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Solo Riformisti

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All’ambiente non servono i talebani

La difesa dell’ambiente è un argomento troppo serio per lasciarlo in mano al fondamentalismo ambientalista. L’analisi dei dati dimostra lo scarso peso dell’Europa sul fronte dell’inquinamento da gas serra. Una riflessione sul tema di SoloRiformisti

12 Ottobre 2020 da Luciano Pallini Lascia un commento

Romano Prodi sul Gazzettino di domenica 11 ottobre 2020 chiude il suo articolo sulle politiche ambientali della Comunità Europea mettendo in guardia contro il velleitarismo ambientalista  seguendo il quale    ”… continueremo a predicare molto e ad accontentarci di quel poco che potremo e riusciremo a fare”:  la coscienza ambientalista deve accompagnarsi  alla consapevolezza delle difficili scelte che si richiedono per passare dalle facili enunciazioni  alle  realizzazioni concrete  non  compromettendo  la competitività dell’economia europea, dalla quale soltanto possono venire le risorse necessarie per le politiche ambientali.

Serve conoscere la situazione per quella che è: i dati ci dicono che tra il 1998 ed il 2018 le emissioni di gas serra sono aumentate del 48% , che il ricorso alle energie fossili sul totale tra 2001 e 2019 a livello mondiale non si è ridotta anzi è ancora cresciuta dall’80 all’81% mentre le rinnovabili, in particolare eoliche e solari, sono rimaste ferme al palo, ad un trascurabile 2%., che solo un terzo dei nuovi  investimenti  sono destinati ad energie low carbon e due terzi a fonti fossili.

Nonostante la progressiva riduzione dei costi di solare ed eolico, queste fonti sono rimaste spiazzate dalla caduta dei prezzi di carbone gas e petrolio che  ha reso meno conveniente la transizione energetica  alle rinnovabili.

Solo Cina ed India – un terzo della popolazione mondiale – stanno investendo moltissimo nelle centrali a carbone nonostante le solenni dichiarazioni di Xi Jin Ping che giura sulla irreversibilità dell’accordo di Parigi. Da quest’accordo sono usciti gli Stati Uniti per decisione del presidente Donald Trump: bisogna però ricordare che gli USA sono stati sempre assai tiepidi nei confronti di questi accordi sul clima i cui obiettivi erano considerati da Barack Obama volontari e non vincolanti.

In prima linea sul fronte della transizione energetica resta l’Unione Europea, con tutte le diverse realtà nazionali che solo degli sciocchi possono ignorare: per dire l’Italia non produce e non impiega carbone mentre la Polonia è pressoché totalmente dipendente da questo minerale.

Con il Green Recovery Plan l’Europa si propone di ridurre le emissioni di gas serra del 40%  rispetto al 1990 con un investimento annuo aggiuntivo di 260 miliardi di euro: molto di più occorrerebbe investire per portare la riduzione al 55% o addirittura al 60% , obiettivo votato dal Parlamento Europeo con l’opposizione del Partito Popolare.

In Italia poi si trovano si trovano fondamentalisti ambientali sempre pronti a rilanciare al rialzo sugli obiettivi, seraficamente dimenticando che la nostra capacità di realizzare questi obiettivi è bassissima, tant’è che ai ritmi attuali il Piano energia e clima 2030  da realizzare in 10 anni ai ritmi attuali sarà completato solo nel 2085.

Non c’è soltanto la burocrazia che blocca gli investimenti ma anche l’atteggiamento dei cittadini, all’insegna dell’approssimazione e del velleitarismo pronto a manifestare per il clima ma altrettanto pronto a opporsi a qualsiasi progetto all’insegna del  CI VUOL BEN ALTRO E ALTROVE.

Ma ritornando all’Europa occorre essere consapevoli per quanto si impegni sul fronte della  riduzione delle emissioni di gas serra a livello globale gli effetti saranno insignificanti dato che  il suo contributo al totale delle emissioni è del 9% .

In Europa il passaggio alle rinnovabili, per il quale si ipotizza anche una carbon tax, sarà”… troppo costoso  e quindi impossibile, se non sarà accompagnato da un progresso scientifico e tecnologico così forte da avvicinare i costi delle vecchie e nuove forme di energia” (R. Prodi)  in assenza del quale l’industria europea sarà messa fuori mercato.

Certo, dirà qualcuno, il pianeta è uno ed il cambiamento climatico è una minaccia per l’umanità e quindi non ci sono costi che tengano: la sua causa principale, l’emissione di gas serra, va combattuta.

Ma è davvero la principale causa? Restiamo in casa Prodi e riflettiamo su quanto ha affermato Franco Prodi,  climatologo, ex direttore dell’Istituto di Scienze del clima del Cnr,  in una intervista su Italiaoggi dell’08 ottobre 2019 “Riscaldamento globale? È solo una congettura”

  1. Perché è un equivoco pensare di ridurre quantitativamente il cambiamento climatico abbassando le emissioni di anidride carbonica?
  2. Non esiste nessuna ricerca che dimostri la connessione tra l’attività dell’uomo, la produzione di Co2, che di per sé non è un agente inquinate ma anzi fondamentale per la vita stessa, e i cambiamenti climatici e dunque il riscaldamento del globo. Le previsioni allarmistiche lanciate da alcuni istituti non sono supportate da dimostrazioni scientifiche. Il clima cambia da quando esiste la terra, neppure c’era l’uomo

 

C’è da domandarsi allora se valga la pena indirizzare risorse così imponenti verso un obiettivo, la riduzione delle emissioni di gas serra,  sul quale gli sforzi della sola Europa saranno pressoché irrilevanti. obiettivo che non si sa poi se e quanto sia risolutivo ai fini del contrasto del cambiamento climatico.

Forse è meglio, come propone Franco Prodi, destinare questi ingenti fondi a difendere l’ambiente riducendo l’inquinamento del terreno, del mare, dell’aria..

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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