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Solo Riformisti

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Il senso del voto

Il centrosinistra non ha vinto in maniera tale da poter parlare di fine della crisi. L'alleato di Governo si è liquefatto. E resta il tema, rilevante, di una destra egemone nel paese. Il centrosinistra deve diventare una confederazione, ampia variegata e ricca di idee e sensibilità diverse.

29 Gennaio 2020 da Mauro Grassi Lascia un commento

Nel mentre sto pensando a cosa scrivere, mi accorgo di non avere ancora metabolizzato il risultato di questa, nuova, epocale per alcuni, tornata elettorale. La domanda che mi pongo e che potrebbe diventare la sintesi della mia riflessione è: la Sinistra ha vinto o Salvini ha perso? Sono due risposte, in parte complementari, ma per buona parte divisive. Alla fine, ripensandoci bene, opto per la seconda. Salvini ha perso. È questo il messaggio che arriva dall’Emilia Romagna. In parte anche dalla Calabria, ma lì valgono altre logiche e la situazione era completamente diversa e particolare tanto da non suscitare alcun commento di tipo “generale”.

Salvini ha perso perché aveva impostato una campagna elettorale tutta improntata su sé stesso, sulla sua capacità di ribaltare la storia politica di una “regione rossa” e sulla possibilità di riprendere, a partire da Bologna, la sua nuova, e questa volta inarrestabile, “marcia su Roma”.

Insomma, è apparso a tutti chiaro fin dal primo momento, dalla scelta del candidato alla scelta dei temi da mettere al centro della sua campagna, che a Salvini dell’Emilia-Romagna in carne ed ossa interessasse relativamente poco. Certo il riferimento era continuo, incessante, alle piazze, ai prodotti della terra, ai contadini e imprenditori dei diversi territori della regione ma si sentiva come tutto ciò suonasse di “astratto”. La testa era da un’altra parte. E nei gesti politici la teatralità aveva il sopravvento.

Ecco credo che per questo Salvini abbia perso. Ha perso questa scelta di Salvini di considerare il Governo di una Regione, importante e avanzata come l’Emilia-Romagna, come un elemento secondario rispetto alle sue mire egemoniche sulla politica italiana.

E questo, a prescindere da chi si schiera a destra o a sinistra, è un bel segnale. Non è la prima volta che accade ma, per fortuna, il popolo italiano non accetta che venga usato un tema amministrativo, costituzionale o governativo per dare una “investitura piena” al leader di turno. Speriamo che questo venga ricordato dagli aspiranti leader che, oggi e chissà domani, si accingeranno a battersi per avere un mandato politico alla guida del paese.  Gli italiani sembrano propensi a concedere “mandati di governo” mentre sembrano più restii a concedere “mandati pieni” a chicchessia. E questa è senz’altro una buona notizia.

Di converso il centrosinistra, guidato da un Governatore uscente di qualità amministrativa e politica e direi anche umana di un certo spessore (basti vedere come ha chiuso con un Twitter la polemica assurda su Michailovich), ha vinto la battaglia proprio per un opposto comportamento e approccio alle cose. Basso profilo politico nazionale, basta strumentalità in termini di sostegno alla maggioranza di Governo ed invece attenzione spasmodica e documentata alla realtà regionale. Alla storia economica, sociale e politica dell’Emilia e della Romagna, alle dinamiche economiche dell’agricoltura, dell’industria e del sistema dei servizi sociali e del più avanzato comparto dei servizi innovativi per le imprese e, cosa primaria, alla gente, ai lavoratori, ai giovani e alle donne. Insomma, Bonaccini ha vinto, a mio avviso, in primo luogo per l’amore che traspariva nei confronti della sua terra. Ed anche questo è un bel segnale. La politica non è astratto governo della “cosa pubblica”, ma è prima di tutto amore e impegno per il proprio paese. Dopo vengono i programmi, le idee e lo scontro politico. E forse il movimento delle “sardine” su questo punto specifico ha portato il proprio contributo. Cioè quello di riportare la politica a un più alto tasso di umanità.

E la politica, quella nazionale, quella alta (se così si può dire) da cui dipendono i destini del Governo del paese? Per questa volta si può dire che c’è stata “tregua”. Prendiamoci i due, tre messaggi importanti, di metodo che possiamo trarre da questa tornata e facciamone tesoro. E rimandiamo il discorso politico generale ad altro momento.

Il centrosinistra non ha vinto in maniera tale da poter parlare di fine della crisi. L’alleato di Governo si è liquefatto. E resta il tema, rilevante, di una destra egemone nel paese, che diventa ancora più forte non appena il “centro Italia” si trasforma in “nord”. Piacenza è oramai una provincia leghista, e anche Parma e Ferrara risentono in maniera forte dell’influenza leghista al Nord.

Ed è inutile nasconderselo ma l’Italia non è minimamente rappresentata da Bologna e Modena e neppure da Firenze, Prato e Siena.

Per questo sarebbe sbagliato cantare vittoria da parte del centrosinistra e sarebbe sbagliato, in questo racconto, pensare ad un PD che è diventato di nuovo il “pilastro” su cui far convergere tutto ciò che si muove nella vasta galassia del centrosinistra italiano.

Non sarà facile tenere assieme le sardine con Renzi, Calenda e la Bonino che sempre di più sembrano intenzionati non dico ad aggregarsi ma almeno a parlarsi, la sinistra postcomunista con i socialisti che sono andati, giustamente, a ricordare la figura di Craxi ad Hammamet, la diaspora grillina con i piddini, la galassia verde con gli industrialisti di veccia data. Insomma, Il Pd non sembra in grado di essere il partito federatore che si era pensato, in clima maggioritario, all’atto della sua nascita. E allora occorre che il centrosinistra diventi una confederazione, ampia variegata e ricca di idee e sensibilità diverse. Una confederazione in cui ogni gruppo lavori in competizione con gli altri, al fine di acquisire consenso ed egemonia culturale e quindi elettorale, sull’intero centrosinistra ma nello stesso tempo sia capace di cooperazione ed aggregazione allorquando si tratta di partecipare a tornate elettorali amministrative e politiche.

Una Confederazione vive di due cose. La voglia di stare assieme, a prescindere dalle differenze, e un sistema di regole che consento la convivenza e la messa in atto di processi decisionali sia sulle politiche che sulla selezione degli uomini e delle donne che possono guidare e rappresentare il centrosinistra nel paese.

Questa tornata elettorale ci ha detto che la serietà, la capacità e il legame con il territorio conta. È un bel messaggio. Il centrosinistra parta da queste cose per trovare una via di rifondazione e di ricostruzione di un qualcosa che ci potrebbe essere ma che ancora non c’è.  E confondere una rondine con la primavera sarebbe un grave errore.

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Info Mauro Grassi

Mauro Grassi. Nato e residente a Firenze 68 anni. Laureato in statistica e in economia a pieni voti. E' stato Direttore di ricerca all'Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) fino al 2000. Quindi Direttore Generale della Regione Toscana fino al 2011. Dopo una breve esperienza di Assessore all'Ambiente e all'Urbanistica al Comune di Livorno ha svolto dal 2013 incarichi di direzione presso il Ministero delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio (Direttore di #Italiasicura). Attualmente svolge attività di Consulenza in campo ambientale.

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