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Solo Riformisti

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Il debito, questo sconosciuto

L’indifferenza all’equilibrio dei conti pubblici è una costante della politica italiana. Quando i nodi arriveranno al pettine, saranno i meno abbienti a pagare il conto. Ma, purtroppo, anche la sinistra fa orecchie da mercante.

5 Aprile 2019 da Luciano Pallini Lascia un commento

L’impressione è che non solo il governo, ma anche  la grande maggioranza delle forze politiche siano rassegnate all’inevitabile tracollo delle finanze pubbliche: e allora via con una politica di spesa dissennata, come se non ci fosse un domani, con l’obiettivo dichiarato di comprare facili consensi al momento delle elezioni.

Questo sentiment sembra aver contagiato anche l’attuale dirigenza del Partito Democratico: un fine commentatore  come Giancarlo Galli ha osservato come “nelle 44 pagine del programma elettorale di Zingaretti non compaiono mai le espressioni “debito”, “disavanzo”, “conti pubblici”….. La critica all’attuale governo non riguarda infatti lo sforamento del deficit. “Al contrario – ha scritto Zingaretti -, noi siamo quelli che vogliono chiudere definitivamente la stagione fredda dell’austerità, per riavviare il processo di sviluppo e affrontare le grandi questioni sociali che ci affliggono” .

L’Austerità è finita, andate in pace.. questa può essere la sintesi dello Zingaretti-pensiero, al debito ci penseranno i posteri:  certo, Zingaretti  sottolinea il tema del reperimento delle risorse pubbliche tramite la lotta all’evasione fiscale e la revisione della spesa, senza riconnetterlo al debito ma legandolo ad obiettivi quali i New Deal verde, agenda per l’uguaglianza, strategia per la piena e buona occupazione, sistema Italia per l’impresa, rilancio del Mezzogiorno, tutti obiettivi di spesa  che sono difficilmente realizzabili senza la ripresa della crescita e la riduzione del rapporto debito/pil, possibili solo attraverso un forte rilancio della produttività.

Dopo che per almeno un paio di decenni dal 1997 dai governi Prodi, D’Alema fino  ai governi tecnici, con la parentesi meno rigorista del secondo governo Berlusconi, la politica di bilancio ha avuto i due obiettivi di  creare  un abbondante avanzo primario (la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito è inferiore alle entrate dello stato) e di rallentare la crescita del debito in accumulato (stock): obiettivo difficile, perché  nella storia dell’Unità d’Italia gli anni nei quali il debito è calato rispetto all’anno prima sono stati otto nell’Italia liberale (1874, 1880, 1883, 1884, 1885, 1895, 1901, 1902) e sette nell’Italia fascista  (1922, 1925, 1926, 1927,1928,1931,1932), poi c’è sempre stato il segno più.

Tutto è  ed è stato reso più difficile dal progressivo arrestarsi della crescita dell’economia italiana con la produttività che a differenza del debito è ferma da vent’anni, fino ai timori di default per la  crisi economica e finanziaria del  2007 che ha messo in dubbio  la sostenibilità dei debiti sovrani, misurata dall’altezza dello spread, ovvero  la differenza di rendimento tra titoli italiani e titoli tedeschi.

Insomma la vittoria   di Zingaretti non ha radici  solo su una questione di stile per punire  la tanto vituperata “arroganza”  di Renzi ma su una questione di sostanza, ovvero basta austerità, basta tagli, bisogna spendere.

Questo del bilancio non è un tema tecnico per disquisizione accademiche ma di aspro scontro sul quale si misura l’affidabilità della sinistra come forza di governo per rilanciare la crescita ed il benessere collettivo: una torta più grande per beneficiarne tutti  invece della lotta per la divisione delle briciole.

Ma questo è ormai  un paese dipendente dalla dose quotidiana di spesa pubblica: gli aspri conflitti sociali degli anni tra 1960 e 1970 furono risolti con l’espansione illimitata della spesa per assicurare diritti a debito, in assenza di efficaci politiche di prelievo fiscale e di cofinanziamento..

Era il patto tra P.C.I. e D.C. che, in assenza di possibilità di alternativa al governo per la conventio ad excludendum, consentiva la dilazione della spesa pubblica a vantaggio del lavoro dipendente che si riconosceva in linea di massima con il P.C.I. mentre non era contrastata l’evasione fiscale del lavoro autonomo che aveva a riferimento la D.C.

C’è un momento in cui si apre uno spiraglio per il cambio di rotta: la crisi petrolifera, la traumatica vicenda del golpe cileno impongono al leader solitario Berlinguer di rinnovare progetto politico (il compromesso storico) e di politica economica, l’austerità  che significava «abbandonare l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazioni delle risorse, di dissesto finanziario»e per questo valeva la pena di accettare “certe rinunce e certi sacrifici”.

Il rigetto del progetto berlingueriano fu totale ed immediato, plasticamente rappresentato (prima degli anni di piombo) dalla cacciata di Luciano Lama dall’Università La Sapienza.

E vennero gli anni di grandi riforme sociali e politiche, tutte a debito: non si doveva parlare di tagli e di sacrifici: chi si provò a farlo (De Mita e Andreatta)) portò la Dc ad una pesante sconfitta.

Meglio non parlarne più, superati gli  anni di piombo nei quali altre erano le priorità, arrivano gli anni ’80, di Craxi, della Milano da bere, degli yuppies e dell’edonismo reaganiano…

Di debito non ne parlano al governo, perché deve occuparsene il P.C.I. ? E infatti, in una riunione della direzione del 1986 Napolitano pone il problema in questo spalleggiato da Chiaromonte ma Luciano Barca frena bruscamente “Se ci imbarchiamo in questa questione lo sbocco sono i tagli e le tasse” (in U. Finetti “Botteghe Oscure- Il PCI di Berlinguer e Napolitano” , 2016 pag, 127).

 

A sinistra  si era scoperto che assaltare il Palazzo d’Inverno, conquistare il controllo sociale dei mezzi di produzione non garantiva sui risultati. Meglio assaltare il ministero del tesoro e saccheggiare il bilancio dello stato, facendo debiti su debiti..

Zingaretti è l’espressione della stessa indifferenza allo stato dei conti pubblici: qualcuno pagherà…

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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