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Solo Riformisti

Uno spazio aperto al confronto, civile e concreto, e un’occasione di riflessione. Per restare ancorati alla realtà, senza rinunciare agli ideali, per rifiutare le posizioni ideologiche, per riaffermare i valori democratici.

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Ridisegnare il mondo post Covid

Per invertire la crescente disuguaglianza, bisogna tenere sotto stretto controllo l'automazione. Ma con questo non intendo che il governo debba bloccare la tecnologia o  rallentare il progresso tecnologico (trad. Luciano Pallini).

7 Aprile 2021 da Daron Acemoglu Lascia un commento

Il mondo industrializzato, in particolare gli Stati Uniti, soffriva  di gravi mali nella sfera dell’economia  anche prima della pandemia COVID-19. E’ improbabile che si riesca a offrire soluzioni se non riusciamo ora a riconoscerli.

Il principale tra questi problemi investe la natura della crescita economica, che è diventata molto meno condivisa a partire dagli anni ’80. Disuguaglianze più ampie in gran parte del mondo industrializzato,  scomparsa di posti di lavoro buoni, ben retribuiti e sicuri e il calo dei salari reali dei lavoratori meno istruiti negli Stati Uniti sono tutti aspetti di questa crescita non condivisa (Acemoglu 2019), che ha approfondito il malcontento e scatenato proteste sia a  destra che a  sinistra negli anni successivi alla Grande Recessione.

La  ricerca che ho condotto  con Pascual Restrepo indica che l’automazione spiega gran parte di questa perdita di crescita condivisa, insieme ad altri  fattori come la globalizzazione e la declinante forza del  lavoro nel confronto col  capitale (Acemoglu e Restrepo 2019).

La fase successiva  dell’automazione che si sta già  sviluppando rapidamente, guidata dall’apprendimento automatico e dall’intelligenza artificiale (AI), porrà le economie mondiali di fronte a un bivio. L’AI potrebbe esacerbare ulteriormente la disuguaglianza. Oppure, adeguatamente controllata  e diretta attraverso le politiche governative, potrebbe contribuire a una ripresa della crescita condivisa.

L’automazione è l’impiego  di macchine e algoritmi che si sostituiscono in attività  precedentemente eseguite dal lavoro e questa non è una novità. Da quando le macchine per tessitura e filatura hanno innescato la rivoluzione industriale britannica, l’automazione è stata spesso un motore della crescita economica. In passato, tuttavia, era  parte di un ampio portafoglio di tecnologie e i suoi effetti potenzialmente negativi sul lavoro erano controbilanciati da altre tecnologie che aumentavano la produttività umana e le opportunità di lavoro. Non oggi.

L’AI potrebbe esasperare  ulteriormente la disuguaglianza. Oppure, adeguatamente incanalata  e diretta attraverso le politiche governative, potrebbe contribuire a una ripresa della crescita condivisa. 

