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Solo Riformisti

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E’ tempo di populismo

Non più destra e sinistra ma liberali e populisti. I cambiamenti subiti dagli italiani nell’analisi del Prof. Sergio Caruso. Un’iniziativa del Circolo Tony Blair.

10 Febbraio 2019 da Stefano Baccelli Lascia un commento

Un gruppo di persone di buona volontà, per un tema grande: “come cambiano gli italiani al tempo del populismo”. L’iniziativa si è tenuta a Pistoia, il 24 gennaio 2019, anche in vista delle imminenti Elezioni Europee in cui gli euroscettici, con le forze populiste, si presentano molto agguerriti. Del resto i sondaggi del momento non lasciano spazio ai dubbi: gli italiani sono molto cambiati! Eppure tutto non è successo nel volgere di un mattino, si è acutizzato con la grave crisi economica, ma viene da lontano. Ad analizzare il fenomeno, il Circolo “Tony Blair”, con il patrocinio della Provincia, ha chiamato un esperto come il professor Sergio Caruso, già ordinario di Filosofia Politica dell’Università di Firenze. L’accademico esamina alcuni punti cardine: l’identità e il carattere nazionale (psicologia sociale), spiegando che la cultura è la matrice del modo di essere della popolazione. Il professore, per spiegare il concetto, fa riferimento ad una serie di ricerche e confronti. È curioso, per esempio, scoprire che gli italiani hanno una personalità di base che si può definire di tipo materno: nei siti porno, tanto per fare un esempio, si registrano nei motori di ricerca, le parole “milf” e “mum”, intese come donne mature desiderabili. In questa particolare statistica gli italiani sono secondi all’Irlanda ed ai primi posti troviamo altri Paesi cattolici: Croazia, Serbia e Polonia. Nella relazione spiccano anche analisi di psicologia dinamica e si fa notare come gli italiani soffrano di un passato, che “non passa” producendo “speranze disattese”. In Italia, inoltre, non abbiamo miti fondativi come, per esempio, la Rivoluzione Francese. Ci sono la Costituzione e il Risorgimento, ma si tratta di “miti affievoliti”. L’identità nazionale in Italia, inoltre, ha un carattere paradossale “parlar male dell’identità nazionale”. Secondo il professor Caruso: “il mondo politico italiano, in mancanza di un’idea, dovrebbe ridurre il danno, non salvare l’etichetta”. Per quanto tempo ancora potremo ancora permetterci una alternativa al populismo docile e serenamente votata alla sconfitta? Tra i “vizi” degli italiani ci sono, inoltre, un imbarazzato rapporto con il denaro e il rifiuto della competizione: a differenza degli americani, non amiamo rivelare le nostre risorse economiche. Inoltre rifiutiamo di competere. In America rivelare quanto guadagni è un atto di cortesia, da noi è sconveniente, per il timore di essere invidiati. E non accettiamo competizione: si pensi che ai concorsi ci si copia tra concorrenti. Tutto ciò perché “non sta bene”, proprio secondo il codice materno. Continuando nella analisi di psicologia sociale, scopriamo che non siamo “brava gente” e nemmeno il popolo del mandolino. Abbiamo invece un alto coefficiente di teatralità e nevroticismo. Non siamo estroversi con gli sconosciuti, siamo brontoloni ci si compiace di essere infelici. Facendo un esempio che definisce questo concetto dal punto di vista scientifico, è il dato che ci colloca al trentunesimo posto al mondo come felicità percepita, mentre per la felicità vera siamo al diciottesimo. Il concetto di teatralità si identifica con il ruolo sociale: l’italiano “gioca” a fare il poliziotto, l’infermiere, il pompiere. Ed ha il gusto del bello e di mostrare. Ama lo sberleffo e rifiuta la ricerca del profondo, specie nel meridione. Gli appellativi: cervelloni e i professoroni, servono a sminuire le eccellenze. Tutto questo a causa del “virus della farsa”. Il professor Caruso cita, per fare a mò di esempio, un Maurizio Costanzo Show, in cui, illustri ospiti spiegavano cose difficili, mentre il conduttore “alleggeriva” e ironizzava sulle dotte analisi. Gli italiani hanno inoltre scarsa fiducia negli altri e nello Stato: vivono nel timore di essere imbrogliati. Tale atteggiamento è forse dovuto – secondo Caruso – alle tante invasioni subite ed allo svilupparsi di azioni di difesa. E poi ci consideriamo un popolo in cui non la si da bere. A tal proposito l’accademico cita la teoria degli Apoti, un neologismo greco-latino composto dall’alfa privativa della lingua greca e dal verbo latino “potare”, bere. La parola – ricorda Caruso – fu coniata da Giuseppe Prezzolini in una lettera a Piero Gobetti apparsa sulla rivista Rivoluzione liberale il 28 settembre del 