Com’era bello stare sempre all’opposizione, persino quando in Italia era nato un governo di quasi unità nazionale guidato da un autentico fuoriclasse, e lanciare anatemi contro l’Europa e i suoi tecnocrati, oppure fare proposte palesemente irrealizzabili ma di facile presa elettorale come il blocco navale antimmigrati dinanzi alla Libia. E ovviamente mostrarsi nei social molto indignata per le accise e il caro benzina.
Ma poi la musica è cambiata e la “pacchia” è finita per la stessa Giorgia Meloni, quando ha vinto le elezioni ed è arrivata a governare il Paese. E già: perché un conto è stare fuori dai giochi e poter fare tutte le proteste e le promesse che si vuole; un conto è avere sulle proprie spalle il peso e la responsabilità della vita di milioni di italiani.
Per questo ha abbandonato i toni infuocati del celebre discorso tenuto in Spagna davanti agli amici di Vox (“Yo soi Giorgia, soy una mujer, soy una madre, sono italiana…”), ha fatto sparire le photo opportunity degli abbracci con Orbàn, ed è passata rapidamente alle calorose strette di mano e i bacini con Ursula von der Leyen e Roberta Metsola. E poi l’abbiamo vista nel momento iconicamente più espressivo che ha mostrato a tutti noi che una nuova vita stava iniziando per lei: quando, con un bellissimo décolleté, è andata a sedersi accanto al Presidente Mattarella e agli altri super vip nel palco reale della Scala, per presenziare all’inaugurazione della stagione lirica.
Tutto bene, dunque, per Giorgia? Sì, se non ci fossero i conti da far quadrare e la solita coperta che è troppo corta, per cui, messi due terzi della finanziaria per alleviare le ricadute della crisi energetica su imprese e famiglie, col restante un terzo ci fai ben poco: un po’ di flat tax per accontentare Matteo Salvini, un po’ di aumento delle pensioni minime per tenersi buono Silvio Berlusconi, qualche centinaio di milioni alle squadre di serie A perché il calcio in Italia viene prima di tutto, un minimo di rivalutazione delle pensioni che l’inflazione a due cifre si mangerà presto… e poi basta.
E la proroga del blocco delle accise sulla benzina e il gasolio fatto dal precedente governo Draghi? Niente da fare, costerebbe un miliardo al mese, non ce lo possiamo permettere, dice lei. Magari in primavera se ne riparla, se ci sarà un extra gettito dell’IVA (dice Giorgetti che è il Richelieu della situazione).
Davvero uno shock per tutti gli automobilisti, i pendolari e gli autotrasportatori che si sono visti aumentare dalla sera alla mattina i prezzi alle pompe. Sarebbe, però, colpa della speculazione, secondo la Meloni, che ha mandato i finanzieri a controllare i benzinai; i quali sciopereranno il 25 e il 26 gennaio perché non ci stanno a passare per sciacalli davanti all’opinione pubblica.
Dulcis in fundo, dopo le proteste popolari (avere il popolo contro è davvero la peggior disgrazia che possa capitare a un governo populista) e le rimostranze della FAIB (la federazione dei benzinai), arriva anche il fuoco amico di Silvio Berlusconi che dice: “Quello sulla benzina è il primo errore della signora Meloni”. Un errore, ripetono in coro i forzisti, come quello di essersela presa con una intera categoria di lavoratori e aver sollevato lo spauracchio della speculazione.
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