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Quale riforma per la cassa integrazione?

La ministra del lavoro dice di voler rendere “universale” la cassa integrazione ma il rischio è che la riforma si riduca ad un ritorno alla Cig usata per fingere la sopravvivenza dei posti in aziende ormai chiuse.

9 Gennaio 2021 da Pietro Ichino Lascia un commento

La ministra del Lavoro Catalfo annuncia una riforma della Cassa integrazione, con l’intendimento – dice – di renderla “universale”. Senonché una integrazione salariale, sia pure con forme assicurative e costi diversi, già oggi è prevista per tutte le imprese; e non è detto che l’unificazione dei trattamenti e delle relative contribuzioni sia una buona idea. La Cig inizialmente era una assicurazione obbligatoria per le sole imprese manifatturiere ed edilizie, per loro natura particolarmente esposte al rischio di sospensioni temporanee dell’attività dovute al mancato approvvigionamento di materie prime, all’interruzione della fornitura di energia elettrica, o al maltempo; poi, alla fine degli anni ’60, la copertura è stata rafforzata (dal 66 all’80 per cento della retribuzione, e dalle 16 ore settimanali alle 40) ed estesa, con l’istituzione del trattamento straordinario, al rischio di sospensioni di lunga durata dovute a ristrutturazione o a crisi economica di settore, anche per l’editoria e la grande distribuzione. Trattandosi di un rapporto assicurativo, questa copertura ha sempre comportato un contributo assai salato (fino quasi al 3 per cento delle retribuzioni, peraltro con un gettito nettamente superiore, almeno fino al 2009, rispetto ai trattamenti erogati). Poi, con il Jobs Act è stato istituito il Fondo per l’integrazione salariale, destinato a offrire un’integrazione salariale a tutte le imprese non coperte dalla Cig: per causali e durata più limitate, ma con un contributo corrispondentemente ridotto. Ora, a quale riforma pensa la ministra? Se non intende rendere permanente l’attuale gestione assistenziale della Cig dovuta all’emergenza Covid, intende forse aumentare la copertura, e quindi il contributo, a carico di tutte le imprese? Ma questo non confligge con l’intendimento di ridurre, semmai, il c.d. “cuneo contributivo”? Non sarà che tutta la grande riforma consiste, in realtà, nel ritornare al vecchio dannosissimo vizio della Cig usata per mascherare la soppressione dei posti di lavoro in imprese ormai chiuse?

 

(questo articolo con il consenso dell’autore è ripreso dal sito www.pietroichino.it)

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