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Covid, non creiamo allarmi inutili

Nella gestione della pandemia oltre a un problema sanitario ce n’è uno legato all’informazione. Stiamo diffondendo dati “inutili” che creano solo allarme e paura nella popolazione.

5 Novembre 2020 da Daniele Marchetti Lascia un commento

Non serve essere operatori sul campo per capire come la seconda fase della pandemia da Covid 19 abbia caratteristiche assai diverse rispetto all’emergenza del marzo-aprile scorsi. E come questa nuova situazione imponga un cambio di “occhiali” per guardare al fenomeno e comprenderne l’evoluzione evitando, assieme alla diffusione della pandemia, il dilagare dell’isteria strisciante da contagio.

Partiamo dai numeri: da quelli che contano (il numero dei malati reali) e quelli utili solo a seminare terrore (il quotidiano stillicidio dei contagi). Ma se nella prima fase il numero di coloro che erano venuti in contatto con il virus (positivi) rispecchiava -con ottima approssimazione- il numero dei malati veri e come tale era compreso e gestito, oggi tutto è cambiato.

In questa seconda fase il numero dei contagi non descrive per niente il concretizzarsi della malattia ed il numero di malati reali appare nettamente più modesto rispetto a coloro che risultano positivi.

Quindi; perché continuare a farci del male? Perché non iniziare a rendere pubbliche ed utilizzare solo le cifre che rappresentano il reale andamento dell’epidemia, ovvero il numero dei malati (siano essi degenti a casa, in ospedale o in terapia intensiva) ed accantonare, definitivamente, l’opera terroristica -sanitariamente inutile e socialmente deleteria- del bollettino quotidiano dei nuovi positivi?

La rapidità di diffusione del virus evidenzia come ormai risulti disperata, quanto scientificamente vana, l’idea -estremamente opportuna nella prima fase- di circoscrivere il raggio d’azione del virus attraverso la precoce individuazione dei contagiati e il loro immediato isolamento.

La biologia ci insegna che è la natura a rispondere alla natura meglio e prima ancora della medicina (che può solo rafforzare) e che, con ogni probabilità, per gran parte della popolazione, arriverà prima l’immunità naturale rispetto al “salvifico” vaccino.

Non si tratta di arrenderci all’immunità di gregge: idea che ha già mietuto troppe vittime anche in politica. Si tratta, piuttosto, di usare ragionevolezza nel cercare di interpretare, comprendere e gestire la realtà per quello che è; senza voler essere più naturali della natura!

Anche perché l’aumento quotidiano e vertiginoso dei contagi, mette in luce una indubbia maggiore sensibilità biologica della popolazione al virus. Un aspetto che da un lato conferma come la popolazione umana abbia sviluppato una reattività consistente al virus (una sorta di risposta immunitaria di specie per la quale il virus è attratto -da qui l’aumento dei contagi- per essere aggredito dalle difese immunitarie e distrutto -da ciò il numero ridotto dei malati veri-) e dall’altro mette in luce come sia probabilmente ormai inadeguata oltre che fuorviante l’idea di fronteggiare la pandemia con l’isolamento spinto (sebbene localizzato)  dei cittadini.

Anche qui bisogna intenderci! Guardare la realtà con “occhiali” nuovi non significa un irresponsabile “libera tutti”, ma la capacità di adeguare gli strumenti all’esigenza. Insistere nel fronteggiare con il cannone (lockdown) una formica (virus) oltre a sprecare risorse rischia di mancare, persino, il bersaglio.

Ciò che serviva tre mesi fa: ovvero, lo screening di massa, adesso appare inutile oltre che -come sentenziano le cifre dei nuovi positivi- impossibile.

Quello che adesso serve è avere una sanità “da trincea”; una sanità sul fronte della malattia reale, capace di scovare i malati (una sorta di tracciamento della malattia vera lasciando da parte la conta dei positivi) attraverso una “sorveglianza attiva” dei cittadini su loro stessi.

Un intervento educativo di responsabilizzazione e partecipazione da attuare subito con regole semplici, chiare e concrete (sulla falsariga del distanziamento, del lavaggio frequente delle mani o dell’uso della mascherina), da impartire immediatamente alla popolazione al fine di individuare e curare -fin dai primi sintomi- coloro che manifestano la malattia. Cioè i malati veri!

Una soluzione dalla duplice efficacia: alleggerire il carico sugli ospedali (divenuti veri e propri ambulatori territoriali di pronto intervento) e supplire all’inesistente sanità territoriale.

Continuare a sprecare risorse, tempo e professionalità nella ricerca dei positivi con centinaia di migliaia di tamponi al giorno rischia solo di mandare in tilt (e sul lastrico) il sistema sanitario e l’intero Paese.

Daniele Marchetti

(Biologo-Epistemologo)

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Info Daniele Marchetti

Daniele Marchetti (Lucca, 1965) risiede a Firenze. Laureato in scienze biologiche, specializzato in epistemologia nell'Università di Pisa e perfezionato in bioetica e biotecnologie nell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dal 1997 è abilitato alla professione di biologo e dal 2003 è giornalista iscritto all'Ordine della Toscana. Già ricercatore nell'Università di Firenze e titolare di una borsa di ricerca del ministero degli Esteri, nel 2001 entra in Consiglio regionale della Toscana come funzionario e nel 2009 guida, con la carica di dirigente, una segreteria istituzionale. Dal 2010 è stato responsabile dell'ufficio stampa di un gruppo consiliare.

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