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Solo Riformisti

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Ripartire dalle Regioni

Nonostante la tenuta manca ancora al PD una chiara strategia di crescita interna e di politica delle alleanze. L’importanza del prossimo voto regionale e il caso Toscana.

31 Maggio 2019 da Mauro Grassi Lascia un commento

La tornata elettorale del 26 di maggio ha dato dei segnali inequivocabili. La Lega è diventata un partito nazionale non solo per la sua diffusione nell’intero territorio nazionale, con a volte inspiegabili punte elettorali in aree del Sud che non ti aspetteresti, ma anche per la tipologia di voto.  Che, specialmente in alcune realtà del paese, ha visto una significativa differenza fra il voto, più forte, nella competizione europea, quindi più politica, e il voto, nello stesso giorno e con lo stesso corpo elettorale, nella competizione amministrativa. Un po’ come accadde nel voto per il PD di Renzi nel 2014 che catalizzò sul partito e sulla persona molte fasce di elettori che provenivano storicamente da altre collocazioni politiche. E che spesso in quelle collocazioni ritornarono, nello stesso giorno, al di fuori del voto europeo. La Lega come  il PD di Renzi? Beh ci sono alcune somiglianze. Vedremo poi come si svolgeranno nel corso delle future vicende  italiane. E comunque Salvini farà bene a non confondere la forza nazionale, il peso che gli italiani gli hanno voluto dare nel contesto europeo, e poi il ruolo che riuscirà a ritagliarsi nello scacchiere italiano. Potrebbero non avere lo stesso significato.

Il secondo punto  riguarda la perdita di spinta propulsiva del Movimento 5 stelle. Il voto europeo colloca il partito di Di Maio in una posizione, quasi esclusiva, di “difensore” delle fasce e dei  territori più deboli, in particolare nel  Sud, ma più con una vocazione assistenziale, e quindi scarsamente dinamica, che come generatore di nuovi processi di sviluppo sia politici che economici. Paga ovunque una relativa scarsa ininfluenza evidenziata anche dalla mancanza di ruolo nella tornata amministrativa. Sia per l’inconsistenza del proprio personale politico ma anche per la mancanza di una visione generale sui problemi delle realtà locali.

E quindi viene la “tenuta del PD”. Una tenuta che si sostanzia in circa 5 punti percentuali in più rispetto alle elezioni politiche di un anno fa, anche se non rafforzata da recuperi significativi in termini di valori assoluti, ma che non sembra ancora dare al PD una chiara strategia né di crescita interna né di politica delle alleanze nella prossima fase politica del paese.

E intanto, in attesa delle prossime mosse politiche di questi tre players della politica italiana, le elezioni regionali continuano a segnalare un netta prevalenza dell’alleanza del centrodestra tradizionale rispetto a quel che rimane del blocco di centrosinistra ed ovviamente del  nucleo isolato del Movimento  5 stelle.

E, in attesa di capire quali dovranno essere le nuove strade del PD, il tema delle elezioni regionali può diventare il terreno più importante, e anche più reale, sul quale sperimentare la ricerca della nuova strategia del PD. Perché è chiaro che, lasciando andare la politica nel suo attuale trend naturale con la nuova debolezza del M5s e la mancanza di strategie di crescita e di alleanza del PD, l’Italia delle regioni potrebbe diventare un unico sistema governato dal centrodestra. Con un evidente riflesso poi sulle politiche nazionali e poi anche sulle elezioni politiche nazionali. Ed è quindi su questo terreno che il PD deve ragionare nel prossimo futuro ed è su questo tema che si sperimenterà la capacità di tenuta prima e di risposta poi del PD e del centrosinistra in Italia.

