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Covid 19, l’esempio Toscana

I nuovi ospedali e una rete territoriale efficiente sono stati i punti di forza della Toscana nell’affrontare l’emergenza Covid. Ora bisogna puntare sulla valorizzazione del sistema pubblico e sul rafforzamento della prevenzione.

4 Luglio 2020 da Redazione Solo Riformisti Lascia un commento

In prima linea contro il Covid il Dott. Renzo Berti, Direttore del Dipartimento Prevenzione e Portavoce per la gestione dell’epidemia dell’Asl Toscana Centro, fa il punto, con SoloRiformisti, sulle tante luci e le poche ombre del sistema sanitario toscano.

In una lista di interrogativi a chi  la responsabilità della sanità ponevamo qualche mese fa l’interrogativo su come potesse essersi diffuso il virus senza che sortissero allarmi interni fino alle drammatiche notti di Codogno e Vo? Eppure, le cronache locali riportavano nei mesi di dicembre e gennaio notizie su focolai di polmoniti sospette.  Perché i meccanismi di allerta previsi per queste situazioni non hanno funzionato o sono stati sottovalutati?

Per prima cosa occorre considerare la novità del l’agente patogeno, un virus di “nuovo conio” con caratteristiche quindi ignote che abbiamo in gran parte appreso sulla nostra pelle e che ancora oggi non conosciamo del tutto.

Diversi studi ritengono plausibile una diffusione del virus già nell’autunno 2019 in cui si è registrata un’anomala incidenza di polmoniti interstiziali.

A mio modo di vedere, la cosa più stupefacente è però un’altra: come sia stato possibile accreditare, anche quando l’epidemia stava già prendendo campo, l’idea di un rischio sostanzialmente paragonabile a quello della “normale” influenza.

Forse perché’ anche nel villaggio globale non è sufficiente vedere ma occorre toccare con mano? Lo dimostrerebbero da un lato il diverso atteggiamento che è scattato anche in Toscana quando il contagio ha preso a diffondersi nel nord Italia, dall’altro l’assai più alta attenzione espressa in precedenza dalla nostra comunità cinese.

Guardando le mappe che aggiornano la diffusione del virus ed i suoi esiti, pare quasi che gli Appennini abbiamo rappresentato una barriera difensiva. Quali possono essere le ragioni di questa minore penetrazione del Covid 19 nelle regioni centrali e meridionali? È solo la buona sorte e pesano altri fattori?

Sicuramente i confini fisici ed i conseguenti riflessi nella mobilità delle persone hanno avuto il loro peso. Accanto a ciò porrei i giorni in più avuti per organizzarsi e la diversa organizzazione della sanità territoriale.

Sulla base della tua esperienza di questi mesi, quali sono stati i punti di forza della risposta della Toscana per contrastare la pandemia e quali invece le debolezze che potevano rappresentare un pericolo?

La qualità del sistema sanitario e la forte rete di relazioni inter-istituzionali, in particolare tra regione, comuni e aziende sanitarie, hanno avuto il loro peso.

Gli ospedali soprattutto sono stati in grado di promuovere una rapida loro riorganizzazione ed è stato accresciuto il filtro territoriale grazie in particolare al lavoro dell’igiene pubblica.

L’epidemia è stata anche di stimolo a un ulteriore sviluppo del sistema informativo che ha dato un contributo prezioso all’adozione e alla condivisione delle misure di contenimento.

La presenza di nuovi ospedali di recentissima costruzione e attrezzati con le più avanzate tecnologie quanto ha pesato nella tempestività ed efficacia della risposta che è stata data dal personale della sanità che ha mostrato un grande impegno civico e professionale? Come sta la   questione del dimensionamento dei posti letto delle terapie intensive?

La disponibilità di nuovi presidi ospedalieri è stata fondamentale perché’ ha consentito flessibilità organizzativa, qualità degli spazi e adeguatezza delle dotazioni tecnologiche che hanno permesso di allestire percorsi separati e protetti e reparti Covid dedicati.

Tant’è che la diffusione della patologia anche nel personale   più esposto è stata ottimamente contenuta con dati in linea a quelli della popolazione generale.

C’è stata un’espansione notevole della dotazione dei posti letti intensivi, con cui si è gestita l’ondata assistenziale critica senza mai superare i livelli di guardia.

Nelle difficoltà gravissime della Lombardia sul banco degli imputati è finita la scarsa attenzione dedicata ai servizi territoriali. Sulla base della tua esperienza, quali interventi dovrebbero essere attivati in Toscana per rafforzare questi servizi?

Purtroppo, anche nella storia del nostro paese la prevenzione torna di moda all’indomani delle tragedie.

E così da diversi anni assistiamo a tagli nella sanità pubblica che hanno fortemente penalizzato il sistema riducendone gli organici.

Se ciò vale in generale a maggior ragione si ripercuote in ambiti come quelli della prevenzione che richiedono lungimiranza e capacità di investimento.

Occorre ripartire da qui, da una valorizzazione del nostro sistema sanitario pubblico e universale per completarne la riorganizzazione territoriale recuperando una maggiore capacità di gestione e di filtro delle patologie di base, a partire dalla prevenzione delle malattie croniche diffusive e cronico degenerative

Dagli esperti si ascoltano valutazioni contraddittorie sul rischio di una seconda ondata della pandemia in autunno.  Quali pensi debbano essere le misure da adottare – sulla base di quanto si è sperimentato nella prima fase – per consentire a settembre l’ordinato svolgimento delle attività didattiche nelle scuole e per la ripresa di quelle attività di relazione (culturali, sportive, associative) che sono un tratto distintivo dell’identità italiana e  toscana in particolare?

L’impressione è che l’agognata ripartenza abbia dato luogo a percorsi non sempre coerenti. D’altra parte la ripresa dell’ordinaria vita sociale e di relazione si accompagna evidentemente ad un incremento delle occasioni di rischio.

Non è facile realizzare un adeguato (e sostenibile) equilibrio tra la voglia di normalità e le misure di difesa che, in mancanza di un vaccino efficace, rimangono ancora affidate  all’igiene personale, al distanziamento e alle protezioni individuali.

Il rischio quindi esiste e non deve essere sottovalutato, ma anche alla luce delle correnti modifiche del quadro infettivo (attualmente i casi residui sono quasi tutti asintomatici) mi sento abbastanza ottimista. La sofferenza dei mesi scorsi si è tradotta in una consapevolezza diffusa e nella disponibilità’ di strumenti (informativi, diagnostici e terapeutici) che all’inizio non avevamo.

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