni propositi sono stati espressi e declinati concretamente; e, guardando ai discreti risultati ottenuti con simili strumenti in Francia e in Germania, possiamo ben sperare. La presenza della matematica e madre di due figli Elena Bonetti come ministro delle Pari opportunità e della famiglia nel governo Draghi, alla quale si deve l’approvazione del Family Act nel Conte II, è sicuramente un ulteriore elemento di garanzia.

Ma saranno sufficienti gli investimenti e gli interventi di natura economica a invertire la tendenza che, come ha precisato lo stesso premier, è un fenomeno globale?

Qui la questione diventa ancora più complessa perché se, per esempio, riprendiamo la storia italiana dal secondo dopoguerra, vediamo che il calo demografico inizia a manifestarsi intorno alla metà degli anni Ottanta ( lo ha raccontato con precisione Federico Fubini sul Corriere della Sera del 15 maggio), quando il nostro Paese aveva già superato il periodo buio degli anni di piombo e si era concluso il ciclo economico dell’iperinflazione.

Il tema delle nascite non è legato esclusivamente all’andamento dell’economia, ma è connesso anche ad orientamenti di tipo culturale che influenzano le idee delle persone in relazione alle loro scelte di vita. Per dirla tutta, l’antropologia ha un peso certamente non inferiore a quello dell’economia – e della salute, come adesso abbiamo capito grazie alla pandemia – nel determinare le condizioni dell’esistenza umana.

Con questo vorrei dire che occorre puntare anche sull’educazione dei giovani, e rimettere in cima alla (loro) scala dei valori la procreazione e il diritto alla vita.

Negli ultimi decenni, invece, abbiamo assistito al diffondersi di teorie neomalthusiane che hanno indicato nel sovrappopolamento mondiale il principale pericolo per l’umanità; come quelle contenute nel rapporto intitolato The limits to growth (I limiti della crescita), noto al grande pubblico come Rapporto Meadows, pubblicato nel 1972 da una prestigiosa università americana su richiesta della Fondazione Rockfeller da sempre sostenitrice delle politiche denataliste. E recentemente, sempre negli USA, sono sorti movimenti come il GINKS (Green inclinations, no Kids), fondato da Lisa Hysmas, editorialista del noto blog Huffington Post, che sostengono la necessità di ridurre le nascite in funzione della salvaguardia del pianeta.

Seguendo lo stesso orientamento di pensiero, la seguitissima influencer del Partito democratico americano, Alexandria Ocasio-Cortes, ha scritto su Instagram rivolgendosi ai suoi 2 milioni e 700.00 followers: “C’è un consenso scientifico sul fatto che la vita dei bambini sarà molto difficile e questo dovrebbe portare i giovani a una domanda legittima: è giusto ancora avere figli?”

Ecco, dunque, l’impostazione antropologica che bisogna abbandonare, se vogliamo combattere il calo demografico e il conseguente declino della nostra società; affiancando gli interventi economici a sostegno delle giovani coppie e delle famiglie, con una politica culturale rivolta chiaramente a promuovere la natalità.

Perché, come ha detto giustamente Mario Draghi nella giornata romana ad hoc: “Un’Italia senza figli è un’Italia che non crede e non progetta. E’ un’Italia destinata lentamente a invecchiare e scomparire

 

 

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Archiviato in:Redazionale

Info Roberto Riviello

R.R. nel 1978 si è laureato in Filosofia nell'Università di Firenze ed ha sempre insegnato negli istituti secondari della Toscana. Ha scritto per la radio, il cinema e il teatro. Trascorre il suo tempo libero passeggiando in campagna. È appassionato di storia, arte e cucina.

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