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Usa verso le presidenziali

Le Primarie del Partito Democratico. Molti ai nastri di partenza con un pericolo: puntare sulla radicalizzazione delle politiche. Che è il modo migliore per tenersi Trump.

1 Aprile 2019 da Luciano Pallini Lascia un commento

Vale la pena – anche da lontano – seguire quanto sta muovendosi negli Stati Uniti nella prospettiva delle presidenziali del 2020.

Esaurito a quanto pare il tentativo di liberarsi del presidente Trump attraverso il Russiagate, vicenda sulla quale ha scritto già Edoardo Tabasso su Soloriformisti, dopo le elezioni di midterm del novembre scorso il Partito Democratico sembra aver ritrovato, sotto la guida di Nancy Pelosi, la speaker della Camera dei rappresentanti degli USA, la strada della politica con una  opposizione netta e decisa alle scelte del Presidente Trump, a partire dalla vicenda del muro con il Messico.

Certo se le premesse per fare opposizione son quelle enunciate da  Jeffrey Sachs, professore di Sviluppo sostenibile ed ex direttore del The Earth institute alla Columbia University, che ha detto: «Donald Trump è un matto e non c’è bisogno di uno specialista per sapere che è uno psicopatico ed è anche un negazionista sul clima»: forse varrebbe la pena di ripensare con Amleto che “C’è della logica in questa follia” e che la risposta deve venire dalla politica e presto.

Ma il tempo scorre veloce, pare ieri la vittoria  di Trump e già si sta parlando delle elezioni del novembre 2020: è partita con i fuochi d’artificio la campagna per le primarie nel Partito Democratico  La domanda è allora quale politica può sconfiggere Trump? A leggere la stampa e i social americani di orientamento liberal sembra indispensabile la radicalizzazione delle politiche dei Democratici su tutti i temi principali, perché solo così appare possibile recuperare il consenso popolare   mancato ad Hillary Clinton.

Un rapido controllo dei numeri smentisce la mancanza di consenso: per la Clinton ci sono stati 65,8 milioni di voti (48,1%) contro i 63,0 milioni  (46,0%) di Trump.

La questione è che il voto per la Clinton  è stato fortemente concentrato, nel New England, sulla Costa del Pacifico e nelle aree metropolitane: per dire ha vinto in California con il 62,1% dei voti e a New York con il 59,4% dove i temi riproposti dagli opinion makers radicali possono convincere gli elettori e al limite permettere di aumentare i consensi, ma forse gli stessi temi  non contribuiscono a ribaltare i risultati negli switching states decisivi come il Michigan, la Pennsylvania e la Florida dove la partita è stata risolta a favore di Trump per una manciata di voti.

Le cure proposte per i problemi degli USA sono diverse ma ricorrenti nel tempo così come i candidati: da Bernie Sanders che vuole intercettare quella domanda di socialismo che secondo lui emergerebbe con forza nelle proteste di questi anni (ma non era già emersa con Occupy Wall Street?) a Elisabeth Warren che vuole riformare il capitalismo regolandolo attraverso lo stato alle new entry, protagonisti sui social, Alexandria Ocasio-Cortez e Beto O’Rourke che  puntano a emozionare e agiscono dal basso.

Di sicuro c’è che è in atto una massiccia campagna per far fuori Joe Biden,  che ad oggi è in testa nei sondaggi per le primarie dei Democratici, anche se finora non ha avanzato la sua candidatura ma che è investito dal fuoco del movimento #metoo, ormai fuori controllo rispetto ai sacrosanti obiettivi iniziali e trasformato in arma letale contro chi non condivide i principi del politicamente corretto.

Le sue colpe? Propugnare politiche centriste per   affrontare  con il necessario pragmatismo  le diverse questioni, quel pragmatismo che ha portato alla vittoria Bill Clinton e Barack Obama,  che va aggiornato ed adeguato per cercare di dare risposte, oltre che ai grandi temi dei diritti (spesso evocati con afflato messianico, ”Il grande risveglio” )  ad esempio  agli elettori del   Rust Belt dove si intrecciano deindustrializzazione, declino economico,  spopolamento e decadimento urbano

“Adesso sulla strada principale/ ci sono solo vetrine imbiancate e negozi vuoti/sembra che nessuno voglia più venire quaggiù/stanno chiudendo lo stabilimento tessile/dall’altra parte della ferrovia/il caporeparto dice questi posti di lavoro/se ne stanno andando, ragazzi/ non torneranno mai più/nella vostra città..” (B. SpRingsteen, BORN IN THE U.S.A.)

 

Hillary Clinton , candidata moderata ed espressione dell’estabishment del partito, ha avuto la magra consolazione  della maggioranza nel voto popolare: George McGovern candidato a furor di movimenti nel 1972 con Nixon registrò la peggior sconfitta dei democratici  dopo la seconda guerra mondiale.

Forse è meglio ripartire da Hillary.

 

 

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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