La fase successiva dell’automazione, che si affida all’AI e alle macchine dirette dall’intelligenza artificiale come le auto a guida autonoma, potrebbe avere conseguenze ancora più dirompenti, soprattutto se non fosse  accompagnata da altri tipi di tecnologie più a misura d’uomo. Questa ampia piattaforma tecnologica, con diverse applicazioni e con grandi aspettative, potrebbe aiutare la produttività delle persone   e aprire a  nuovi compiti e competenze per l’uomo  nell’istruzione, nella sanità, nell’ingegneria, nella manifattura  etc. . Ma potrebbe anche aggravare  la perdita di posti di lavoro e l’impatto negativo sull’economia, se l’introduzione dell’automazione fosse solo fine a se stessa. La pandemia ha sicuramente offerto  ai datori di lavoro più motivi per cercare strade  per sostituire i lavoratori con  le macchine, e recenti informazioni  suggeriscono che lo stanno facendo (Chernoff e Warman 2020).Alcuni sostengono che l’automazione pervasiva è il prezzo che paghiamo per la prosperità: le nuove tecnologie aumenteranno la produttività e ci arricchiranno, anche se vengono tagliati posti di  lavoro  e distrutte   attività e industrie esistenti. Le prove non supportano questa interpretazione.Nonostante la stupefacente  serie di nuove macchine e algoritmi che ci circonda , l’economia statunitense oggi genera una crescita molto bassa  della produttività totale dei fattori, la grandezza principale utilizzata dagli economisti per misurare i risultati in termini di produttività di un’economia, ovvero  dell’efficienza con cui vengono impiegati capitale umano e fisico. In particolare, la crescita della produttività totale dei fattori è stata molto inferiore negli ultimi 20 anni rispetto ai decenni successivi alla seconda guerra mondiale (Gordon 2017). Anche se le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono progredite rapidamente e vengono  applicate in ogni settore dell’economia, le industrie che utilizzano  più intensamente  queste tecnologie non hanno ottenuto risultati migliori in termini di produttività totale dei fattori, produzione o crescita dell’occupazione (Acemoglu e altri 2014).Le ragioni di questa lenta crescita della produttività nei tempi più recenti  non sono ben comprese. Ma un fattore che sembra contribuire è che  molte tecnologie di automazione, come le casse automatiche o customer service  automatizzati, non stanno generando tanta  crescita della produttività totale dei fattori. In altri termini, invece di portare dividendi di produttività, sia perché  l’automazione  eccessiva adottata dalle  aziende  va oltre il livello  che ridurrebbe i costi di produzione sia per i costi sociali   di queste tecnologie  che  riducono  occupazione e salari dei lavoratori. L’eccessiva automazione può anche essere una causa del rallentamento della crescita della produttività. Questo perché le decisioni sull’automazione non stanno riducendo i costi e, cosa ancora più importante, perché una attenzione esclusiva  alle tecnologie di automazione potrebbe far sì che le aziende perdano guadagni di produttività da nuove attività, nuove forme organizzative e scoperte tecnologiche che sono più vicine, complementari agli esseri umani.Ma l’automazione è davvero eccessiva? Credo di sì. Prima di tutto, quando i datori di lavoro decidono se sostituire i lavoratori con le macchine, non tengono conto del disagio sociale causato dalla perdita di posti di lavoro, specialmente di quelli buoni. Questo crea un pregiudizio verso un’automazione eccessiva.Fatto ancora più importante, diversi fattori sembrano aver alimentato l’automazione oltre i livelli socialmente desiderabili. Particolarmente importante è stata la trasformazione nelle strategie aziendali delle principali società statunitensi. La tecnologia americana e mondiale è plasmata dalle decisioni di un pugno  di aziende tecnologiche molto grandi e di grande successo che hanno una modesta  forza lavoro e un modello di business basato sull’automazione (Acemoglu e Restrepo 2020). Le grandi aziende tecnologiche tra cui Amazon, Alibaba, Alphabet, Facebook e Netflix sono responsabili di oltre $ 2  dollari sui tre totali  spesi a livello globale in AI (McKinsey