1922, esattamente un mese prima della Marcia su Roma, e significa, nella definizione dell’autore, “coloro che non le bevono”. Continuando nella sua spietata analisi, il professor Caruso, parla anche del “Self confident” (sicuro di se stesso), ovvero del gusto dell’italiano per le grandi sfide, ma da non compiere da soli. Da qui la disponibilità a lavorare in equipe. Ma come entra il populismo nella psicologia sociale? Il populista punta su identificazioni proiettive verso un nemico da odiare parecchio, seppur in modo evasivo o vuoto, tipo riferimenti vaghi alla giustizia o al popolo come unità immaginaria. Altro caposaldo è la drastica semplificazione di problemi complessi: alto, basso, loro sopra di noi. Tutto ciò senza intermediazione con il capo. In ogni caso: “Siamo al di là di destra e sinistra – sintetizza il professore. Oggi siamo difronte a due dimensioni. Non più destra e sinistra, ma liberali e populisti. Sinistra e destra liberale; sinistra e destra populista. Occorre perciò distinguere tra il male assoluto o quello necessario: Scienza, Europa, Globalizzazione. La Crisi economica e Globalizzazione, tra l’altro, determinano un nuovo quadro, in cui: “Il populismo è effetto e non causa, anche se i populisti al potere producono pure degli effetti”. Il declino dell’Italia – ammonisce Caruso –  si registra da 30 anni: nel ‘90 i tedeschi avevano un potere di acquisto a +5, adesso sono a più 25 rispetto al nostro. C’è una grossa responsabilità dei Governi Berlusconi, che dalle analisi risultano essere stati semplicemente inerti. Di fatto hanno fermato il Paese, mentre altrove si investiva in infrastrutture e ricerca. Ciò ha accentuato le caratteristiche del pensiero degli italiani: il già analizzato: non mi fido. Oggi da una parte ci si difende individuando imbroglioni esterni e rifugiandosi nella fiducia nei più prossimi (familiari, persone vicine). Chi prova a spiegare si trova di fronte a irrigidimenti (mi vaccino perchè me lo dice il medico, ovvero il mio garante). L’ignoranza è un altro fattore importante. Ma stiamo attenti – ammonisce Caruso: “pur essendo cresciuto il livello dell’istruzione, permane un serio analfabetismo funzionale: competenze basse. L’Italia è, da questo punto di vista messa molto male: i quozienti sono nettamente inferiori ai Paesi Scandinavi, Germania e Usa. E c’è un dato particolarmente drammatico: l’analfabetismo di ritorno: oltre il 70% degli italiani non sa leggere un editoriale o un commento politico. La metà addirittura non sa che cosa sia una percentuale. E qui c’è una forte responsabilità anche dei media. Su immigrazione, criminalità, violenza, corruzione, si crede il falso. Poi ci sono le faide dell’identità nazionale: il peggio del nord è la grettezza nord, del centro la litigiosità, del sud l’assistenzialismo. La rabbia talvolta non priva di ragioni esiste. C’è chi si sente frenato, braccato, escluso, con un sentimento di invidia verso i promossi. Le cause vanno ricercate in fattori generali: depressioni e segno di inadeguatezza. Non a caso la parola più diffusa è “vergogna”. Eppoi c’e l’identificazione seriale dell’arabo: brutto, scansafatiche, ladro come gli zingari. Etichette che “sollevano” il meridionale dal razzismo interno. “Emblematica la scena del “penultimo” che fa il bacia mano a Salvini” – esclama il professore.  E dall’altra parte, a sinistra, c’è l’elaborazione del lutto per il marxismo, che si sviluppa in una specie di corto circuito: la sinistra del “no”, si traduce un surrogato di ecologismo. Non c’è dunque una moratoria psicosociale: l’adolescenza è infinita, con una accentuazione del modello materno. E la via d’uscita pare lontana.

Stefano Baccelli

 

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Info Stefano Baccelli

Classe 1955, giornalista iscritto all’Albo professionale dal 1982. Già dipendente della Pubblica Amministrazione, ha svolto per molti anni il ruolo di economo nella Rsa Villone Puccini, per poi passare all’area della Comunicazione dell’Azienda Usl pistoiese. E’ stato tra i soci fondatori della Cooperativa Giornalistica “Settegiorni” e direttore responsabile dell’omonima rivista settimanale. Dal 1990 agli inizi degli anni 2000 ha ricoperto il ruolo di responsabile dell’ufficio stampa della Cgil di Pistoia e dal 2000 svolge il medesimo incarico alla Pistoiese Calcio. E inoltre autore dei libri: “Ho vinto”, intervista ad un malato terminale, “il Nonno”, libro/intervista sulla vita di un noto imprenditore, “Memorie”, pubblicazione storica per i 100 anni dello SPI/CGIL e “Barile tra storia e leggenda”, dedicato ad un borgo alle porte di Pistoia.

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