Le prossime regioni che andranno al voto hanno una particolare importanza per il PD. Una ci pare di particolare importanza, la Toscana. Si tratta dell’unica regione dove il PD è ancora il primo partito e supera, anche se di poco, la Lega: il 33% contro il 31%. Ma se abbozziamo un calcolo sulla possibili alleanze appare chiaro come l’alleanza di centrodestra stia più avanti. Il sistema elettorale della Toscana, a differenza di tutte le altre regioni italiane, prevede il ballottaggio per raggiungere il 50% più un voto. E quindi rimette in gioco il Movimento 5 stelle nello scontro fra centrodestra e centrosinistra.

E allora che fare? Occorre lavorare su due fronti. Il primo è quello che punta a superare il centrodestra nel testa a testa regionale. E qui occorre lavorare su almeno tre progetti. Il primo è quello di rimettere serenità nel rapporto fra popolazione e immigrati. E quindi togliere all’immigrazione quella problematicità che ha consentito a Salvini di mietere consenso su questo fronte. Occorre puntare ad un duplice movimento: integrazione e inserimento di ogni singolo soggetto nelle singole comunità locali e bassa tolleranza dei fenomeni di degrado e di microcriminalità indotti dalle difficoltà di governo del fenomeno sociale. Il secondo è quello di riqualificare il rapporto fra tasse e servizi. Dal momento che il centrodestra punta ad un abbassamento delle tasse occorre che il centrosinistra operi in termini di efficacia e di efficienza rispetto alle tasse pagate. Non inseguire la destra sul suo terreno ma rimotivare la comunità con la qualità dei servizi resi. Anche rimodernando e riqualificando l’organizzazione pubblica a tutti i livelli. Ed infine rispetto ad una destra che decanta le logiche di mercato e di meritocrazia, spesso senza però praticarle davvero fino in fondo, occorre che il centrosinistra sappia giocare con più spregiudicatezza, e risultati, sul terreno dell’innovazione, della libertà di mercato e sulla valutazione del merito. Finendo con la pratica dell’egualitarismo dei risultati per rafforzare invece l’egualitarismo dei punti di partenza. E puntando in maniera forte sulla educazione e la formazione continua delle persone.

Il secondo fronte è quello con il Movimento 5 stelle o meglio ancora con l’elettorato che si riconosce ancora in quel movimento. E qui, per dirla con uno slogan, occorre prendere per buona l’Agenda del Movimento cercando di modificarne i provvedimenti.  E due sono in particolare gli elementi validi dell’Agenda. Il primo è  relativo alla lotta alla povertà. Occorre usare strumenti proattivi, non assistenziali, ma anche riconoscere che chi è in stato di disgrazia non può essere lasciato solo con la propria crisi. E dentro la povertà vanno studiati in profondità gli interventi relativi a singole realtà sociali: le famiglie con figli, le donne sole con figli, gli anziani, i portatori di handicap e le famiglie marginali. Il secondo è relativo allo strumento del sostegno alla disoccupazione come modalità di passaggio da un lavoro ad un altro. In un mercato flessibile e a tutele crescenti il sostegno, semplice, trasparente, universale, conosciuto da tutti nel passaggio da un lavoro ad un altro è essenziale.  Si tratta di uno strumento diverso da quello del sostegno alla povertà, e deve trovare diverse modalità di eligibilità e di somministrazione.

Insomma per non perdere il treno delle regionali occorre che il PD entri in campo. Con capacità di relazione politica e di approfondimento programmatico. Il tempo dei “pop corn” è finito.

 

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Info Mauro Grassi

Mauro Grassi. Nato e residente a Firenze 68 anni. Laureato in statistica e in economia a pieni voti. E' stato Direttore di ricerca all'Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) fino al 2000. Quindi Direttore Generale della Regione Toscana fino al 2011. Dopo una breve esperienza di Assessore all'Ambiente e all'Urbanistica al Comune di Livorno ha svolto dal 2013 incarichi di direzione presso il Ministero delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio (Direttore di #Italiasicura). Attualmente svolge attività di Consulenza in campo ambientale.

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