Global Institute 2017). La loro visione, incentrata sulla sostituzione degli esseri umani con gli  algoritmi, influenza non solo la propria spesa, ma anche quello che per le altre aziende diventa  priorità  così come  le aspirazioni e l’obiettivo  di centinaia di migliaia di giovani studenti e ricercatori che si specializzano  in informatica e scienze dei dati.Ovviamente non c’è niente di sbagliato nel fatto che le aziende di successo perseguano la propria visione, ma quando questo diventa l’unico gioco in città, occorre stare in guardia. I successi tecnologici passati il ​​più delle volte sono stati guidati da una diversità di prospettive e approcci. Se perdiamo questa diversità, rischiamo anche di perdere il nostro vantaggio tecnologico.Il dominio di un pugno di aziende sul percorso della tecnologia futura è stato esasperato  anche dalla riduzione  del sostegno del governo degli Stati Uniti alla ricerca di base (Gruber e Johnson 2019). In effetti, la politica del governo incoraggia eccessivamente l’automazione, soprattutto attraverso il fisco. Il sistema fiscale statunitense ha sempre trattato il capitale in modo più favorevole del lavoro, incoraggiando le imprese a sostituire le macchine ai lavoratori, anche quando i lavoratori possono essere più produttivi.La mia ricerca con Andrea Manera e Pascual Restrepo mostra che, negli ultimi 40 anni, il lavoro ha pagato un’aliquota fiscale effettiva di oltre il 25% tramite i salari e le imposte sul reddito federali (Acemoglu, Manera e Restrepo 2020). Anche 20 anni fa, il capitale era tassato in modo più leggero del lavoro, con investimenti in attrezzature e software soggetti a aliquote fiscali di circa il 15%. Questo differenziale si è ampliato con i tagli fiscali sui redditi elevati, la conversione di molte imprese in società strettamente controllate (S corporations)  esenti dalle imposte sul reddito delle società e assieme ai generosi ammortamenti . Come risultato di questi cambiamenti, oggi gli investimenti in software e apparecchiature sono tassati a tassi inferiori al 5% e in alcuni casi le società possono persino ottenere sussidi netti quando investono in capitale. Questo crea una spinta  potente per un’automazione eccessiva.Non è un percorso prestabilito della tecnologia del futuro incentrato sull’automazione. È una conseguenza delle scelte di ricercatori che si concentrano su applicazioni della  automazione a scapito di altri usi della tecnologia e di aziende che costruiscono modelli di business fondati  sull’automazione e sulla riduzione dei costi del lavoro piuttosto che su aumenti generalizzati di produttività. Possiamo fare scelte diverse. Ma una tale correzione di rotta richiede uno sforzo concertato per reindirizzare il cambiamento tecnologico, il che può avvenire solo se il governo svolge un ruolo centrale nella regolamentazione della tecnologia.Sia chiaro che con questo non intendo il governo che debba  bloccare la tecnologia o  rallentare il progresso tecnologico. Piuttosto, il governo dovrebbe fornire incentivi che allontanino il focus della innovazione   da un’eccessiva attenzione all’automazione e lo spingano di più   verso tecnologie a misura di uomo che producono opportunità di lavoro, in particolare buoni posti di lavoro, e una forma più condivisa di prosperità economica. Non sappiamo esattamente quali possano essere le tecnologie a misura di uomo del futuro che produrranno i più grandi cambiamenti , ma in tanti  settori sono presenti  molteplici  opportunità. Questi includono l’istruzione, in cui l’intelligenza artificiale può essere utilizzata per un insegnamento molto più adattivo e incentrato sullo studente combinando nuove tecnologie e insegnanti meglio formati; assistenza sanitaria, in cui l’intelligenza artificiale e le tecnologie digitali possono consentire a infermieri e tecnici di assicurare  servizi migliori e più numerosi; e l’industria moderna, dove la realtà aumentata e la visione artificiale possono aumentare la produttività umana nel processo di produzione. Durante la pandemia abbiamo anche visto in quale modo  le nuove tecnologie digitali, come Zoom, abbiano ampliato radicalmente la comunicazione e le capacità umane.

I governi hanno sempre influenzato la direzione della tecnologia e sappiamo già come costruire istituzioni che lo facciano in modo più vantaggioso.

Questa raccomandazione può ancora per molti  sembrare insolita. Non produce rilevanti distorsioni l’intervento dei governi  per  influenzare la direzione della tecnologia? Potrebbero realmente  determinare il corso  della tecnologia? Non apriremmo la porta a un nuovo tipo di totalitarismo con lo Stato che interviene anche nelle decisioni tecnologiche?Io sostengo  che in effetti non vi sia nulla di insolito o rivoluzionario in questa idea. I governi hanno sempre influenzato la direzione della tecnologia e sappiamo già come costruire istituzioni che lo facciano in un modo più vantaggioso per la società.I governi di tutto il mondo influenzano regolarmente la direzione della tecnologia attraverso le politiche fiscali e il sostegno alla ricerca aziendale e alle università. Come ho mostrato, il governo degli Stati Uniti ha incoraggiato l’automazione attraverso la sua tassazione asimmetrica del capitale e del lavoro. Un primo passo sarebbe correggere quello squilibrio. Questo già contribuirebbe molto, ma non sarebbe sufficiente da solo. Si può fare molto di più, ad esempio tramite sussidi di R&S mirati a tecnologie specifiche che aiutano la produttività umana e aumentano la domanda di lavoro.Questo conduce  alla seconda obiezione: il governo può davvero reindirizzare efficacemente la tecnologia? La mia risposta è che i governi lo hanno fatto in passato e in molti casi con sorprendente efficacia. Le tecnologie di trasformazione del XX  secolo, come antibiotici, sensori, motori moderni e Internet, non sarebbero state possibili senza il sostegno e la guida  del governo. Né sarebbero cresciuti  tanto senza generosi commesse governatie. Ancora più rilevante, forse, per gli sforzi per reindirizzare la tecnologia in una traiettoria a misura d’uomo è l’esempio delle energie rinnovabili.Quattro decenni fa l’energia rinnovabile era costosa in modo proibitivo e mancava il know-how di base per le tecnologie verdi. Oggi le energie rinnovabili rappresentano il 19% del consumo di energia in Europa e l’11% negli Stati Uniti, e i costi sono diminuiti nello confronto competitivo con l’energia da combustibili fossili (IRENA 2020). Ciò è stato ottenuto grazie a una svolta radicale   del cambiamento tecnologico focalizzato in particolare  sui combustibili fossili attraverso  maggiori sforzi per il progresso delle energie rinnovabili. Negli Stati Uniti, il motore principale di questo nuovo indirizzo sono stati i modesti sussidi governativi per le tecnologie verdi e sui cambiamenti delle norme per i consumatori.Con lo stesso approccio si può realizzare  un equilibrio tra automazione e tecnologie a misura di uomo. Come nel caso delle energie rinnovabili, il cambiamento deve iniziare con un più ampio riconoscimento sociale che le nostre scelte tecnologiche sono diventate troppo sbilanciate, con una miriade di conseguenze sociali negative. Occorre un chiaro impegno da parte del governo federale per correggere alcuni di questi squilibri. Il governo dovrebbe anche affrontare la posizione dominate  di un pugno di grandi aziende tecnologiche sui loro mercati e la definizione della  direzione della tecnologia futura. Questo ovviamente avrebbe altri vantaggi, come garantire una maggiore concorrenza e proteggere la privacy.L’obiezione più impegnativa a queste idee è politica: la stessa obiezione  sollevata da Friedrich Hayek di fronte allo sviluppo del welfare state britannico in quello che divenne il suo celebre libro The Road to Serfdom. Hayek metteva  in guardia contro l’ascesa dello stato amministrativo, sostenendo che avrebbe schiacciato la società e le sue libertà. Come riassunse in seguito, sosteneva che “… un ampio controllo del governo produce … un cambiamento psicologico, un’alterazione nel carattere delle persone … Anche una forte tradizione di libertà politica non è una garanzia se il pericolo è precisamente che nuove istituzioni e politiche indeboliranno e distruggeranno gradualmente quello spirito” 

Sebbene le preoccupazioni di Hayek fossero correttamente poste, egli ha avuto torto. La libertà e la democrazia non sono state annullate nel Regno Unito o nei paesi scandinavi che hanno adottato programmi di stato sociale simili. Al contrario, garantendo una rete di sicurezza sociale, questi sistemi hanno creato maggiori opportunità perché  la libertà individuale prosperasse.

C’è una ragione ancora più fondamentale per cui lo stato sociale non ha messo in pericolo la libertà e la democrazia. James Robinson e io delineiamo la struttura concettuale nel nostro nuovo libro, The Narrow Corridor (Acemoglu e Robinson 2019). Spieghiamo perché i migliori garanti della democrazia e della libertà non sono costituzioni o progetti intelligenti di separazione dei poteri, ma la mobilitazione della società. Ciò richiede un equilibrio tra stato e società che metta il sistema politico nella strettoia  in cui fiorisce la libertà e dove lo stato e la società possono acquisire forza e capacità insieme. Quindi, quando abbiamo bisogno che lo stato si assuma maggiori responsabilità, possiamo anche sperimentare un approfondimento della democrazia e una maggiore mobilitazione sociale. Ciò significa che i cittadini partecipano attivamente alle elezioni e vengono informati sui politici e sui loro programmi (e sui loro misfatti), sulle organizzazioni della società civile in espansione e sui media che aiutano a chieder conto a politici  e burocrati. Questo è quello che è successo in gran parte del mondo industrializzato. Man mano che lo stato ha assunto maggiori responsabilità, la democrazia si è approfondita e il coinvolgimento e la capacità della società di tenere sotto controllo politici e burocrati si sono intensificati.

Se la società possa svolgere la sua parte nel forgiare un nuovo capitolo della nostra storia è una questione aperta. Un fattore importante di complicazione sono   le nuove tecnologie digitali che hanno anche indebolito la democrazia. Con l’aumento della disinformazione, i social media alimentati dall’intelligenza artificiale che creano “bolle filtro” e “camere eco” ostili al discorso democratico e l’impegno politico in calo, potremmo non avere gli strumenti giusti per tenere sotto controllo lo stato. Eppure non possiamo permetterci  il lusso di non provarci.

 

BIBLIOGRAFIA

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Acemoglu, Daron, David Autor, David Dorn, Gordon H. Hanson, and Brendan Price. 2014. “Return of the Solow Paradox? IT, Productivity, and Employment in US Manufacturing.” American Economic Review 14 (5): 394–99.

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McKinsey Global Institute. 2017. “Artificial Intelligence: The Next Digital Frontier?” Discussion Paper. New York.

Ritchie, Hannah, and Max Roser. 2017. “Renewable Energy.” Our World in Data.

 

 

NB:

  • Con il permesso di IMF, pubblichiamo la traduzione del saggio

di    Daron Acemoglu apparso su FD Finance & Development Spring 2021 pubblicata da IMF.

  1. Le opinioni espresse negli articoli ed in altri materiali sono propri degli autori; non necessariamente rappresentano le opinioni di IMF e del suo o della politica di IMF
  2. Translation disclaimer: la responsabilità per ogni errore nella traduzione è imputabile esclusivamente al traduttore Luciano Pallini e a Solo Riformisti

 

https://www.imf.org/external/pubs/ft/fandd/2021/03/COVID-inequality-and-automation-acemoglu.htm?utm_medium=email&utm_source=govdelivery

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Info Daron Acemoglu

Daron Acemoglu, nato a Istanbul nel 1967, ha conseguito il dottorato di ricerca alla London School of Economics (LSE), nel 1992. Si è trasferito nel 1993 al Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove dal 2000 è stato nominato professore ordinario Le sue ricerche vanno dalla teoria della crescita all’economia del lavoro, dalla disuguaglianza nella distribuzione del reddito alla formazione dei lavoratori, fino alla matematica applicata.
In Italiano sono stati tradotti due libri scritti in collaborazione con James A. Robinson “La strettoia Come le nazioni possono essere libere” Il Saggiatore 2020 e “Perché le nazioni falliscono. Alle origini di potenza, prosperità, e povertà” Il Saggiatore 2013

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